Dopo l’attacco di sabato alla sede della Cgil, guidato da un gruppo di militanti del movimento Forza Nuova, si è tornati a discutere del possibile scioglimento di gruppi e partiti di ispirazione neofascista. Lo chiedono i leader del Partito democratico e del Movimento 5 stelle, e il Pd ha anche depositato una mozione in parlamento per chiedere al governo di procedere allo scioglimento.

È una decisione teoricamente possibile. Il governo potrebbe sciogliere Forza Nuova dopo la sentenza di un giudice se i dirigenti del movimento venissero condannati per ricostruzione del partito fascista. Ma il governo potrebbe anche agire senza aspettare un giudice nel caso in cui decidesse che ci troviamo in una situazione di «urgenza». 

Le leggi

In Italia, la Costituzione vieta la ricostruzione del partito fascista. È una norma contenuta nella XII disposizione transitoria che recita: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

Questa disposizione è stata tradotta in pratica nel 1952 con la cosiddetta legge Scelba, dal nome dell’allora ministro dell’Interno, il democristiano Mario Scelba. La legge stabilisce che ci troviamo di fronte a una «riorganizzare» il partito fascista quando: 

«[...] una associazione o un movimento persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politico o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la  democrazia,  le  sue istituzioni  e  i valori della Resistenza o svolgendo  propaganda  razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione  di  esponenti,  principii,  fatti  e  metodi  propri del predetto  partito  o  compie  manifestazioni  esteriori  di carattere fascista»

La giurisprudenza ha individuato nelle parole «minacciando o usando la violenza» la parte più importante della legge. Se questa condizione è presente, allora per i promotori e dirigenti dell’organizzazione rischiano da 3 a 10 anni di carcere e i semplici militanti fino a due anni.

La legge Scelba stabilisce anche che se una sentenza di tribunale stabilisce che un movimento o un’associazione hanno cercato di ricostituire il partito fascista, il ministro dell’Interno, sentito il Consiglio dei ministri, può sciogliere l’associazione e confiscarne i beni. Scioglimento e confisca possono avvenire anche tramite decreto legge, senza attendere la sentenza di un tribunale, in casi di «necessità e urgenza».

Apologia di fascismo

In passato, la legge Scelba è stata utilizzata in diverse occasioni sia per perseguire organizzazioni accusate di cercare di ricostruire il partito fascista, sia per colpire chi era accusato di «esaltare esponenti, principii, fatti o metodi del fascismo», il reato che va sotto il nome di “apologia di fascismo”, una fattispecie di reato diversa dalla ricostruzione del partito e prevista all’articolo 4.

Negli anni Cinquanta, la legge venne invocata in più di un’occasione per colpire il Movimento sociale italiano, un partito formato dai reduci della fascista Repubblica di Salò e antenato degli attuali partiti di destra radicale, come Fratelli d’Italia.

La giurisprudenza, però, stabilì tramite diverse sentenze che l’Msi non costituiva né un tentativo di ricostruzione, né praticava l’apologia di fascismo. Da allora, il reato di apologia di fascismo ha avuto una definizione particolarmente ristretta, anche per il rischio di conflitto con l’articolo 21 della Costituzione, che stabilisce la libertà di parola.

Si ritiene che compia apologia di fascismo soltanto chi esalta le figure o il regime fascista e lo fa con lo scopo di ricostruire il partito fascista.

Fare il saluto romano, vendere busti di Mussolini o sostenere che il regime ha fatto anche cose buone non sono quindi reato di apologia, se non sono allo stesso tempo accompagnati da un tentativo di rifondare il partito fascista, utilizzando violenza o minacce di violenza.

I precedenti

Nonostante queste interpretazioni restrittive, la legge Scelba è stata utilizzata in due circostanze per sciogliere organizzazioni e partiti politici di ispirazione neofascista.

Il 21 novembre del 1973, il tribunale di Roma condanna 30 dirigenti del movimento neofascista Ordine nuovo con l’accusa di ricostruzione del partito fascista. Il giorno dopo, 22 novembre, il ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani scioglie il movimento.

Un iter simile viene seguito tre anni dopo per un altro gruppo dell’estrema destra extra parlamentare, Avanguardia nazionale. Il 5 giugno del 1976, il tribunale di Roma condanna i dirigenti del gruppo in base alla legge Scelba e il 7 giugno il ministro dell’Interno procede allo scioglimento. 

In entrambi i casi, il ministero decise di attendere una sentenza di tribunale per procedere allo scioglimento, anche se la legge prevede che in casi estremi si possa procedere per decreto, senza attendere i tribunali. 

Storia leggermente diversa quella dello scioglimento del Fronte nazionale, un movimento costituito agli inizi degli anni Novanta da una serie di militanti della destra extraparlamentare e che aveva tra i suoi principali temi la promozione del razzismo sistemico e l’espulsione di tutti gli stranieri dall’Italia.

Indagati dalla procura di Verona per una serie di reati, tra cui la ricostruzione del partito fascista, i dirigenti del Fronte nazionale saranno condannati nel 1999 in base alla legge Mancino, che punisce chi incita alla violenza o alla discriminazione per ragioni razziali, etniche, religiose o nazionali. L’anno dopo, il movimento viene sciolto dal ministero dell’Interno.

Sette anni prima, la legge Mancino aveva già portato allo scioglimento di un altro gruppo della destra razzista, il Movimento occidentale.

Si può sciogliere Forza Nuova?

In teoria sì. Il Consiglio dei ministri potrebbe ritenere che ci troviamo in una situazione di «necessità e urgenza» e quindi potrebbe ordinare lo scioglimento di Forza Nuova per decreto. Questo scenario sembra però improbabile.

Il centrodestra che sostiene il governo non è favorevole allo scioglimento e inoltre non è mai accaduto nemmeno negli Anni di piombo che si procedesse a uno scioglimento senza attendere una sentenza di tribunale.

Secondo alcuni, però, le condizioni per procedere ci sarebbero tutti. Intervistato dalla Stampa, Francesco Clementi, professore di diritto comparato all’Università di Perugia, ha ricordato che l’assalto alla sede della Cgil di sabato è stato un episodio di violenza e che quindi «il caso rientra tra le fattispecie della legge Scelba».

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