Quando si cerca di parlare di un libro – o, come in questo caso, di un’autrice – che ha avuto un grande successo, la difficoltà più grande diventa entrare in contatto con quel libro in modo autentico. Il perché si capisce: si legge il libro cercandoci all’interno le ragioni del suo successo. Per chi lavora nell’editoria è molto chiaro, perlomeno a me lo dissero chiaro e tondo il primo giorno di master: non si possono conoscere le ragioni del successo di un libro, non si può dire esattamente che cosa trasforma un libro in un best-seller.

Non perché queste ragioni siano misteriose o imponderabili. Anzi: a posteriori, dopo che il libro ha avuto successo, le ragioni diventano molto evidenti (e spesso si tratta proprio di quegli elementi che i lettori più snob ritengono difetti).

Una trama troppo chiara, personaggi costruiti apposta per risultare empatici, sesso, dolore, malattia, tutta una serie di dinamiche che funzionano più o meno sempre: il nazismo, il fascismo, il femminismo e tanti altri “ismi” che spesso risultano vincenti.

Poi c’è anche l’aspetto fisico del libro, le sue poche o tante pagine, la copertina fortunata, il titolo indimenticabile. Per l’autore si può dire qualcosa di simile: il suo essere visibile o invisibile nel modo giusto, il suo essere politico o apolitico nel modo giusto, il suo essere abbastanza bello o incredibilmente sgradevole, e così via.

Poi va considerato anche il contesto sociale in cui si inserisce, fattore che in genere alimenta i fenomeni più grandi: quel libro ancora non c’era, quel libro racconta una generazione, quel libro ha un’idea, un’urgenza, dice qualcosa di nuovo.

Nel caso del successo di Sally Rooney, appena uscita in Italia con il suo nuovo attesissimo Intermezzo (Einaudi, traduzione di Norman Gobetti), questo sembra essere stato un elemento centrale: il fatto che parlasse ai millennial e dei millennial, ossia proprio a me e di me.

Segreti e ambizioni

Dei millennial Sally Rooney ha raccontato non solo i segreti, i pensieri, la vita, la frammentazione del loro universo digitale, ma ne ha anche incarnato le ambizioni.

Cosa volevamo di più di un’autrice schiva e allo stesso tempo incredibilmente affascinante, libera dai social come vorremmo esserlo tutti, schierata politicamente da quella che molti di noi ritengono essere la parte giusta, una donna schietta che si prende il diritto di parlare di sesso, di dar voce a uomini e donne, liberandosi di quelle classificazioni di genere, che pure in qualche modo forse l’hanno favorita, insomma lasciandosi il genere alle spalle, come vorremmo in fondo, più o meno consapevolmente, fare tutti.

Non potevamo chiedere nulla di meglio, e infatti Intermezzo è probabilmente il libro dell’anno, e da tempo non si era visto nel mondo editoriale un hype così (molti articoli in questi giorni lo hanno paragonato al fenomeno Harry Potter).

L’imponderabile

Ma allora perché dico che le ragioni del successo di un libro sono insondabili? Semplice: perché altrimenti scriveremmo – ma soprattutto pubblicheremmo – soltanto best-seller. E invece no: questi elementi si svelano solo a posteriori. Se fosse così facile prevedere un successo, l’editoria prospererebbe, gli stipendi sarebbero più alti, il lavoro editoriale smetterebbe di essere principalmente appannaggio soltanto di chi tutto sommato se lo può permettere, e i millennial – appunto – forse smetterebbero di deprimersi.

A Sally Rooney, che ha reso i libri la cosa più figa del mondo, per questo e molto altro non possiamo dunque che essere grati.

Per questo, allo stesso tempo, se si tenta di leggerla al di là del puro piacere che i suoi libri provocano, e al di là del fenomeno internazionale, bisognerà fare i conti con il pregiudizio che sempre accompagna ciò che non solo è pop, ma di cui ci si stupisce che lo sia. Un po’ come è difficile leggere Baudelaire lasciando da parte l’oppio e l’Île Saint-Louis, o Rimbaud lasciando da parte l’orecchio di Verlaine.

