Dopo la Tangentopoli qatariota, l’Europarlamento si è impegnato a riformarsi e a liberare l’Ue dalle influenze improprie. L’obiettivo è ricostruire la fiducia nelle istituzioni europee. C’è da aspettarsi un vero cambiamento o un’operazione di democracy-washing? Vent’anni di precedenti mostrano che Bruxelles – la Commissione per prima – è refrattaria a regolarsi. Solo se la società civile preme si ottiene un piccolo progresso.

Il registro delle lobby

(Protesta della società civile per sospendere la pensione Ue a Barroso dopo il suo ingresso a Goldman Sachs. Iniziativa, con firme, delle ong a Bruxelles. Ottobre 2016. Foto AP)

«Percepivo molto sospetto verso le istituzioni europee, e mi ero detto: devo fare qualcosa per ridurlo», ha ricordato Siim Kallas qualche anno fa.

L’ex premier estone, padre della attuale prima ministra Kaja, era arrivato in Commissione europea nel 2004, sotto la presidenza di José Barroso, e si era imbarcato in una missione quasi impossibile. Puntando sulla sua delega agli Affari amministrativi, aveva convocato gli attivisti che monitoravano l’influenza dei gruppi di interesse sulle istituzioni Ue, e si era ripromesso una grande operazione trasparenza.

La European Transparency Initiative nasce – come racconterà poi Kallas – per «ridurre i sospetti» e cioè la sfiducia verso le istituzioni. «Le lobby hanno un ruolo nel processo decisionale, ma le cose devono avvenire in modo trasparente: chi sono i rappresentanti di interesse, quali gli interessi, quale il background finanziario?», dice il commissario nel 2005, quando lancia l’iniziativa. Che subito suscita reazioni accese, e per tre anni si impantana.

Se l’idea di un registro per la trasparenza va in porto, lo si deve alla tenacia di Kallas; se la registrazione all’epoca resta solo volontaria, è per le pressioni avverse.

Le porte girevoli

(Il premier lussemburghese Xavier Bettel con l'allora presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker a febbraio 2021, mentre il Lussemburgo è in cima alle cronache per l'elusione fiscale. Foto AP)

Molti anni e scandali dopo, l’idea di un registro obbligatorio è passata come accordo interistituzionale, ma tuttora non esistono atti legislativi né risorse dedicate. Nel frattempo sono diventate cristalline le ragioni per le quali Kallas se l’era vista dura: ha aperto uno scorcio rivelatore il passaggio di José Barroso a Goldman Sachs, sancito quando ormai alla presidenza della Commissione c’era Jean-Claude Juncker.

Barroso a Bruxelles aveva gestito la crisi finanziaria e del debito greco, attribuendo pure incarichi di vigilanza a esperti tutt’altro che svincolati dalle realtà che avrebbero dovuto essere regolate. Due anni dopo aver terminato il mandato in Commissione, Barroso è diventato presidente non esecutivo, oltre che consulente, della banca d’affari Goldman Sachs. Sono emersi almeno otto casi di porte girevoli della commissione Barroso: per dirne un paio, Neelie Kroes e Viviane Reding.

Ma a Barroso va riconosciuto un merito: ha talmente scandalizzato gli europei da aver scatenato un’inedita reazione dal basso; nel 2016 sono state raccolte centinaia di migliaia di firme, anche perché il portoghese, ormai a Goldman, percepiva pure la pensione Ue. Il comitato etico che lo ha giudicato – i cui tre saggi erano legati a lui – ha concluso che «l’ex presidente non ha violato le regole» perché ha considerato solo l’obbligo di notifica. Nel 2018 la difensora civica europea Emily O’Reilly ha chiesto invano che il comitato rivedesse la valutazione e ha accusato la commissione Juncker di «cattiva gestione del caso».

Il problema delle porte girevoli non è stato sradicato: se ne sono viste anche con la commissione Juncker; si pensi a Günther Oettinger. Ma la mobilitazione un piccolo cambiamento l’ha sortito: una revisione del codice etico. Dal 2018 il periodo in cui, usciti da Berlaymont, bisogna render conto della nuova attività è di 24 mesi invece che 18. In quei due anni non si può fare attività lobbistica su temi inerenti al portafoglio che si aveva.

Promesse non mantenute

(La attuale presidente della Commissione Ue ha negoziato un accordo con Pfizer smessaggiando con il capo dell'azienda, ma non ha reso pubblici i messaggi. Foto AP)

L’attuale presidente di Commissione ha iniziato il mandato con sontuose promesse di riforme, ma Ursula von der Leyen è la prima a condurre il mandato in modo poco trasparente; i messaggini segreti con Pfizer sono solo il caso più eclatante. La gestione dei negoziati con le aziende farmaceutiche è già stata criticata da Corte dei conti e Ombudsman Ue, mentre la procura europea indaga.

Dopo lo scandalo Qatar, gli eurodeputati si sono impegnati con una risoluzione ad avviare un iter di riflessione e riforma. Per l’occasione, hanno dovuto ricordare a von der Leyen una promessa mai mantenuta: non solo non è ancora stato istituito un organismo etico indipendente a livello Ue, ma la Commissione non ha ancora neppure presentato una proposta. Gli eurodeputati la sollecitano da tempo. Chissà che il caso Qatar non risvegli von der Leyen dall’inerzia.

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