A vent’anni dalla sua morte avvenuta a Torino il 9 gennaio 2004, intendo ricordare Norberto Bobbio proprio come lui avrebbe voluto: negli affetti e nelle opere. Per gli affetti, mi fa piacere continuare a esprimere la mia riconoscenza per l’avermi incoraggiato e aiutato nel mio percorso accademico, dalla laurea all’ordinariato, alla cooptazione come condirettore del Dizionario di Politica, e per le lunghe gradevoli conversazioni in via Sacchi 66. Per le opere, ho scelto la conclusione della sua premessa alla prima edizione di un suo libro di grande successo, Il futuro della democrazia (Torino, Einaudi, 1984), pubblicato nell’ottobre del 1984, più volte ristampato (la più recente nel 2014).

«Se m’immagino degli interlocutori che vorrei, non proprio convincere, ma rendere meno diffidenti, non sono coloro che disegnano e avversano la democrazia come il governo dei “malriusciti”, la destra reazionaria perenne, che risorge continuamente sotto le più diverse spoglie ma con il rancore di sempre contro gli “immortali principi”. Sono coloro che questa nostra democrazia, sempre fragile, sempre vulnerabile, corrompibile e spesso corrotta, vorrebbero distruggere per renderla perfetta… Aprire il dialogo con i primi rischia di essere tempo perso. Continuarlo coi secondi consente di non disperare nella forza delle buone ragioni».

Bobbio avrebbe sicuramente tenuto a continuare quel dialogo, ancor più motivato dopo il crollo del comunismo come regime politico e come ideologia. Infatti, già in occasione della sanguinosa repressione cinese del movimento di studenti e lavoratori in piazza Tienanmen si era affrettato a scrivere: «La democrazia ha vinto la sfida del comunismo storico, ammettiamolo. Ma con quali mezzi e con quali ideali si dispone ad affrontare gli stessi problemi da cui era nata la sfida comunista?» (“L’utopia capovolta”, in La Stampa, 9 giugno 1989).

In assenza da qualche tempo di intellettuali pubblici all’altezza delle sue conoscenze e delle sfide alla e nella democrazia, alla democrazia ideale e alle democrazie realmente esistenti con i loro inevitabili, più o meno gravi e difficili, problemi di funzionamento, non si ha nessun dialogo, nessun confronto, nessun apprendimento, tutti sostituiti da terribili semplificazioni e da reciproci astiosi anatemi, da Bobbio sempre respinti. Anche se non esaustivo, il tema della democrazia, delle regole del gioco, dei diritti è centrale in quasi tutti gli scritti di Bobbio, da quelli giuridici a quelli filosofici, da quelli di storia del pensiero politico, magistrale da molti punti di vista il Profilo ideologico del Novecento italiano (Torino, Einaudi, 1986), a quelli di scienza politica e agli splendidi, sempre rigorosi, talvolta affettuosi (esemplari quelli di Leone Ginzburg e di Piero Gobetti) ritratti di “maestri e compagni”, le personalità che a vario titolo hanno espresso, dato voce a e rappresentato l’Italia civile.

Il 1984

Il 1984 fu un anno importante nella biografia di Bobbio. Il 18 luglio il presidente Pertini lo nominò senatore a vita. Si iscrisse come indipendente al gruppo parlamentare del Partito socialista italiano, nonostante due mesi prima avesse avuto uno scontro durissimo con Bettino Craxi. Infatti, avendone criticato la rielezione per acclamazione alla segreteria del partito con un memorabile articolo su La Stampa, “La democrazia dell’applauso”, ne era stato indirettamente redarguito dallo stesso Craxi, con l’espressione «i filosofi che hanno perso il senno». Come dettaglio interessante aggiungo che Fabio Fabbri, scomparso novantenne qualche giorno fa, capogruppo dei senatori socialisti, dei quali faceva parte anche il grande giurista Gino Giugni, padre dello Statuto dei lavoratori, fece de Il futuro della democrazia il suo regalo di Natale ai senatori socialisti.

Mai uomo di partito, la concezione di democrazia di Bobbio era stata fortemente influenzata dal pensiero e dagli scritti di uno dei massimi giuristi del suo tempo, il boemo Hans Kelsen: democrazia parlamentare, partitica, proporzionalista. La nervatura etica della democrazia di e in Bobbio fu il prodotto della sua appartenenza al Partito d’azione, di cui fu candidato, sconfitto, alla Assemblea costituente, della condivisione di quei valori di libertà, di solidarietà e di buongoverno, e delle sue interazioni culturali o personali con molti azionisti, dai fratelli Rosselli all’amico carissimo Vittorio Foa, da Leone Ginzburg a Piero Calamandrei. La tensione etica della democrazia degli azionisti trovava in Bobbio il terreno fertile e predisposto dell’intransigente moralismo sabaudo.

Si scontrava con il realismo politico, la “duttilità” manovriera dei comunisti, a partire da Togliatti, dagli scambi scritti con i quali, proprio sulla libertà della cultura e sulla democrazia, scaturì il famoso libro Politica e cultura (Torino, Einaudi, 1955), molte volte ristampato, ne posseggo anche una copia del 2005.

Al filone degli studi sulla democrazia appartiene certamente anche quello che è stato il vero best seller, 400mila copie vendute, di Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione (Roma, Donzelli, 1994). La Bibliografia degli scritti di Norberto Bobbio 1934-1993, a cura di Carlo Violi (Roma-Bari, Laterza, 1995) è amplissima e ricomprende una pluralità di tematiche importanti, ma non una, probabilmente impossibile, Teoria generale della politica.

Con qualche civetteria, Bobbio si è dichiarato quasi dispiaciuto di avere scritto molto, forse troppo, in maniera non sistematica, ma eclettica. Personalmente, ritengo che, a determinate condizioni, l’eclettismo sia un pregio. La prima condizione è che l’autore eclettico acquisisca comunque tutte le conoscenze necessarie a costruire la sua argomentazione per superare quanto è acquisito e noto. La seconda condizione consiste per l’appunto nella qualità della spiegazione proposta e nella sua capacità di aprire nuovi percorsi di ricerca. A mio modo di vedere, l’eclettismo di Bobbio soddisfa entrambe le condizioni sia che l’oggetto siano gli intellettuali, quello che fanno, come lo fanno, come dovrebbero farlo, sia che l’analisi riguardi, ricorro al tema più importante e attuale, Il problema della guerra e le vie della pace (Bologna, il Mulino, 1979), la cui assenza nel confuso e astioso dibattito italiano contemporaneo mi appare assolutamente preoccupante.

Testimone del suo/nostro tempo, “filosofo militante” come, sulla scia del suo amato Carlo Cattaneo (Una filosofia militante. Studi su Carlo Cattaneo, Torino, Einaudi, 1971), non esitava a definirsi, l’eredità di Bobbio sono i suoi scritti, le sue analisi, le sue interpretazioni, la sua opera di chiarificazione concettuale, la sua visione di una democrazia rispettosa e di una società giusta. La constatazione che le sue citazioni sono oramai molto rare e che i riferimenti ai suoi scritti sono oramai pochissimi segnala quanto abbiamo perduto e quanto lavoro, anche (ri)leggendo i suoi saggi, è diventato ancora più necessario.

© Riproduzione riservata