Il 31 agosto del 1997 è il giorno in cui ho iniziato a pensare alla morte. Avevo 5 anni e mi trovavo, come ogni estate, nella casa al mare dei miei nonni a Focene, una località di poche anime sul litorale romano che piace solo a Giorgia Meloni. Quel giorno in tv non si parlava d’altro che della morte di Diana Spencer, Lady D., che era l’unica principessa di cui avessi nozione fuori dai cartoni animati della Disney ed era per questo qualcuno per cui provavo un’insensata ammirazione.

Quella stessa mattina mia madre aveva pestato una siringa in spiaggia e negli anni Novanta c’erano diversi motivi per allarmarsi per un incidente simile. Primo fra tutti l’Aids, mi aveva spiegato mio padre al telefono mentre mia mamma andava in ospedale a Fiumicino a sottoporsi a una serie di analisi. Da Focene a Fiumicino, peraltro, ci si arriva per una strada dal nome piuttosto espressivo, Viale Coccia di Morto, che non è di buon auspicio se stai andando a scoprire se hai contratto o meno un virus all’epoca spesso letale. 

Mia madre tuttavia non ha preso l’Aids, ma è forse per questo episodio che leggendo Spare, l’autobiografia del principe Harry, pubblicata da Mondadori, il mio cervello mi ha fatto leggere “Fregene” tutte e ventisei le volte che si parlava di Frogmore, residenza reale di Harry e Meghan nel breve periodo in cui erano determinati a lavorare per la nonna di lui. 

La sinossi

Stampa cattiva cacca pupù. Questa sarebbe la sinossi minima del libro, e sarebbe anche il libro nella sua interezza se a scriverlo fosse stato il principe e non il premio Pulitzer J.R. Moehringer (già autore di Open di Andre Agassi), considerato che Harry rimarca più volte di essere una mezza capra. C’è un momento in cui Meghan cita Mangia prega ama e lui viene assalito dai complessi di inferiorità, manco avesse citato Proust in francese: «Aveva in mente un’esperienza alla Mangia prega ama. “Mangia che?” “Il libro?” “Ah. Scusa. Non sono molto ferrato sui libri”. Ero intimorito. Era l’esatto contrario di me. Leggeva. Era istruita». 

Invece, avendo assoldato un professionista (per un milione e mezzo di dollari, si dice in giro, e spero per lui che il suo contratto avesse una buona clausola per le royalties, visto che Spare sta vendendo una vagonata di copie) il libro si legge volentieri, nonostante siano 540 pagine di una ripetitività e di una mancanza di tensione narrativa che non credevo possibili.

È pur sempre una storia in cui si litiga per un cambio di segnaposti a un matrimonio. È una storia in cui due cognate arrivano ai ferri corti perché una ha osato parlare di ormoni all’altra («Kate spalancò gli occhi: “Sì. Hai parlato dei miei ormoni. Non siamo abbastanza intime perché tu possa parlarmi dei miei ormoni!”»). È una storia in cui un cane ingessato è parte fondamentale di una proposta di matrimonio («Presi in braccio Guy, lo portai fuori nel giardino recintato e lo posai su una coperta che avevo steso sull’erba. Poi corsi di nuovo dentro e chiesi a Meg di prendere la sua flûte di champagne e seguirmi»). È una storia in cui, quando pensi che non te ne possa fregare di meno della vita di questo qui – che è un po’ La mia Africa, un po’ Black Hawk Down, un po’ Richie Rich, tutto in toni estremamente apologetici – ti imbatti in un capitolo in cui il principe, al polo Nord, è afflitto dai geloni alla fava. Fava che cura spalmandoci sopra una crema di Elizabeth Arden consigliata da un’amica e il cui odore lo riporta immediatamente al ricordo della madre defunta, che a quanto pare usava la stessa crema. Dal dolore al pene all’immagine della mamma in un battito di ciglia: Freud, mi senti? 

Tutto di Spare e del suo protagonista grida “millennial”. C’è l’umanizzazione degli animali da compagnia. C’è la copertina smarmellata pronta per il feed di Instagram (a un occhio attento non sfuggiranno i segni dei dollari che brillano nell’iride del principe). C’è il parto ayurvedico e la fattucchiera che parla coi morti. C’è l’ipersensibilità, l’essere dolcemente complicato, il trauma motore di ogni cosa.

