«Here Libyan Coast Guard, plane in the air, can you read me?», qui Guardia costiera libica, aereo in volo, mi ricevi? È il 28 marzo del 2021, una comunicazione radio registrata a bordo della motovedetta libica Fezzan svela le modalità attraverso cui la guardia costiera libica viene coordinata, con il supporto dei mezzi aerei europei, per riportare i migranti verso la Libia.

Abbonati a Domani

Quel 28 marzo, alle 14.18, la motovedetta libica Fezzan, classe Corrubia, un tempo di proprietà della nostra Guardia di Finanza, si trova ad una cinquantina di miglia dalla costa di Zwara, città di  di partenza delle barche dirette in Italia. Una comunicazione via radio ripete le coordinate «34d23N, 13d12E». Serviranno 6 tentativi per riuscire a trascrivere la posizione sul foglio di carta spiegazzato. Le comunicazioni sono disturbate, la conferma di delle notizie pubblicate da Domani nelle settimane scorse: spesso comunicare con i libici è impossibile, attese di ore cruciali per salvare vite, che il più delle volte finiscono inghiottite dal Mediterraneo. Le nostre telecamere riprendono ogni scena dall’inizio alla fine del respingimento in Libia con la complicità dell’Europa.

«Radio Sabratha, ho ricevuto una posizione via radio. Puoi confermare chi me l'ha inviata? È una richiesta di aiuto?», comunica l’ufficiale libico via radio. Segue una risposta incomprensibile. Riprende la navigazione a 14 nodi.

Siamo nel cuore del mediterraneo centrale, nell’area di competenza maltese, un gommone di colore grigio con 11 persone a bordo è in difficoltà. A 9 miglia di distanza c’è la petroliera Saint George. Il centro di coordinamento di Malta assume il comando, l’aereo coordina l’operazione dall’alto ma chiede di non essere identificato. A bordo della motovedetta Fezzan prende sempre più forma il respingimento di chi fugge dell’inferno.

«Aereo europeo nell'area», mi dispiace ma al momento non posso dare altre informazioni, ripete il pilota durante una comunicazione radio con la nave Saint George.

La stessa voce, sempre sul canale 16 chiede alla piattaforma Bouri: «Habibi, puoi aiutarmi a contattare Fezzan?»

La posizione è trasmessa mentre il velivolo Osprey 1 di Frontex - l’Agenzia per la sicurezza delle frontiere esterne all’Unione europea - si trova in prossimità della barca di migranti da salvare. Nella zona c’è anche il beechcraft King Air delle Forze armate maltesi. Il capitano della Fezzan, un uomo scarno e silenzioso, scarabocchia le coordinate delle barche di migranti che saranno intercettate.

Teoricamente, la Fezzan può viaggiare ad una velocità di 24 nodi. «Ma poi usiamo troppo carburante», dice il capitano, «e il motore potrebbe esplodere». In poche ore, l'equipaggio ha già tirato fuori dall'acqua circa 200 migranti, ma ha dovuto lasciare in balia delle onde una barca di legno con oltre 150 persone.

La Fezzan è già troppo piena. Le persone recuperate si accalcano sul ponte, gli occhi sono pieni di paura. «State seduti», ripetono i libici a più riprese. Sheik è un giovane del Gambia, ha solo 16 anni. È al suo quinto tentativo di fuga, sopravvissuto ad un naufragio in cui ha visto morire i suoi compagni di viaggio. «Sono terrorizzato, non so dove mi porteranno», sussurra. Riprendono le comunicazioni via radio e nella piccola sala a bordo della Fezzan fa eco la voce di un pilota con accento maltese «posizione ponente». 

Il pilota in volo ripete la posizione, prima in arabo e poi in inglese: il capitano della vedetta libica 658 Fezzan annota le coordinate sul foglio spiegazzato che ha tenuto in mano tutta la giornata. Un ufficiale inserisce le coordinate nel computer di bordo. Mani libere ai libici di operare. «Rubber boat, rubber», ripete il pilota, per specificare che si tratta di un gommone. Sono passate 3 ore circa dalla prima comunicazione via radio.

Continua la navigazione. Sul ponte della Fezzan ci sono almeno 200 persone. Puntini di luce isolati a metà tra la notte e il buio del mare riflettono tra le onde. Sono i fari della petroliera Saint George partita da Zuwara in direzione del porto di Milazzo.

