Nessuna tetta è al sicuro quando c’è di mezzo Sam Levinson. L’avevamo già capito guardando Euphoria, serie da lui creata e diretta, e ce lo conferma con The Idol, di cui è sempre regista e autore e in cui le protagoniste sembrano essere le tette di Lily-Rose Depp alla quale è stato negato il diritto di indossare abiti più grandi di un tovagliolino da cocktail e top che prevedessero il contenimento del seno. E quindi nelle prime due puntate le scappano fuori da tutte le parti, di lato, di sotto, in trasparenza.

Non sono neanche delle tettone (in Euphoria le tette di Sydney Sweeney hanno subito lo stesso trattamento, ma le dimensioni in quel caso contavano), sono due tette normali che entrerebbero facilmente nella proverbiale coppa di champagne. Eppure nessun pezzo di guardaroba sembra adatto a contenerle.

Sembra un po’ riduttivo parlare di tette in relazione a una serie che è stata presentata a Cannes, ma a ben vedere non c’è molto altro da dire per ora. Sono uscite le prime due puntate, le stesse che sono state presentate al festival, anticipate da mesi di agitazione.

Si gridava allo scandalo già all’uscita delle prime immagini, si parlava di ambiente tossico sul set e sembrava che la baracca dovesse chiudere ancora prima di aprire. E invece è uscita, sta uscendo, e a parte i primi venti minuti della prima puntata, che sono belli serrati e mi hanno illusa che potesse essere una figata, è tutto abbastanza noioso e molti la stanno odiando.

La trama

The Idol parla di Jocelyn (Depp), giovane popstar di fama mondiale un po’ Britney un po’ Miley che cerca di riemergere con un nuovo singolo dopo un crollo nervoso seguito alla morte della madre. Non è mai sola: agenti, uffici stampa, assistenti, giornalisti di Vanity Fair affollano la sua villa coreografando più o meno letteralmente la sua rinascita, che passa per piedi frantumati sui tacchi, crisi isteriche e un sacco di sotto-tetta.

A scombinare i piani è Tedros, interpretato da Abel Tesfaye (The Weekend su Spotify, bravo musicista, pessimo attore) uno zarro clubbaro con ambizioni da producer che si insinua nella vita di Jocelyn non si capisce bene per fare cosa: scoparla? Diventare il suo manager? Scroccarle una stanza a palazzo?

Sembrerebbe, comprensibilmente, voler fare tutte e tre le cose, ma la verosimiglianza finisce subito: Depp, che è di una bellezza disturbante, essendo la perfetta sintesi dei suoi genitori, è attratta dallo zarro col codino (invece che dalla divinità a forma di uomo che raccatta la sua amica/assistente quella stessa sera) e per ragioni che non ci è dato conoscere, perché Levinson taglia il loro primo incontro un tanto al chilo, si fida solo di lui, del boro col codino e la tuta in acetato.

A un certo punto c’è una scena di sesso di quelle che preferiresti non vedere con i tuoi genitori, della durata percepita di Via col vento. Nel guardarla ho provato un certo imbarazzo, non perché sono una vecchia zia (la sono) o perché Levinson è un provocatore (non lo è, è solo un maiale con un po’ di talento e un budget molto alto) ma perché è brutta, abbastanza da evocarmi la scena di sesso più brutta che avessi mai visto e a cui non pensavo da un po’, quella di Anna Falchi e Rupert Everett che si ammucchiano su una tomba in Dellamorte Dellamore.

Ambizioni artistiche

In The Idol è tutto un po’ destabilizzante, ma non come in un film di Aronofsky (maestro del disagio), più come se entrassimo in un bagno pubblico e ci trovassimo davanti uno con i pantaloni calati e lo sguardo atterrito perché la chiave non chiudeva.

Mai fidarsi di chi dichiara intenti provocatori, sono come le persone che sostengono di essere molto autoironiche e non lo sono mai. Che provocazione sarebbe, una serie che fa quello che Showgirls di Paul Verhoven faceva trent’anni fa? L’omaggio a Verhoven, peraltro, non è neanche nascosto bene: Basic Instict passa in televisione nella prima puntata. Solo che un film come Showgirls era talmente brutto che faceva il giro, mentre The Idol ha l’ambizione di essere arte. E invece è Cinquanta sfumature di grigio, ma con la droga e la gente che canta.

Intanto in questi giorni si è tornato a parlare di Britney Spears, che nonostante la fine della conservatorship che la vedeva sotto il controllo del padre fino a un paio di anni fa sembra che non stia affatto bene (droghe, principalmente), al punto che su Internet circola la teoria che sia in realtà già morta e che qualcuno stia condividendo contenuti al posto suo per preparare meglio la notizia del suo decesso.

Dal suo account di Instagram compaiono i soliti contenuti: post motivazionali da maestra di provincia, immagini generiche che potrebbero tranquillamente essere state scelte da un bot, video di lei che balla indemoniata indossando mutande sempre più piccole (un po’ come i reggiseni di Depp, ma su un corpo maturo che ha ormai poco di sexy) e scalpicciando su un orrendo pavimento marmorizzato. È tutto molto triste, soprattutto per noi femmine e maschi omosessuali degli Anni 90.

Tristezza posticcia

In The Idol la tristezza è posticcia, non ci crede nessuno, e forse è questo il problema principale della serie. A me di Jocelyn non me ne frega niente, ma comunque non meno di quanto fregasse a Levinson mentre girava. Smetterò quindi di guardare questa serie? Probabilmente no, non mi sembra ancora la pacchianata immonda che molti stanno descrivendo e ormai ho bisogno di sapere quanto piccoli possono diventare i top di Jocelyn. Cosa useranno nella prossima puntata per coprirla? Due francobolli? Un biglietto del bus? Dei chicchi di riso? La suspense mi uccide.

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