Gentile direttore, ho letto con molto interesse l’intervento di Stefano Balassone pubblicato su questo giornale e non posso che condividere l’auspicio che la nuova stagione politica che si aprirà con la nascita del governo Draghi possa corrispondere anche all’avvio di quel processo di riforma e rinnovamento in grado di liberare la Rai dai condizionamenti che le impediscono di assolvere pienamente alla sua funzione di servizio pubblico e di guida, per il paese, attraverso quei cambiamenti che la pandemia ha reso più rapidi e pervasivi.

Proprio a questo scopo nel novembre scorso il Partito democratico ha depositato una proposta di legge sia al Senato, a mia prima firma, che alla Camera, a prima firma Andrea Orlando, per una riforma della governance. Obiettivo: mettere Viale Mazzini in condizione di esercitare il suo ruolo di prima azienda industriale e culturale d’Italia e strategica rispetto alla sfida dell'innovazione digitale, sia sul piano delle infrastrutture (penso in particolare alla rete unica per internet) che dei linguaggi e dei contenuti.

D'accordo con Balassone, anche io penso che così com'è la Rai, con i vertici vincolati a un sistema basato sulla lottizzazione partitica, non funziona e quindi non serve. È questo potere di condizionamento che va senz’altro superato. Ma come?

La proposta depositata in entrambi i rami del parlamento prevede di affidare la governance a una fondazione che garantisca «l’autonomia del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale dal potere politico ed economico», verifichi «il valore pubblico della programmazione», assicuri «la gestione efficiente della Rai-Radiotelevisione italiana Spa e di tutte le società controllate».

Guardando anche alle migliori e più innovative esperienze europee, la sfida che ci compete è oggi quella di “restituire” alle cittadine e ai cittadini che pagano il canone una Rai che svolga davvero un servizio pubblico, forte e fiera della propria identità e mission. Una Rai competitiva rispetto agli altri soggetti commerciali perché capace di differenziarsi da essi, di interpretare le nuove condizioni del presente e di stare da protagonista nello scenario futuro, recuperando autonomia, indipendenza, capacità e rapidità decisionale.

Così la Rai può e deve tornare autorevole e valere, lo dico senza mezzi termini, quello che costa, ossia quasi 2 miliardi di euro l’anno di risorse pubbliche. Risorse che vanno investite da una parte per valorizzare finalmente competenze interne e femminili – anche e soprattutto nei ruoli apicali occupati da donne al momento solo per il 24 per cento – superare gap di carriera e di retribuzione.

Dall’altra in un’offerta di qualità, innovativa, indipendente, competitiva sul mercato interno e estero, all’altezza non solo di ciò che la Rai ha rappresentato per l’Italia nel passato ma soprattutto di ciò che la Rai deve essere oggi e nel futuro e cioè il più grande e il più democratico veicolo nazionale di cultura, informazione e spettacolo.

Spero quindi che parallelamente alla procedura per il rinnovo dei vertici che, in base alla legge attualmente vigente, dovrebbe essere avviata proprio in queste settimane si approfitti per discutere, oltre che di nomi, di come la Rai può essere governata meglio e in modo più efficace coerentemente alla sua funzione e al servizio che deve rendere alla collettività.

Il diritto all’informazione come diritto costituzionale fondamentale per la crescita positiva della società tutta costituisce una priorità per il Partito democratico. Ed è per questo che deve essere priorità per il paese poter contare su una Rai che, arrivando a tutte e tutti, ne garantisca la pluralità, l’autonomia, la trasparenza e la qualità.

 

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