Come tutto quello che riguarda Pio XII e la Seconda guerra mondiale, ha fatto notizia il ritrovamento di una lettera arrivata in Vaticano alla fine del 1942 con informazioni dettagliate sui campi di sterminio nazisti. Si è dunque titolato che papa Pacelli «sapeva». Da un sessantennio infatti i «silenzi» del pontefice di fronte agli orrori bellici – e in particolare di fronte alla Shoah – dividono gli storici e l’opinione pubblica. A sollevare la questione era stato per primo, nella primavera del 1939, l’intellettuale cattolico francese Emmanuel Mounier, turbato dall’assenza di reazioni del papa da poco eletto davanti all’aggressione italiana all’Albania.

Il documento

Il documento scoperto nell’Archivio vaticano conferma quanto già si conosceva da diverse testimonianze: Pio XII era al corrente dei crimini di guerra nazisti e la sua scelta di evitare condanne esplicite – il papa deplorò più volte gli orrori, con allusioni trasparenti a carnefici e vittime, ma senza denunciare i responsabili – fu consapevole. Su questo atteggiamento, accompagnato dall’aiuto ai perseguitati e dall’appoggio segreto all’alleanza antihitleriana, entrambi accertati, i pareri sono fortemente contrastanti tra accusatori e difensori del papa.

E la causa di canonizzazione di Pacelli, che ristagna, non favorisce la comprensione storica. Comprensibilmente le anticipazioni giornalistiche della scoperta si sono concentrate sul documento, trascurando però una clamorosa novità del volume che include la lettera: l’archivio privato del papa per oltre due terzi è scomparso, distrutto o disperso.

Fatto passato inosservato perché il libro appena uscito – cinquecento pagine destinate agli specialisti e curate dall’archivista vaticano Giovanni Coco (Le “carte di Pio XII” oltre il mito, Archivio apostolico vaticano) – è un inventario minuzioso dei documenti «personali» di Pacelli, dei quali sono ricostruite le sorprendenti vicende.

La lettera

Senza dubbio importante è la lettera che ha attirato l’attenzione dei media. Si tratta di un foglio fittamente dattiloscritto in tedesco, datato 14 dicembre 1942, indirizzato a un «caro amico» e firmato «vostro Lothar», con alcuni allegati.

Tra questi, una statistica di «deceduti» è corredata da un’annotazione del segretario personale del papa, il gesuita Robert Leiber, che indica come l’elenco si riferisse al «campo di concentramento di Dachau». Docente di storia, il gesuita era con Pacelli sin dal 1924 e con lui rimase durante il pontificato nel gruppo dei collaboratori più stretti.

Condanna dell’ideologia

Grazie a puntuali riscontri gli archivisti vaticani hanno identificato anche chi ha scritto la lettera: Lothar König, un giovane confratello di padre Leiber. Antinazista deciso, il religioso era tra gli uomini di fiducia di Michael von Faulhaber, arcivescovo di Monaco e Frisinga. Il prelato – autore di importanti studi biblici e di letteratura cristiana antica, cappellano militare nella prima guerra mondiale, vescovo e dal 1921 cardinale – era sì conservatore e nazionalista, ma anche filosemita.

Con alcune celebri prediche, tenute nell’Avvento del 1933 e che ebbero larga risonanza, Faulhaber si schierò con decisione contro l’antisemitismo nazista. E nel 1937 fu tra gli autori della Mit brennender Sorge («Con bruciante preoccupazione»), l’enciclica di condanna dell’ideologia nazionalsocialista scritta dal cardinale Pacelli insieme ad alcuni prelati tedeschi di cui si fidava. Passata la guerra, nel 1951, il cardinale ormai ottantaduenne avrebbe ordinato sacerdote nell’antico duomo di Frisinga il giovane Joseph Ratzinger.

La spiegazione di König

Nella lettera ritrovata König spiega che gli allegati sono stati «ottenuti con il massimo rischio. Non solo è a rischio la mia testa, ma anche la testa degli altri se non vengono usati con la massima prudenza e cura». Le notizie destinate al segretario del papa si riferiscono anche al campo di sterminio di Bełżec, non lontano da Rava Rus’ka, in un territorio occupato dai nazisti.