Una storia di lutto

Cosa scrive dunque davvero Sally Rooney e come scrive? Di cosa parla Intermezzo? Intermezzo parla di un lutto. Peter, 32 anni, avvocato di successo, e suo fratello Ivan, 22 anni, promessa degli scacchi, si trovano a dover affrontare la morte del padre. Che un’autrice di cui si ama dire che scrive di sesso meglio di qualunque altro contemporaneo abbia scritto un libro che, in fondo, è un libro sulla morte potrebbe farci pensare.

Ma è così; seguire le vicende di Peter e Ivan comporta il domandarsi continuamente se quei due siano “proprio così”, o se agiscano così solo in risposta al lutto, e quindi stiamo vedendo un quadro in movimento, già innescato dalla morte.

I personaggi lo ripetono, del resto, continuamente: quando Peter, dopo un periodo di assenza, si scusa con la sua giovane amante Naomi, lei gli risponde: «Sei sconvolto per tuo papà, Peter». Sempre Naomi, a Ivan, quando Peter si allontana da lei per tornare ad abbandonarsi al suo primo amore, Sylvia: «Da quando è morto vostro papà. Scusa se te lo dico. Non ci sta più con la testa».

Anche Ivan, a sua volta, si trova a rispondere al lutto con l’eccitazione di un nuovo amore, quando a un evento di scacchi incontra la bellissima Margaret, 36 anni e un divorzio alle spalle. Che i millennial siano oggi quelli che più di tutti hanno fiuto per le cose della morte e il senso della fine? Può darsi.

Che i tanti e magnificamente descritti rapporti sessuali di questo libro non siano abbandoni a estasi vitalistiche, ma movimenti regressivi, di ritorno all’origine, di riparo dal mondo, che forse uno dei segreti di Sally Rooney sia un linguaggio della sessualità libero dalle logiche novecentesche dell’esplicito/implicito, della liberazione/regressione?

Intermezzo è un libro che mette al centro l’amore, il dolore, e la morte.

Un romanzo dove tutti parlano di Dio, perché in fondo non si riesce a non parlare di Dio di fronte alla morte, ma Peter è il solo che sull’argomento fa «battute ironiche che però nascondono talvolta una paura di Cristo seria e terribilmente reale». È sempre lui che viene preso da un «improvviso forte impulso di mettersi a pregare».

Intervalli ed epifanie

Sempre a Peter il romanzo regala i momenti più sferzanti, le curvature più strane e impreviste, dall’invettiva contro poliamorosi e feticisti – «Gente che, senza offesa, ha riscosso la sua quota di appagamento erotico nella società civile e di lì in poi è condannata all’irrilevanza sessuale agli occhi di qualunque persona normale» – fino a una delle pagine più belle del libro, una piccola epifania stradale joyciana: «Che vite prive di senso fanno le persone. (…) Un pensiero gli sale con calma alla superficie della mente. Vorrei essere morto. Di sicuro ogni tanto capita anche agli altri. Che gli venga l’idea. Ricordi una cosa imbarazzante che hai fatto anni prima e di colpo pensi: ecco, mi ammazzo».

Siamo (ancora) nel terreno della morte: wertherismo millennial, esplorazione di nuove opposizioni: «Maturità vs giovinezza. Sobrietà vs decadenza, intelletto vs bramosia». È in gioco una lotta di cui non si vede il campo, il residuo di un mondo di cui i millennial sono gli ultimi, nevrotici depositari e che nel contempo vorrebbero disperatamente lasciarsi alle spalle.

Intermezzo allora non è solo il tempo di un intervallo tra una normalità e un’altra, ma anche il luogo in cui vive una generazione destinata ad essere incompresa: una generazione destinata a fare da capro espiatorio per la trasformazione di un mondo. «Non so come fare», dice Peter, «non so come fare a vivere». Ecco allora di cosa parla Intermezzo: di come fare a vivere; dopo un lutto, nell’amore, nel mondo a venire.

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