Raggiunto da Domani il portavoce del Budapest Pride chiede alla Commissione europea un’azione concreta contro il divieto della marcia, mentre le parole di Tajani, pur difendendo la libertà di manifestare, lasciano aperto il dubbio su possibili limitazioni basate su un ambiguo «non offendere nessuno»
«Accogliamo con favore il messaggio di Ursula von der Leyen e la ringraziamo per aver investito il suo capitale politico, ma non basta», dichiara in esclusiva per Domani Máté Hegedűs, portavoce del Budapest Pride. «Ci aspettiamo che la Commissione europea faccia di più, in particolare che chieda misure provvisorie alla Corte di giustizia, sia attraverso la procedura d’infrazione già in corso presso la Corte di giustizia Ue sia avviandone una nuova contro il nuovo pacchetto di emendamenti. È questo che chiedono oltre 38.000 persone firmando la nostra petizione».
Parole nette, che arrivano dopo il messaggio pubblico con cui martedì la presidente della Commissione europea ha chiesto alle autorità ungheresi di revocare il divieto imposto alla marcia dell’orgoglio nella capitale, prevista per il 28 giugno.
«La nostra Unione si fonda sull’uguaglianza e sulla non discriminazione. Sono valori fondamentali, sanciti dai nostri trattati», ha detto von der Leyen. «Chiedo alle autorità ungheresi di autorizzare il Budapest Pride. Senza paura di sanzioni penali o amministrative per organizzatori e partecipanti. Alla comunità Lgbtq in Ungheria e oltre: sarò sempre vostra alleata».
Ma, per chi quella marcia la organizza da trent’anni, e oggi si ritrova per la prima volta di fronte a un divieto esplicito da parte della polizia, non è più sufficiente ascoltare parole di solidarietà. «Serve un passo avanti. Serve agire con gli strumenti del diritto europeo, chiedendo misure concrete alla Corte», ribadisce Hegedűs. La richiesta si concentra in particolare sull’uso degli articoli previsti dai Trattati per attivare misure provvisorie contro il blocco ungherese, e per aprire una nuova procedura su quella che gli esperti definiscono «una legge incostituzionale e discriminatoria».
Divieto di Pride
Il divieto, formalizzato la scorsa settimana, si fonda su modifiche legislative approvate dalla maggioranza di destra al governo, che sotto il pretesto della tutela dei minori consente alle autorità di vietare manifestazioni che “rappresentino stili di vita non eterosessuali”. Una norma che, secondo le associazioni e numerosi giuristi, viola sia la Costituzione ungherese sia i trattati europei.
Il sindaco di Budapest, Gergely Karácsony, ha annunciato che intende comunque far svolgere la manifestazione. «La libertà, l’amore e il Budapest Pride non si possono vietare», ha dichiarato, sostenendo apertamente il corteo, al quale sono attese migliaia di persone.
Un Pride osteggiato da sempre, tra tensioni e tentativi di boicottaggio ma che per la prima volta viene formalmente vietato dal governo. Dal 2010, il paese è governato da Viktor Orbán, leader del partito Fidesz, che ha progressivamente ridotto lo spazio democratico e i diritti civili. Il suo governo ha introdotto leggi che vietano l’adozione per coppie omosessuali, aboliscono il riconoscimento legale del genere per le persone trans, e limitano l’educazione sessuale inclusiva nelle scuole.
In questo contesto, le parole di von der Leyen hanno un peso politico. Ma il movimento arcobaleno ungherese che in questi giorni prepara la manifestazione chiede di andare oltre. «In Europa, tutti devono avere il diritto di amare chi desiderano», ha detto la presidente della Commissione. La risposta del premier ungherese Viktor Orbán, arrivata via social, respinge l’appello definendolo un’«interferenza» su un «affare interno» dello Stato ungherese. Mentre il Pride di Budapest chiede di più: «Abbiamo bisogno di protezione legale, non solo di dichiarazioni pubbliche», sottolinea Hegedűs.
La posizione ambigua del governo italiano
In questo clima di tensione e incertezza, la Francia ha annunciato che invierà il suo ambasciatore per i diritti delle persone Lgbt, Jean-Marc Berthon. Mentre fa discutere la posizione ambigua del ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani che, intervenuto a margine del pre-vertice del Partito popolare europeo a Bruxelles ha detto: «La libertà di manifestare è sacrosanta, però ci sono dei limiti anche nel rispetto delle proprie idee. Questo vale per tutti, per tutte le idee, per tutte le proposte. Se sono manifestazioni che non offendono nessuno, perché no?». Un’affermazione che lascia un margine di ambiguità: da un lato, difende il diritto di manifestare, dall’altro sembra condizionarlo a un’interpretazione soggettiva del «non offendere nessuno», aprendo la porta a possibili restrizioni basate su valutazioni politiche o morali. Un approccio che sfuma la netta condanna del divieto espressa da von der Leyen e rischia di indebolire la coesione europea sulla difesa dei diritti fondamentali.
Gli organizzatori della marcia confermano l’intenzione di scendere in piazza sabato 28, anche senza autorizzazione. Diversi eurodeputati, diplomatici e organizzazioni per i diritti umani hanno annunciato che saranno presenti. Ma resta aperta l’incognita sulla risposta delle forze di polizia e sull’eventualità di sanzioni o fermi nei confronti dei partecipanti.
Intanto gli attivisti per i diritti digitali denunciano l’uso del riconoscimento facciale in Ungheria come una «violazione lampante» dell’AI Act dell’Ue e chiedono alla Commissione europea di intervenire. «L’inazione della Commissione è profondamente preoccupante», afferma Blue Tiyavorabun (European Digital Rights), perché rischia di creare un «precedente pericoloso» e innescare un «effetto domino» tra gli altri Stati membri, che potrebbero sentirsi legittimati ad adottare leggi simili, normalizzando la sorveglianza biometrica in Europa.
In solidarietà agli ungheresi si terrà oggi l’incontro “Siamo tutti a Budapest” organizzato da Milano Pride, in collaborazione con Domani alle ore 19.40 in Piazzale Lavater, per discutere con esperti e attivisti ungheresi di resistenza e solidarietà transnazionale.
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