I libici cercano un gommone grigio nel buio della notte. La posizione dell’imbarcazione: 34d21N, 13d10E Zona di ricerca e soccorso (Sar) Maltese. Sono le 21.41: «Operazione completata», comunica Mahmoud con la sala operativa a Tripoli. Undici persone salgono a bordo della Fezzan.  

La Fezzan alle 01:21 raggiunge il porto di Tripoli, Sheik e gli altri sono ammanettati e costretti a salire sugli autobus - forniti dall’Europa - del Dipartimento per il controllo dell’Immigrazione del ministero dell’Interno. I respinti da Malta e dall’Europa non hanno alternativa. Per loro c'è solo il pavimento del centro di detenzione di Tripoli Al-Mabani, dove sono rinchiuse tre persone per metro quadrato. Qualche settimana più tardi, nello stesso centro, un morto e due feriti: il bilancio di una sparatoria avvenuta durante un tentativo di fuga. Due adolescenti di 17 e 18 anni con ferite da arma da fuoco saranno trasferiti per cure mediche urgenti da un team di medici senza frontiere in una clinica di Tripoli.

Ai libici il lavoro sporco dell’Europa

Il 25 marzo, tre giorni prima del respingimento documentato da Domani a bordo della Fezzan, a Tripoli si è appena conclusa una missione congiunta dei tre ministri degli Esteri di Italia, Francia e Germania. L’Europa vuole recuperare terreno, ma soprattutto credibilità e rimandare a Tripoli l’ambasciatore. Ma la partita non è semplice. La Turchia è diventato il principale alleato militare di Tripoli e le promesse non mantenute dell’Europa lasciano spazio ancora una volta a scetticismo.

Sono passati quattro anni dalla promessa - ad oggi non mantenuta - di creare una centrale operativa di coordinamento marittimo a Tripoli. Un fitto intreccio di rapporti bilaterali, guidati dall’Italia e finanziati dall’Europa per legittimare respingimenti collettivi.

«Avrebbe dovuto esserci una sessione di studio, una simulazione del processo di ricerca e soccorso, lo sviluppo delle capacità del team, un centro di ricerca e soccorso da istituire, laboratori per lavori di manutenzione ... Niente di tutto ciò è stato eseguito», racconta il capitano della guardia costiera libica Abugella. Resta solo sulla carta il progetto del Centro Marittimo per la Ricerca ed il Soccorso in Libia, in gergo Lmrcc (Libyan Marittime Rescue Coordination Centre Project, MRCC).

«La guerra e il Covid hanno ritardato la creazione dell’Imrcc», è la risposta della commissione europea, che aggiunge «il piano è stato riadattato». Come? La nuova “soluzione” prevede un MRCC-container e corsi di formazione per un totale 2,7 milioni di euro. Seguiranno altre consegne previste per i prossimi mesi: sei gommoni rigidi per la Guardia Costiera libica e l'Amministrazione generale per la sicurezza costiera, ufficialmente sotto il ministero degli interni. E ancora, «tre nuove navi di ricerca e soccorso per la Guardia costiera libica, un piano di manutenzione di accompagnamento e lo sviluppo di un ulteriore centro mobile di coordinamento marittimo». La nuova unità mobile MRCC sarà operativa solo nel 2022 e prevede un costo di 1,7 milioni di euro.

L’istituzione dell’area di ricerca e soccorso (Sar) libica e la sua fattibilità si devono al governo italiano «con la notifica formale dell’area Sar Libia all'Organizzazione marittima internazionale e con la conduzione di uno studio per l'istituzione di un centro di coordinamento del salvataggio marittimo libico».

L’Europa ha pagato e l’Italia ha progettato. Le navi dell’operazione Nauras nell’ambito delle attività di Mare Sicuro della Marina militare italiana, presenti a rotazione nel porto di Tripoli dalla fine del 2017, forniscono supporto tecnico ma anche coordinamento tra le forze navali libiche e quelle italiane ed europee per la ricerca e soccorso.

C'è anche un finanziamento di 46 milioni di euro (42 provenienti dal Fondo Fiduciario d’Emergenza per l’Africa) per attività attuate dal Ministero dell’Interno italiano e destinate ad addestrare i Libici, istituire la zona Sar libica, rafforzare le capacità operative, fornire mezzi ed equipaggiamento per il controllo delle frontiere marittime e terrestri. Secondo la deputata europea Özlem Demire il budget originario di 46 milioni di euro è stato abbassato a 15, ma la commissione non è in grado di specificare con esattezza la posizione della sala operativa libica per la ricerca e soccorso (Sar).

