Quando la distanza tra la propaganda e la realtà diventa una voragine, non basta una sola persona a colmarla. Diventa «difficile spiegare all’opinione pubblica», come sa e dice Giorgia Meloni stessa. Il raddoppio degli sbarchi, e i flussi dalla Tunisia triplicati, hanno reso evidente ciò che già si sapeva: il memorandum con la Tunisia tanto gonfiato da Meloni non è che un bluff. Ma dopo che anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ci ha messo la faccia, al fianco della premier italiana, il flop rischia di precipitare sulle destre europee.

Così ecco Manfred Weber, il plenipotenziario dei popolari europei, il normalizzatore di destre estreme, l’alleato tattico di Meloni e lo strattonatore di von der Leyen, fiondarsi in Tunisia. «Bisogna fermare le traversate verso l’Europa», ha detto, seduto al fianco del dittatore tunisino Kais Saied, questo mercoledì.

La missione tunisino-popolare racconta il fallimento delle destre sui migranti e il tentativo di mascherarlo. Ma dice anche altro: sotto la guida di von der Leyen, sotto la spinta di Weber, e con il ruolo di Meloni, l’Ue sta uscendo sempre più dai canali ufficiali. Oltre alla distanza tra propaganda e realtà, cresce anche la distanza tra l’Unione delle regole comuni, e quella delle famiglie politiche.

Questioni di famiglia

La versione di Weber sulle ragioni della sua due giorni tunisina è che bisogna fare progressi sull’implementazione del memorandum of understanding Ue-Tunisia; e che serve la volontà politica per farlo.

A che titolo il leader di un partito europeo, oltre che di un gruppo dell’Europarlamento, può pensare di sbloccare volontà politiche e patti? Questa domanda ne riecheggia un’altra, che molti – anche tra gli eurodeputati – hanno posto quando il memorandum è stato siglato: a che titolo con Saied c’erano la premier italiana e il premier reggente olandese, fianco a fianco alla presidente della Commissione europea? Se la presidenza di turno è in mano alla Spagna, a che titolo erano a Tunisi Meloni e il dimissionario Rutte? «Non c’è ruolo formale, c’è l’uso dell’accordo per campagna elettorale o propaganda», aveva detto a Domani, nel giorno della firma del memorandum, l’eurodeputata olandese Sophie in’t Veld: «Von der Leyen fa sì che i confini fra poteri sfumino sempre più, e l’esito è che manca un controllo democratico: chi è accountable? A chi chiederemo conto di questo memorandum?».

Gli sviluppi politici europei seguono sempre più un criterio di affiliazione politica. Il viaggio di Weber lo dimostra ancor più smaccatamente. Lui sostiene di aver preparato la sua visita – che è da leader politico, non da rappresentante istituzionale – assieme a Ursula von der Leyen. E la portavoce della presidente, consultata da Domani su questo punto, non lo nega: «Posso confermare anzi che ci sono stati contatti con Weber in preparazione della sua visita».

Manfred Weber ha avuto “contatti” anche con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che è il suo vice alla presidenza del partito europeo. Lunedì – alla vigilia della partenza di Weber – i due si sono sentiti per telefono; il giorno seguente, si è svolta un’altra telefonata, quella tra Meloni e Saied: «Al centro dei colloqui la gestione dei flussi migratori; si è convenuto di dover aumentare gli sforzi; Meloni – recita la nota di Chigi – ha assicurato il costante sostegno alle autorità tunisine da parte italiana e nel contesto europeo».

Quest’ultimo riferimento è fatto con cognizione di causa: il governo aveva verificato poche ore prima il supporto dei popolari. L’alleanza tattica Weber-Fratelli d’Italia è in corso da almeno due anni, e le tensioni di superficie tra il leader del Ppe e von der Leyen sono servite a lui perché lei digerisse un appoggio meloniano in caso di bis nel 2024. Ora von der Leyen concede le foto e la propaganda sui migranti a Meloni, e Weber va in soccorso quando il castello di carte cade.

Circolo vizioso

«Ora ci servono i risultati», dice il popolare a Tunisi: nella visita durata fino a questo mercoledì, ha incontrato Saied, i ministri degli Esteri e degli Interni, il presidente del Parlamento. Ha fatto ciò che fa da mesi: spalleggiare il governo meloniano; Weber è stato uno dei primi a volere un patto con la Tunisia, sottolineano i suoi.

Ma l’aumento degli sbarchi – e di quelli dalla Tunisia – non fa luce solo sulla reale efficacia delle mosse meloniane; fa capire anche che – proprio come è già successo con accordi precedenti e con altri despoti, ad esempio in Turchia – se si mostra di esser disposti a pagare per fermare i flussi, ci si espone a ricatto.

«Affidare a un piromane lo spegnimento degli incendi non è mai buona cosa», sintetizza il portavoce di Amnesty. Riccardo Noury nota che «a febbraio Saied ha iniziato la narrazione xenofoba e le deportazioni nel deserto, e noi in tutta risposta siamo andati a fare l’accordo». Accordo che Weber è andato a esigere.

«Se paghi per trattenere i migranti chi li spinge a partire, stai finanziando il vero pull factor». Ma le europee sono vicine, il tema dei migranti è tra quelli che uniscono le destre trasversalmente, e tutto il resto per le “famiglie politiche” viene dopo.

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