Il mio amico Jonah sta divorziando. Se hai operato su una piattaforma petrolifera per un certo periodo di tempo – e lui lo fa da oltre vent’anni – sai bene che il divorzio è un rischio del mestiere. Lavorare in mare aperto genera una certa mentalità, un’insolita combinazione di autonomia e dipendenza che a lungo andare può rendere difficile stare con una persona. Si saltano compleanni, matrimoni, funerali, natali.

Gli operai offshore hanno una vita regolamentata, ascetica. Isolati su piattaforme metalliche in mezzo al mare, fanno turni di dodici ore per due o tre settimane di fila. L’alcol è proibito, gli alloggi ristretti, il cibo non sempre decente. Nel mare del Nord le tempeste infuriano durante tutto l’inverno e le condizioni di lavoro sulle piattaforme sono spesso proibitive. Il maltempo può anche ritardare i voli per la terraferma. A volte i lavoratori devono aspettare giorni prima di poter tornare a casa.

Il petrolio del mare del Nord è stato scoperto nel 1969. Da allora, uomini come Jonah compiono il viaggio verso nord, diretti al porto di Aberdeen e da lì sulle piattaforme. Un giacimento petrolifero non dura in eterno e le riserve del mare del Nord stanno per esaurirsi. Gli operai sono costretti ad andare sempre più lontano. A mano a mano che i giacimenti a disposizione si prosciugano, gli equipaggi devono avventurarsi in acque più profonde. Più in profondità è nascosto il petrolio, maggiore è la pressione che subisce e maggiore il rischio di fughe incontrollate.

A cena Jonah mi parla della fine del suo matrimonio. Jonah, che prima prendeva sulle dodicimila sterline al mese, aveva subito pesanti tagli di stipendio. Sua moglie si lamentava che le controllasse i soldi. Che la controllasse. Cominciò a ignorarlo quando andava in mare. Jonah stette via due mesi e lei non rispose a nessuno dei suoi messaggi. In seguito gli disse che aveva avuto un esaurimento nervoso. A casa i litigi si facevano sempre più violenti. Lei contattò la Women’s aid. Jonah cominciò a registrare i battibecchi sul suo cellulare, convinto che sarebbero stati usati contro di lui. Sapeva che le cose non andavano bene, ma era stato comunque sorpreso di ricevere le pratiche di divorzio, notificate mentre era in mare.

Paradossalmente, anche se le difficoltà del lavoro dividono molte coppie, la prospettiva del divorzio e il temuto spettro degli assegni di mantenimento spingono gli uomini a tornare sulla terraferma.

Dopo anni sulle piattaforme, oggi Jonah ha un impiego relativamente comodo. Lavora su uno yacht. In un certo senso, è più facile che stare in alto mare. Il Mediterraneo è più calmo del mare del Nord. Il clima a sud è temperato. La sua divisa da lavoro è sempre ben stirata.

Come gli aerei

Le piattaforme petrolifere sono come gli aerei. Statisticamente sono abbastanza sicure ma, quando qualcosa va storto, spesso succede una catastrofe. Nel 1982 la Ocean ranger è affondata al largo della costa di Terranova, uccidendo tutti e 84 i membri dell’equipaggio. Nel 1985 è esploso un pozzo nel giacimento petrolifero di Tengiz, sulla costa settentrionale del mar Caspio, e ha continuato a bruciare per un anno intero.

Nel 1988 la Piper alpha è costata la vita a 167 uomini e resta a tutt’oggi il disastro petrolifero con più vittime della storia. Il rapporto Cullen, un’inchiesta ad ampio raggio avviata all’indomani dell’incidente, ha cambiato la cultura offshore e reso gli standard nel mare del Nord i più rigidi del mondo. Ma è impossibile avere tutte le variabili sotto controllo. Gli incidenti accadono ancora. Nel 2010, l’esplosione del pozzo Macondo ha ucciso undici persone e riversato 4,9 milioni di barili di greggio nel Golfo del Messico. È stata la più grave fuoriuscita di petrolio in mare di tutti i tempi.

La sicurezza delle piattaforme viene presa sul serio – fino a un certo punto. In tempi di crisi, la manutenzione passa in secondo piano e si dà la priorità alla produzione. Nel 2019 l’agenzia britannica Health and safety executive ha reso noto che il 26 per cento dei punteggi di ispezione assegnati alle piattaforme britanniche erano «bassi o molto bassi». Il rispetto delle norme oscilla a seconda dell’andamento del mercato. Mentre l’esplorazione apre nuove frontiere, gli equipaggi vengono mandati in luoghi sempre più remoti. Le implicazioni logistiche preoccupano gli operai. Se devi aspettare ore o addirittura giorni perché arrivino i soccorsi, gli infortuni si trasformano in incidenti mortali.

