La scuola dev’essere in presenza. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, l’aveva scritto in un decreto legge nel mese di agosto per «assicurare il valore della scuola come comunità» e «tutelare la sfera sociale e psico-affettiva della popolazione scolastica».

Draghi ha ribadito il principio nella conferenza stampa del 10 gennaio scorso – «il governo ha la priorità che la scuola stia aperta in presenza» – sottolineando che basta vedere gli effetti causati dalla Dad sugli studenti per convincersi che essa «provoca delle diseguaglianze destinate a durare, che si riflettono su tutto il futuro della loro vita». Non si può che concordare, come ha spiegato il direttore Stefano Feltri nel suo articolo del 12 gennaio.

Peraltro, è la stessa legge a sancire che le scuole restino aperte. Il decreto citato dispone che le chiusure sono consentite ai presidenti delle regioni solo «per specifiche aree del territorio o per singoli istituti esclusivamente in zona rossa e in circostanze di eccezionale e straordinaria necessità dovuta all'insorgenza di focolai o al rischio estremamente elevato di diffusione del virus Sars-CoV-2 o di sue varianti nella popolazione scolastica».

Ma ci sono le condizioni affinché la realtà si conformi alle intenzioni del presidente del Consiglio?

Il Tar e De Luca

I giudici hanno confermato la linea Draghi. Infatti, il Tar della Campania ha accolto il ricorso presentato da alcuni genitori, sospendendo l’ordinanza del presidente della regione, Vincenzo De Luca, che rinviava al 29 gennaio la ripresa della scuola.

È stata accolta anche l’istanza dell’avvocatura dello stato, per conto della presidenza del Consiglio e dei ministeri dell’Istruzione e della Salute, contro il provvedimento campano.

Il Tar ha fondato la propria decisione, tra le altre cose, sul fatto che il governo ha adottato una strategia di contrasto al Sars-CoV-2, con l’imposizione dell’obbligo vaccinale agli ultracinquantenni e ad alcune categorie di lavoratori, nonché con l’obbligo di certificazioni verdi per accedere a luoghi e servizi; con la disciplina delle ipotesi di chiusura e della gestione dei casi di positività nelle scuole; con l’adozione di «misure urgenti per il tracciamento dei contagi da Covid-19 nella popolazione scolastica».

Questa «dettagliata normativa di rango primario» – secondo il Tar – esclude interventi ad altri livelli, quindi anche ordinanze emergenziali come quella di De Luca, che si giustificano solo ove ricorra, oltre all'urgenza, la mancanza di una specifica disciplina. E non è questo il caso.

Quindi, il provvedimento della regione contrasta con le «scelte politiche operate a livello di legislazione primaria». Peraltro, la Campania non è in zona rossa – ipotesi nella quale è consentito un margine di azione ai presidenti di regione, come detto – e non «risulta alcun “focolaio” né alcun rischio specificatamente riferito alla popolazione scolastica».

Inoltre – afferma il Tar – la sospensione disposta da De Luca non risponde ai principî da rispettare quando si limitano libertà e diritti. Principî di “adeguatezza e proporzionalità”, poiché non vengono bilanciate le «contrapposte posizioni soggettive di diritto (all’istruzione, nella sua più ampia estensione, anche formativa della personalità dei minori)» e la «tutela prioritaria dell’interesse pubblico alla salute collettiva»; nonché di “idoneità”, dato che la «prolungata chiusura connessa alle festività natalizie» non ha comunque evitato l’aumento dei contagi.

Tra norme, intenzioni e realtà

LaPresse

Nonostante la legge disponga che la scuola deve svolgersi in presenza, salvo condizioni particolari previste dalla legge stessa, le classi in didattica a distanza (Dad) sono molte. E molte altre se ne aggiungeranno a breve. Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp), prevede vi saranno 200mila classi in Dad entro il 17 gennaio.

Il punto è che la realtà difficilmente si adegua alle intenzioni dei governanti di turno o alle norme che recepiscono tali intenzioni. La realtà si conforma, invece, agli interventi realizzati per modificarla. E la realtà è che per le scuole si è fatto poco.

Ad esempio, da più di un anno gli esperti rilevano la necessità di purificatori di aria e ventilazione meccanica controllata nelle aule, per tutelare la salute degli studenti. Ma non c’è stato un intervento specifico al riguardo.

Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ha provato ad affermare l’opposto, dicendo che il cosiddetto decreto Sostegni, del marzo 2021, avrebbe attribuito alle scuole risorse «esplicitamente indicate per gli impianti di aerazione», da gestire in autonomia.

L’affermazione del ministro è stata smentita dall’Anp. Innanzitutto, il decreto Sostegni elenca le destinazioni di spesa dei 350 milioni per le scuole – importo irrisorio, peraltro – e gli impianti di aerazione non sono previsti; né se ne fa espressa menzione nella nota con le indicazioni operative fornite alle scuole dal Ministero dell’Istruzione. Peraltro, ai sensi di legge la competenza a installare gli impianti nelle scuole è degli enti locali, e non delle scuole.

L’importanza dell’aerazione negli ambienti chiusi, scuole incluse, per «ridurre la presenza nell'aria del virus Sars-CoV-2», è stata sottolineata dall’Istituto superiore di sanità nell’aprile 2021. Ma il governo – nella legge di conversione del decreto Capienze – ha imposto impianti di aerazione o filtri Hepa nelle discoteche, e non nelle scuole, che sarebbero la priorità.

Incoerenza delle regole

Infine, tra le buone intenzioni del governo e la realtà si incuneano regole non sempre coerenti. Da un lato, la norma del citato decreto legge di agosto, come detto, prevede la chiusura delle scuole solo in zona rossa, e a determinate condizioni; dall’altro lato, norme diverse in tema di quarantena, previste da un decreto legge di inizio gennaio, fanno sì che si arrivi comunque alla chiusura di intere classi e all’attivazione della Dad, in caso di positività di uno o più studenti, a seconda che si tratti di elementari, medie o superiori. In altre parole, la scuola rimane formalmente aperta, ma molte classi possono restare sostanzialmente chiuse.

Inoltre, mentre per le regole generali (decreto 229/2021 e circolare del ministero della Salute del 30 dicembre 2021) i contatti stretti asintomatici di positivi, se vaccinati con tre dosi o con due oppure guariti da meno di 120 giorni, restano liberi di circolare in auto sorveglianza, nell’ambito scolastico la regola non vale: con casi positivi in classe, anche i vaccinati e i guariti stanno in quarantena. L’incoerenza è rilevante.

Se davvero la didattica dev’essere in presenza, al di là delle intenzioni, il presidente del Consiglio cambi le regole sulla quarantena, assumendosi la responsabilità del maggiore rischio di contagi, e motivi la scelta con trasparenza.

A proposito di trasparenza, finora il ministero dell’Istruzione ne ha fatta poca circa i dati sui contagi e sulle quarantene nelle scuole. Perché Draghi non chiede sia pubblicato un report periodico con tali dati, così da permettere a chiunque di valutare il rischio “ragionato”?

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