Un tavolo tecnico durato un anno e cinque mesi, dibattiti accesi, proteste da parte dei genitori di figli con varianza di genere e qualche slogan. Adesso arriva in commissione Affari Sociali della Camera il testo "Disposizioni per l'appropriatezza prescrittiva e il corretto utilizzo dei farmaci per la disforia di genere" che riscriverà il diritto alla salute sull'utilizzo degli ormoni e dei farmaci bloccanti della pubertà per i minori con varianza di genere. C’è un testo, voluto dai ministri della Salute e della Famiglia Orazio Schillaci ed Eugenia Roccella, ma soprattutto c’è una relatrice: Maddalena Morgante, responsabile nazionale per FdI del dipartimento Famiglia e diritti non negoziabili.

Nipote di Valentino Perdonà che ha collezionato vent’anni di Parlamento nella Dc, a partire dal 1975, eppure con una carriera politica non brillante, un’adolescenza passata dentro Azione Giovani, il gruppo giovanile di Alleanza Nazionale. Nel 2020 si candida alle regionali in Veneto a sostegno del presidente uscente Luca Zaia, tremila voti (non viene eletta). Fa ancora peggio alle elezioni comunali di Verona nel 2022 (solo 393 preferenze). Subentra in consiglio nel maggio 2023 ma molla a settembre. Il partito riesce a portarla alla Camera.

L’Italia si accorge di lei a febbraio del 2023, quando lancia la crociata contro Sanremo e il cantante Rosa Chemical: «Proteggiamo i nostri bambini da Sanremo e dalla propaganda transgender». Un’uscita che le regala in effetti ribalta nazionale contro «l’appuntamento più gender fluid di sempre». Veronese, due figli, una propensione alla difesa dei bambini, purché siano italiani «la nostra stripe va scomparendo», paladina delle famiglie, purché siano composte da coppie eterosessuali, sostenuta dalla lobby anti-scelta Pro-Vita & Famiglia alla quale promette l’abolizione della legge 194. Si ritiene una custode del corpus domini (suo il disegno di legge per rendere la celebrazione cattolica per la presenza reale di Gesù nell'eucaristia, festa nazionale).

Tra i suoi percorsi di studi non c’è nulla che l’avvicini a un tema complesso come quello dei percorsi per le persone con varianza di genere: avvocata civilista con una laurea sulla “Riforma della parte aeronautica del Codice della navigazione”. Cultrice di diritto romano e diritto del turismo. Nessuna traccia formazione in endocrinologia, psicologia infantile o diritti dei minori in ambito sanitario.

Il ddl che inizierà il suo percorso da mercoledì in commissione, si snoda su quattro articoli, disposizioni precise e criticità evidenti.

Il primo è sulla somministrazione dei farmaci e degli ormoni. Prevede che i minori con incongruenza di genere possano ricevere farmaci bloccanti la pubertà o ormoni mascolinizzanti/femminilizzanti solo dopo diagnosi di un’équipe multidisciplinare, rispetto dei protocolli ministeriali e acquisizione del consenso informato. Un passaggio che rischia di comprimere il diritto alla salute dei minori (art. 32 Cost.) e l’autonomia dei medici, trasformando terapie consolidate in pratiche subordinabili a controlli burocratici. Una scelta che mette il medico in condizione di dover mediare tra indicazioni cliniche e vincoli amministrativi. Come già denunciato dagli esperti, anche durante il tavolo tecnico, il testo non si allinea alle prescrizioni delle linee guida internazionali (The World Professional Association for Transgender Health, Endocrine Society), rischiando ritardi nell’accesso a cure reversibili e sicure. E inoltre manca un meccanismo chiaro di partecipazione delle persone minorenni e delle famiglie, così come tutele per situazioni di emergenza.

Si pone inoltre l'accento sul registro Aifa. Cioè l’istituzione di un registro nazionale per monitorare prescrizioni, dispensazioni e follow-up dei trattamenti farmacologici. Il rischio è quello di una schedatura dei minori: la raccolta dei loro dati sensibili può violare il Regolamento generale sulla protezione dei dati (la normativa europea entrata in vigore nel 2018) e diritti alla riservatezza. Non sono previsti meccanismi di anonimizzazione né regole precise su accesso e utilizzo dei dati. La registrazione obbligatoria inoltre potrebbe scoraggiare medici e famiglie, creando ritardi nell’inizio dei percorsi terapeutici. Il rischio è anche quello di trasformare la cura in controllo amministrativo, potenzialmente stigmatizzante per i ragazzi.

L’articolo due  istituisce un tavolo ministeriale con cinque esperti per valutare i dati raccolti e redigere relazioni triennali al Parlamento. Una scelta già criticata dalle associazioni Lgbt e dai professionisti: quella di una nomina politica degli esperti rischia di sostituire valutazioni scientifiche con considerazioni ideologiche. Il tavolo, infatti, non richiede competenze specifiche in endocrinologia pediatrica, psicologia adolescenziale o diritti dei minori, aumentando il rischio di decisioni parziali. Inoltre la cadenza triennale rende le valutazioni poco tempestive, con possibili ritardi nell’adattamento dei protocolli.

Infine l’articolo tre è una clausola di invarianza finanziaria e prevede che tutti gli adempimenti avvengano con risorse già disponibili, senza nuovi fondi, una difficoltà ulteriore per ospedali e centri specializzati già sovraccarichi.

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