Scrive il gesuita: «Le ultime informazioni su ‘Rawa Russka’ con il suo altoforno delle SS, dove ogni giorno vengono uccise fino a 6000 persone, soprattutto polacchi ed ebrei, le ho trovate confermate di nuovo da altre fonti. Anche il rapporto su Oschwitz (Auschwitz) presso Kattowitz è esatto. La conferma ufficiale e più importante viene dai discorsi, in cui si diceva che intere tribù e popoli sarebbero stati “sterminati”. Con gli ebrei e i polacchi si fa davvero sul serio». I nomi sono trascritti in tedesco – Oschwitz e Kattowitz sono Oświęcim e Katowice, in Polonia – mentre il riferimento ai «discorsi» è a quello di Hitler del 30 settembre precedente. Allo Sportpalast di Berlino, infatti, il Führer aveva accennato allo sterminio programmato degli ebrei.

Elencati i documenti, König aggiungeva significativamente: «La grande preoccupazione qui è se Roma procederà con la necessaria cautela in modo che, se il Vaticano fosse occupato, non si potrebbe trovare nulla di incriminante che possa essere usato contro la Chiesa tedesca». Dieci giorni più tardi, il 24 dicembre 1942, papa Pacelli pronunciò il celebre radiomessaggio natalizio dove «per la prima volta alluse implicitamente allo sterminio degli ebrei».

Benché non sia sicura una connessione tra le notizie della lettera di König arrivata in quei giorni in Vaticano e il discorso di Pio XII, «non è del tutto da escludere l’ipotesi che quella lettera abbia in qualche modo corroborato il pontefice nella sofferta intenzione di accennare alla questione ebraica» annota Coco. Del resto notizie sulla Shoah ormai in corso erano già giunte in Vaticano, come attestano documenti pubblicati tra il 1965 e il 1981 nei dodici volumi degli Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, che si possono leggere in rete.

Il 12 maggio 1942 don Pirro Scavizzi, cappellano dell’ordine di Malta, scriveva al papa di «deportazioni ed esecuzioni anche in massa» degli ebrei. Della fine di agosto è un’altra lettera, in francese, dove Andrej Šeptyckyj, metropolita greco-cattolico di Leopoli, nell’Ucraina occupata dai nazisti, informava che «il numero di ebrei uccisi nel nostro piccolo paese ha certamente superato i duecentomila». Il papa lesse la lettera il 22 settembre. E quattro giorni prima il funzionario italiano Giovanni Malvezzi aveva informato monsignor Montini, stretto collaboratore di Pacelli, che i «massacri sistematici degli ebrei» avevano «raggiunto proporzioni e forme esecrande».

Le carte personali

Molto altro descrive l’inventario: da appunti del papa, che seguiva le questioni più diverse, alla minuta inedita dell’ultimo radiomessaggio natalizio, che Pio XII – morto il 9 ottobre 1958 – non arrivò a pronunciare. Definito da Coco quasi un «testamento» intellettuale e spirituale, il testo è venato dall’ottimismo, anche nei progressi della scienza e nei possibili «benefici di una industria nucleare a scopi pacifici»; ma questo «se il cuore dell’uomo cammina nelle rette vie volute dal suo Creatore, altrimenti il progresso si trasforma in immensa tragedia». La novità della pubblicazione vaticana è che la documentazione personale di Pacelli – con «una stima per difetto» precisa Coco – «sembra aver perduto quasi il 70 per cento del suo patrimonio originale». Ci sono così voluti vent’anni per rimettere insieme le carte recuperate dalla dispersione, riordinarle e aprirle alla consultazione degli studiosi.

Due sono i motivi principali della perdita: la volontà dello stesso Pio XII, che si spiega probabilmente con l’innata riservatezza, e una «somma incuria», come ammettono gli archivisti vaticani. E già era stata pubblicata una testimonianza sullo stato di conservazione dei documenti della Santa sede poco dopo l’apertura dell’archivio intorno al 1881: in parte erano sistemati sopra la galleria delle Carte geografiche – dal 2016 splendidamente restaurata – dove «dalle finestre, mal connesse e con vetri rotti, vi penetravano le cornacchie e le carte sciolte venivano dal vento sparse per la soffitta».

Un’incredibile trascuratezza ha segnato anche le vicende delle carte personali di Pio XII, fin quando sono iniziati la ricerca, il recupero e il restauro dei suoi documenti. Ma lo stesso Pacelli aveva detto alla fedelissima e onnipotente segretaria, Pascalina Lehnert, che era con lui dal 1918: «Se non avessi più tempo, le bruci». E poche ore prima della morte del pontefice a Castel Gandolfo, la religiosa e due consorelle eseguirono l’ordine, portando via – dalla stanza dove Pio XII agonizzava – «tre ceste» ricolme di manoscritti e dattiloscritti. Che finirono in cenere.

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