Nei registri dell’organizzazione marittima internazionale la sede del centro coordinamento marittimo è l’aeroporto - ormai in disuso - situato nella città di Ben Ghashir, a circa 34 chilometri a sud di Tripoli. Una delle zone dove i combattimenti degli ultimi anni sono stati i più intensi.

Fonti istituzionali (come il sito della Polizia di Stato e quello di Invitalia) permettono di rintracciare le fasi del progetto europeo di esternalizzazione della frontiera europea e scoprire che a fronte dei 46 milioni di euro previsti nel 2017, a settembre 2020 ne risultano spesi meno di 6 milioni. 

Il Ministero dell'Interno Italiano prima e il Tribunale amministrativo del Lazio dopo, hanno prontamente e genericamente rigettato le richieste di accesso ai documenti e alle informazioni relative all'utilizzo delle risorse finanziarie dei programmi Europei in Libia. Motivazione: «Un’eventuale pubblicazione di informazioni attinenti a strutture, equipaggiamenti e servizi delle istituzioni di stati esteri, ottenute attraverso rapporti operativi, infatti, sarebbe anche contraria ai principi di correttezza che usano caratterizzare le relazioni internazionali».

Diverse associazioni europee, tra cui anche gli avvocati italiani di Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) avevano già sottolineato la difficile compatibilità del Fondo Fiduciario per l’Africa con i requisiti previsti da Bruxelles per la gestione dei fondi dell’Unione. «Manca una chiara e coerente definizione degli obiettivi», è la denuncia, ma ci si interroga soprattutto sul tema dell’impatto di alcune di queste attività sui diritti fondamentali di migranti.

Nei documenti riservati dell’Unione europea, le autorità di Bruxelles ribadiscono le preoccupazioni per la sorte dei migranti nel Paese «continuano ad essere oggetto di detenzione arbitraria e tortura, sia nelle carceri ufficiali che non ufficiali».

Le attività finanziate dall’Unione comprendono la fornitura di imbarcazioni all’amministrazione generale per la sicurezza costiera (Gacs) - un nuovo sceriffato di milizie integrato al ministero degli interni -  e quella di trenta Land Cruiser Toyota e dieci Minibus Iveco, al dipartimento per il controllo dell’Immigrazione del ministero dell’Interno, nonché l’appalto per la fornitura di 14 ambulanze per il pronto soccorso. Si aggiungono anche altri servizi di «assistenza tecnica e consulenza specialistica, appaltati a società di consulenza esterne e formazione».

I beneficiari

Tra gli uomini della guardia costiera gli ufficiali di carriera sono pochi. Stabilire una struttura lineare per gestire il Centro Marittimo per la Ricerca ed il Soccorso libico è una missione intricata. Marina militare e guardia costiera sono un unico corpo e rispondono al ministero della difesa, le cui deleghe ancora oggi rimangono nelle mani del premier Dbeibah. Se gli incarichi politici sembrano essere più noti – in cima, c’è il capo di stato maggiore, il generale Mohammed el-Haddad – quelli più operativi sembrano affidati a tutti e a nessuno. Gli unici rappresentanti veri sono appunto il Colonnello Reda Eissa, capo della guardia costiera libica e il capo della Marina libica, il Maggiore Noureddin Elboni.

Salem Elkabir, dipendente della Libyan civil aviation authority, è l’unico nome che si legge tra i responsabili delle comunicazioni a terra. E tra gli indirizzi mail ufficiali compaiono due indirizzi gmail.

Il documento riservato 

L’evoluzione delle relazioni con la guardia costiera libica è parafrasata in un inedito report interno del 2 febbraio 2021, intitolato Monitoring Mechanism Libyan Coast and Navy, redatto da EunavForMed-Operazione Irini, la missione navale europea guidata dall’ammiraglio Fabio Agostini.

Nel documento di monitoraggio si rileva «la situazione critica nei centri di detenzione, le scarsa attrezzatura, i salari inadeguati, la mancanza di carburante per le imbarcazioni». In una recente inchiesta Domani, in collaborazione con il Guardiane  Rai News, aveva documentato l’inerzia della polizia marittima libica: in un giorno di naufragi con centinaia di morti oltre 50 chiamate senza risposta verso la centrale di Tripoli. Nessuna risposta, mentre bambini, donne e uomini affogavano.

