Sul diritto alla salute delle persone transgender, la politica procede scivolando nello scontro con la scienza. La commissione Affari sociali della Camera, il 29 ottobre, ha ripreso la discussione sul disegno di legge che punta a regolamentare l’uso della triptorelina nei minori con possibile varianza di genere. Cioè quel farmaco, già in uso da tempo, che interrompe lo sviluppo puberale negli adolescenti in attesa di decidere se procedere con la terapia ormonale.

Mezz’ora di audizione con gli esperti che ha rivelato con nettezza la distanza tra l’approccio della scienza e quello di una parte della politica. Da un lato la cautela delle istituzioni sanitarie, dall’altro un interrogatorio orientato più all’ideologia che alle evidenze.

L’Aifa: la triptorelina non è un farmaco sperimentato alla leggera

Collegato da remoto Pierluigi Russo, direttore tecnico scientifico Aifa, mette subito in chiaro il quadro: l’uso della triptorelina in Italia riguarda «circa 90 soggetti», numeri molto bassi e raccolti con difficoltà per carenze nel monitoraggio regionale. Non è un farmaco sperimentato alla leggera. È stato autorizzato «con una serie di criteri stringenti» e valutazioni specialistiche. Il problema non è l’eccesso, semmai il contrario: «questa attività di monitoraggio non era particolarmente precisa».

Le evidenze scientifiche esistono, anche se ancora non «fortissime». La letteratura indica una predittività positiva sul benessere psicosociale degli adolescenti che accedono a questo percorso. Il razionale clinico è chiaro: sospendere temporaneamente la pubertà per dare a ragazze e ragazzi il tempo necessario per comprendere meglio la propria identità. Esattamente la funzione di prevenzione dei pentimenti che la politica più ostile dice di voler garantire.

La deputata di FdI Maddalena Morgante durante la discussione della commissione Affari sociali alla camera
La deputata di FdI Maddalena Morgante durante la discussione della commissione Affari sociali alla camera
La deputata di FdI Maddalena Morgante durante la discussione della commissione Affari sociali alla camera

Il falso fenomeno delle persone “detransitioner”

Protagonista delle domande più orientate è la deputata di Fratelli d’Italia Maddalena Morgante, non un semplice membro di Commissione. Sarà lei la relatrice del provvedimento, come già raccontato da Domani. Le sue parole tracciano già un perimetro. La deputata pro-vita, porta sul tavolo, come se fosse un fenomeno dilagante, la figura delle persone “detransitioner”, ovvero delle persone che decidono di interrompere o invertire il proprio percorso di affermazione di genere. Lo fa leggendo dallo schermo del cellulare, dalla schermata pare che le domande arrivino su una chat Whatsapp: qualcuno le suggerisce, forse, cosa chiedere. E al direttore di Aifa domanda: perché utilizzare un farmaco «per curare il cancro alla prostata» di fronte al «fenomeno non marginale dei detransitioner?».

La domanda è confusa: accosta tumori e identità di genere senza nesso e definisce «non marginale» il fenomeno detransitioner mentre in Italia non ci sono studi sistematici e quelli internazionali indicano percentuali tra l’1 per cento e il 3 per cento. Inoltre le detransizioni riguardano quasi sempre trattamenti irreversibili, mentre i bloccanti servono proprio a evitarle. Una domanda che suggerisce la risposta prima ancora di ascoltarla. Il professor Russo resta sul tecnico e ricorda che la stessa azione farmacologica giustifica l’uso in tumori ormono-sensibili, ma serve anche per «consentire all’adolescente di meglio comprendere la propria identità di genere».

Il registro nazionale e l’ombra della schedatura

Il tema privacy apre un’altra falla. La deputata Luana Zanella (Avs) chiede come sia possibile proteggere l’anonimato di numeri così piccoli («90 soggetti») da una possibile schedatura durante il loro percorso. L’audito è Gabriele Sani, professore ordinario di Psichiatria presso l’Università cattolica del Sacro Cuore di Roma, direttore dell’Uoc Psichiatria clinica e d’urgenza del Policlinico universitario Gemelli Irccs: «Si deve studiare un metodo» per garantire che il registro riguardi la prescrizione del farmaco e non l’identità dei pazienti. La volontà c’è, il modello operativo ancora no.

Sani difende l’impianto multidisciplinare previsto dal ddl e l’importanza di percorsi psicoterapeutici strutturati. Oggi si passa da pochi colloqui a iter lunghi, spiega, a seconda della struttura. L’istituzione di un registro nazionale gli sembra «una buona risposta», se costruito con rigore.

FdI e quell’idea di patologizzare l’identità trans

Ma è Fratelli d’Italia, sempre con Morgante a tentare l’affondo culturale. Chiede se la disforia di genere debba essere considerata una patologia e, se non lo è, perché usare farmaci. La strategia è evidente: trasformare l’identità trans in un disturbo clinico per giustificare maggiori limiti. Sani respinge la semplificazione e richiama la distinzione internazionale riportata nei manuali Dsm5 e ICD-11. Nel primo la “disforia di genere” descrive il disagio psicologico legato all’identità, nel secondo l’“incongruenza di genere” è una condizione di salute sessuale, non un disturbo mentale. Il bersaglio terapeutico non è chi sei, ma il disagio che puoi provare a causa del mondo intorno nell’affermare la tua identità.

Cauto, Sani risponde «Mi sentirei di tenere in considerazione è che indipendentemente dall’etichetta data dai sistemi nosografici ci deve essere un momento di spazio per cui il giovane o la giovane e anche le famiglie abbiano la possibilità di confrontarsi con professionisti della salute mentale sul campo per dare il tempo di comprensione del fenomeno che sta accadendo ed eventuali, sottolineo eventuali di disagio. Poi si inizia un percorso».

Alla fine della seduta la fotografia è nitida. L’Aifa chiede più dati, non più barriere. Gli psichiatri chiedono strumenti, non sospetti. Le famiglie chiedono privacy. Non esposizione. La presenza di Morgante come relatrice introduce però un dato politico di realtà, come commentano fuori dalla Commissione Affari Sociali diversi deputati. Le domande che oggi appaiono tendenziose possono domani tradursi in norme. Il percorso parlamentare è appena iniziato e il fronte che vuole spostare il dibattito sulla patologizzazione delle identità trans è già all’opera.

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