In Lux la cantante catalana si è ispirata alle storie di mistiche e sante di culture che attraversano ogni angolo del pianeta. Per farlo ha scelto di usare testi compositi, in cui lo spagnolo si unisce all’italiano, al tedesco, all’ucraino o al siciliano. Il contrario della ricerca della semplicità che funziona per gli algoritmi, un modo tutto nuovo di essere pop
Nella prima intervista che Rosalía ha rilasciato prima dell’uscita di Lux, il suo quarto album, disponibile da venerdì 7 novembre, racconta come sua sorella – dopo aver ascoltato il disco – le abbia detto: «La tua musica non è pop, ma tu lo sei». Quasi infastidita, la cantante di origini catalane le ha risposto che la sua musica non solo è pop ma che, oggi, dev’esserci un altro modo di essere pop. E Rosalía l’ha trovato in Lux.
La giornalista Julyssa Lopez su Rolling Stones ha definito l’album come un pop d’avanguardia ed è palpabile l’ispirazione dei grandi compositori classici, da Chopin a Bach, e di artisti come Nick Cave e Björk con cui Rosalía ha collaborato per Berghain. Il cuore di Lux sta nella spiritualità, nella santità (e come viene intesa in varie culture) e nella religione come ha confermato la cantante in una lunga conversazione con il dj e conduttore radiofonico Zane Lowe, realizzata per Apple Music.
In un mondo sempre più diviso e polarizzato, Rosalía prova con questo disco – che suona in maniera del tutto diversa e dirompente rispetto a qualsiasi suo lavoro precedente e a qualsiasi album pop contemporaneo – a comprendere l’altro, prova a concentrarsi su tutto ciò che l’altro comunica e rappresenta.
Sempre nella conversazione con Lowe, Rosalía sottolinea che il concept di Lux parte dalle crepe di luce che filtrano attraverso l’oscurità. Le canzoni, i testi non parlano della vita personale della cantante ma sono un mèlange tra ciò che è personale e ciò che è universale. In questo andirivieni di personale e universale si innestano le vite dei santi – da santa Rosalia a santa Olga di Kiev passando per Ildegarda di Bingen e Vimala, figura buddhista che l’ha ispirata –, le agiografie lette e incanalate dalla cantautrice nei tre anni di lavoro che hanno portato a Lux.
Tutta questa fascinazione per le figure religiose, in particolare quelle femminili, non stupisce: la cantautrice ha più volte raccontato che se non avesse fatto la musicista avrebbe probabilmente studiato teologia.
La centralità della parola
Nelle poche interviste rilasciate prima della pubblicazione di Lux, Rosalía ha raccontato di aver impiegato un anno intero solo sulla scrittura, prima di procedere con la composizione musicale e dedicarsi così agli arrangiamenti. Il disco è interamente basato sulla parola: una scelta che è un rimando anche alla spiritualità che è il cardine di Lux. «In principio era il verbo, il Verbo era Dio», sottolinea lei stessa su Popcast, podcast dedicato al pop realizzato dal New York Times, citando l’incipit del Vangelo di Giovanni e spiegando l’importanza anche allegorica della parola.
Una parola, quella di Rosalía, che è declinata in ben 13 lingue. Una scelta che potrebbe sembrare voluta e cercata per dare ulteriore valore al lavoro di ricerca dietro Lux e che invece risulta naturale, come un flusso continuo. Anche nelle apparizioni pubbliche, la dialettica di Rosalía è contraddistinta da un alternarsi tra inglese e spagnolo che la rende immediatamente riconoscibile.
Dal siciliano all’italiano, passando per l’arabo, il tedesco, il mandarino e il giapponese, Rosalía dribbla le accuse di appropriazione culturale – che spesso vengono rivolte a un artista che fa sua una cultura o dei simboli culturali non appartenenti a quella del paese di provenienza – già nel disco, che è un abbraccio corale al mondo. Sempre da Popcast, la cantante rimarca la sua appartenenza al mondo e spiega il processo creativo che ha coinvolto 13 lingue diverse.
Durante la scrittura, infatti, Rosalía ha utilizzato sia Google Translate ma si è anche avvalsa del supporto di traduttori e interpreti che l’hanno aiutata a comprendere se il concetto che voleva esprimere fosse pertinente al contesto della canzone. La scelta di ogni singola lingua si è basata sulle diverse sensazioni ed emozioni (oltre che sui riferimenti ai personaggi) che voleva veicolare, dunque sono stati necessari vari tentativi per decidere quale lingua fosse la più efficace.
E così come l’artista ha specificato di non aver mai usato loop nell’album (per cui tutte le ripetizioni sono cantate o suonate da qualcuno, non registrate e riprodotte in serie), ha anche detto di aver lavorato senza l’ausilio dell’intelligenza artificiale per cantare in maniera convincente in tutte le lingue utilizzate.
La sperimentazione
Per esempio in Mio Cristo Piange Diamanti il rapporto tra san Francesco e santa Chiara di Assisi viene cantato interamente in italiano in quello che Rosalía stessa definisce la sua versione di un’aria lirica. Il rapporto tra i due santi viene spesso raccontato nelle agiografie come un legame che andava oltre l’amicizia, molto più simile all’unione spirituale tra due persone che scelsero di rinunciare ai beni materiali in nome dell’amore per Dio.
Lux, dunque, è un disco sperimentale non solo a livello sinfonico ma anche sul piano linguistico, come si intuisce già dal titolo in latino: in un mondo musicale in cui sempre più artisti scelgono di accogliere le richieste della propria fanbase, Rosalía mette alla prova i suoi fan che si troveranno davanti nuove lingue e nuovi significati da scoprire.
Come ha spiegato lei stessa: «Più viviamo nell’èra della dopamina, più io cerco e voglio il contrario». Un’ode alla disconnessione e al vivere nel presente, un messaggio attuale in qualsiasi lingua lo si legga.
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