Quando sei vulnerabile

«Quando mi sono ammalato per la prima volta, lavoravo su una piattaforma» mi dice Ally. «Allora capisci quanto sei vulnerabile. Il medico di bordo parla con un dottore al telefono, ma non vai in ospedale. Per andare in ospedale serve l’elicottero della guardia costiera.»

Ho conosciuto Ally ad Aberdeen. È una di quelle persone che invogliano a confidarsi. Forse è per questo che ha un repertorio infinito di storie tristi: «Una volta sono arrivato su una piattaforma e mi hanno detto che durante il viaggio precedente uno dei responsabili aveva avuto un infarto. I medici non erano riusciti a salvarlo. Poi è scesa la nebbia e non hanno potuto far arrivare un elicottero per quattro giorni. Hanno dovuto togliere tutto il cibo dal congelatore e metterlo là dentro finché la nebbia si è diradata. Poi hanno trasportato il cadavere sull’elicottero. Hanno dovuto togliere dei sedili per farci stare la barella.»

Non c’è da sorprendersi che l’isolamento ad alcuni dia alla testa. Ally mi racconta di aver conosciuto un uomo che, appena arrivato sulla piattaforma, era stato rispedito subito indietro. La prima notte era andato su e giù per gli alloggiamenti, bussando forte alle porte e dicendo agli operai di alzarsi perché la piattaforma stava affondando.

Non è così raro che le persone sviluppino una specie di claustrofobia, soprattutto se sono nuove del mestiere. In Angola, Jonah ha assistito a un litigio tra colleghi conclusosi con uno dei due che si chiudeva in una stanza, mentre l’altro cercava di buttar giù la porta con un’ascia antincendio.

Molte riserve sono racchiuse sotto i fondali marini. Anche quando il processo estrattivo va a buon fine, sconvolge l’ecosistema circostante. Le indagini sismiche disturbano pesci e mammiferi, le trivellazioni rilasciano inquinanti nell’acqua, la combustione di gas avvelena l’aria, le piattaforme sono ancorate con piloni conficcati nel fondale oceanico.

La forza lavoro

La politica sta andando sempre più nella direzione opposta ai combustibili fossili. La gente comincia a dubitare del futuro del petrolio. Quando sono crollati i prezzi, nel 2014, migliaia di persone hanno perso il posto di lavoro. Durante il lockdown del 2020, il valore del petrolio è precipitato di nuovo, almeno temporaneamente. Da un recente sondaggio di Friends of the Earth è emerso che l’81 per cento dei lavoratori intervistati sta pensando di lasciare il settore.

Alcuni passeranno all’industria delle rinnovabili, ma l’energia verde non è in grado di assorbire l’intera forza lavoro. Le nuove tecnologie richiedono meno manodopera. Una piattaforma petrolifera necessita di un equipaggio di 150 persone per funzionare. Per gestire un parco eolico con 57 turbine ne bastano undici.

Il petrolio è sempre stato un bene volatile. Gli uomini che lo estraggono devono imparare a convivere con una certa dose di incertezza. Il prezzo subisce alti e bassi, l’industria assume e licenzia. Considerato il tempo passato lontano da casa, i pericoli del mestiere e l’instabilità del mercato, non c’è da sorprendersi che così tanti operai offshore finiscano col divorziare. Piuttosto, stupisce che alcuni di questi matrimoni resistano.

Tabitha Lasley - Dopo un decennio da giornalista lascia il lavoro in una rivista londinese e si trasferisce ad Aberdeen per realizzare un libro sulle piattaforme petrolifere e gli uomini che ci lavorano. Lo stato del mare (NR edizioni, 2021) è stato finalista al Gordon Burn prize e al Portico prize.


The Passenger Oceano, in uscita il 9 giugno, presentato a Milano nell’ambito della prima edizione del festival “2084 - Storie dal futuro”, in programma il 17 e 18 giugno presso EastRiver, organizzato dalla Scuola di scrittura Belleville, a cura di Matteo De Giuli, Nicolò Porcelluzzi e Marco Rossari. Due giorni di dialogo tra letteratura e scienza, informazione e filosofia, per raccontare i nuovi modi di creare, di comunicare, di resistere. All'incontro, previsto sabato 18 giugno alle 11.30, interverranno Björn Larsson, Francesca Santoro e Valentina Pigmei.

Info al link

© Riproduzione riservata