Redenzione e compassione

E poi c’è la redenzione: un’infinità di scuse per tutto, per aver pippato, per la divisa da nazi, per aver tirato fuori il culo a Las Vegas, per aver alzato la voce con la moglie, per aver chiamato “Paki” l’amico pakistano. Funziona perché Harry nella sua vita ha pestato abbastanza merde da tirarne fuori almeno una trilogia, e infatti ha firmato un contratto editoriale per quattro libri (per 20 milioni di dollari, pare). Non so cosa racconterà negli altri, considerato che qui sembra aver dato fondo a ogni singolo spostamento d’aria della sua esistenza. Voglio dire, cosa rimane dopo i genitali surgelati? I suoi valori del colesterolo? Il report di una colonscopia? La foto della colonscopia medesima?

Il mondo aspetterà paziente la prossima lavata di stracci, ma per ora Spare è il perfetto manifesto del bravo omino dei nostri tempi, accuratamente progettato per suscitare compassione. E posso dire? Missione compiuta. Perché da brava millennial sono piena di compassione, ho compassione da vendere, e persino un miliardario che piange miseria talvolta può fare breccia nel mio cuore. Anche se a tratti Harry forza un po’ la mano e mi perde, per esempio nel raccontare la difficile ricerca di una casa in cui andare ad abitare in California con la sua famiglia: «Trovammo una casa a un prezzo molto scontato. Lungo la costa appena fuori da Santa Barbara. Tante stanze, un giardino grande, una struttura per arrampicarsi e persino uno stagno con le carpe koi. [...] Quindi raggranellammo una caparra e accendemmo un mutuo poi, a luglio 2020, ci trasferimmo». Lui raggranella, capito? E ci tiene a dire che si può permettere lo stagno con le carpe perché il prezzo è scontato: c’è qualcosa di più patetico? 

Fallisce anche nel rendere sua moglie un personaggio positivo: se vuoi renderla simpatica al pubblico, in particolar modo a quello femminile, non puoi dire che continua a dimagrire nonostante si imbottisca di shepherd’s pie dalla mattina alla sera. È ovvio che ci sarà vieppiù insopportabile. 

Buoni e cattivi

(Ian Jones/Pool photo via AP, File) Associated Press/LaPresse Only Italy and Spain

Come avevamo già intuito dalla loro serie su Netflix (che non ho finito, perché a differenza del libro qui non c’è un premio Pulitzer a rendermela accattivante) e prima ancora dall’intervista con Oprah Winfrey, la rottura di Harry e Meghan con la corona non è solo formale, ma culturale. Basta contegno britannico, sì all’emotività spicciola della narrazione all’americana. Immagino abbiano fatto bene i conti e quindi va benissimo, basta che funzioni.

Il mezzo mi sembra che lo sappiano sfruttare al meglio: sia la serie che il libro, con buona pace di Moehringer, sono talmente pieni di banalità che fino all’ultima pagina mi aspettavo di trovare la citazione di Tolstoj sulle famiglie infelici che sono infelici a modo loro (soprattutto perché una cosa che emerge da Spare è che va bene i reali, ma a fare davvero schifo è la famiglia di lei, che non ha neanche la scusa di essere un’istituzione secolare). E invece no, la citazione di Tolstoj manca, e anche solo per questo mi sento di dire che Moehringer si è guadagnato il suo milione e mezzo. 

Mentre Harry incolpa i vari membri della sua famiglia di non aver saputo stare al suo fianco nei momenti più difficili della sua vita, risulta evidente che ci sono anche dei buoni in questa storia: mamma Diana è l’angelo che li guida e la loro protettrice in questo brutto mondo, nonno Filippo un uomo spiritoso che viene ricordato con nient’altro che affetto, la nonna Elisabetta, che passa a miglior vita nell’epilogo di Spare, una donna ammirevole che li ha lasciati troppo presto (che è curioso considerato che è stata fino all’ultimo a capo della baracca su cui Harry e Meghan spalano letame da due anni a questa parte). Questa è la morale di Spare: l’unico parente buono è un parente morto. 

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