Nel report si accenna ad una ripresa delle attività di monitoraggio e formazione della guardia costiera libica, legata però alla fornitura delle attrezzature, in particolare «imbarcazioni idonee all’attività Sar e aerei». 

A rischio la vita di centinaia di persone 

Negli ultimi anni Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, ha notevolmente rafforzato le sue capacità di sorveglianza. L'agenzia dell’Unione europea ha appena pubblicato una gara di appalto per voli di sorveglianza del valore di 101,5 milioni di euro. E in base al nuovo regolamento, sarà in grado di acquistare la propria flotta.

I funzionari di Frontex sono consapevoli del fatto che stanno principalmente aiutando a tenere i rifugiati lontani dalle coste dell'Europa. «Sappiamo che il centro di coordinamento di Tripoli non funziona, informiamo gli italiani e tutti gli MRCC dei paesi vicini», racconta un funzionario di Frontex.

Il parlamento europeo è preoccupato. In una lettera all’attuale commissario Ylva Johansson e al direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri, i deputati europei democratici e socialisti della Commissione per le libertà civili e gli affari interni hanno chiesto chiarimenti sulle modalità operative incluse nel  nuovo accordo tra Frontex e l'operazione Irini.

«Scambio di informazioni, operazioni di sorveglianza e ricognizione con Frontex e la missione Irini», racconta un capitano libico che dice di ricevere le foto delle imbarcazioni di migranti direttamente sul suo telefono personale.

Dopo mesi di ricerche, Domani, in collaborazione con Lighthouse Reports, Der Spiegel, Liberation e la televisione tedesca ARD Monitor, grazie a dati open source, interviste con i sopravvissuti, dipendenti di Frontex, membri della Guardia Costiera libica, oltre alla visualizzazione di documenti, foto e video esclusivi, ha ricostruito l'andamento di 94 tentativi di traversata, avvenuti tra gennaio e Novembre 2020 nel Mediterraneo centrale, in cui oltre 3000 persone sono state intercettate dalla guardia costiera e riportate in Libia.

91 persone sono morte durante le operazioni o sono considerate disperse, probabilmente in parte perché il sistema istituito dagli europei comporta notevoli ritardi.

Più volte, i funzionari dell’Agenzia hanno dovuto fare i conti con i naufragi. In almeno 20 casi, gli aerei di Frontex hanno volato in prossimità delle imbarcazioni di migranti da salvare, ma nella stragrande maggioranza, alla fine sono intervenuti i libici. L’ultima volta è capitato il 21 Aprile al largo della Libia, 130 i morti: «Li hanno lasciati annegare», hanno denunciato gli attivisti di Alarm Phone (un servizio umanitario di soccorso, ndr). 

«La nostra priorità è salvare vite umane», ha risposto alla richiesta di commento Frontex, aggiungendo che «quando sono in gioco vite umane facciamo il possibile per fornire informazioni alle autorità coinvolte nelle operazioni di soccorso, con email, ma anche telefonate e messaggi. In casi estremi mayday e chiamate radio, come la scorsa settimana con la nave Ocean Viking che abbiamo guidato verso una barca in pericolo». 

Il 21 Aprile, una mail ricevuta dal capitano Emil Przybylski della Nave portacontainer ALK, parla chiaro. Alle 17.20 del 21 Aprile, un messaggio di soccorso è stato inviato dal Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo di Roma, a nome della guardia costiera e della marina libica. «Richiesta di prestare assistenza ad un gommone in pericolo con circa 120 persone in posizione 33d26N, 13d57E».

Segue una mail il 22 aprile 2021 alle 00:24 inviata dal centro operativo di Roma. Oggetto: Schemi Ricerca per evento 371 / 2021. Roma scrive «per conto della guardia costiera e della marina libica». 

Così la zona Sar libica è diventata l'alibi perfetto per delegare il lavoro sporco che l’Europa non può fare. Le autorità europee garantiscono il tracciamento nel Mediterraneo centrale, con l’obiettivo di guidare i libici nel recupero dei gommoni carichi di migranti. La prova è in quelle immagini girate il 28 marzo 2021 a bordo della motovedetta Fezzan di Tripoli.

Abbonati a Domani

© Riproduzione riservata