Mentre il premier ungherese postava su Instagram la foto con Giorgia Meloni al Consiglio europeo di Bruxelles, intanto a Strasburgo gli europarlamentari maneggiavano lo scandalo Qatar, che nel frattempo è diventato anche lo scandalo Marocco, e che chissà fino a dove e fino a quando si potrà estendere.

Le due diverse istituzioni europee appaiono in questi giorni – con sfumature e ragioni differenti – entrambe vulnerabili sul fronte dello stato di diritto: mentre i governi europei faticano a liberarsi dalla logica del compromesso con l’autocrate Viktor Orbán, intanto gli eurodeputati provano a ricucirsi l’abito di presentabilità con un piano per auto-riformarsi.

Proprio questo ciclone dell’indagine sulla corruzione all’Europarlamento sta accelerando le dinamiche politiche in vista delle europee del 2024. I popolari, che già da un anno e mezzo stanno dialogando fittamente con l’estrema destra, Giorgia Meloni compresa, questo giovedì sono andati all’attacco della famiglia socialista fratturando ulteriormente quel che sopravvive della Große Koalition europea.

La svolta a destra

Da quando, venerdì 9 dicembre, le autorità belghe hanno cominciato le perquisizioni, per molti giorni Manfred Weber, plenipotenziario dei popolari visto che ora guida sia il partito che il gruppo, si è tenuto cauto. Molto, anzi troppo: in tanti hanno interpretato i suoi toni bassi come il timore che lo scandalo si allargasse al Ppe, e alcuni, come la capogruppo della sinistra Manon Aubry, lo hanno anche fatto intendere apertamente; le vecchie prese di posizione sul Qatar, poi rivelatesi inquinate, erano spesso condivise non solo da eurodeputati socialisti ma anche da popolari. Weber ha inizialmente anche provato a rinviare il voto su una risoluzione, fallendo visto che questo giovedì c’è stato; e la proposta del Ppe sulle azioni da intraprendere era tra le più minimali, ad esempio non prevedeva una commissione di inchiesta.

Il leader dei popolari aveva anche precisato: non facciamo giochi politici su questo. Tra i socialisti c’è chi ha interpretato questa attitudine anche come una attenzione agli equilibri di maggioranza, visto che almeno sulla carta i popolari e i socialisti la reggono insieme. Ma questo giovedì il Ppe ha dato un colpo allo schema.

Schemi pre elettorali

Sotto forma di un meme color nero lutto, il partito popolare europeo è andato all’affondo: «Questo non è #Qatargate. Questo è uno scandalo targato S&D». La rotta di Weber è già verso la destra estrema: ha sostenuto Roberta Metsola presidente dell’Europarlamento e lei è il simbolo dell’alleanza tattica con i conservatori di Meloni. Ora la scommessa è fare di Metsola la figura di punta per la guida della Commissione europea, con le elezioni del 2024, e puntando su uno schema analogo che guarda a destra. I meme di accusa ai socialdemocratici e la scelta di andare allo scontro sono entrambi rivelatori: da una parte, esibiscono questo schema di gioco. Dall’altra, anticipano il modo in cui la destra europea proverà a capitalizzare il sentimento antipolitico che deriva dallo scandalo Qatar.

Riforma Metsola

Roberta Metsola stessa sta cercando di utilizzare questo frangente per rafforzare la propria figura di leader. Dopo un primo passaggio criticatissimo – ma in linea con le iniziali titubanze di Weber – in cui la presidente dell’Europarlamento interpretava lo scandalo come un problema di interferenze straniere più che di fragilità interna, questo giovedì Metsola si è addirittura intestata i tentativi di riforma che l’Europarlamento prova ad avviare. «I will lead a strong reform process», guiderò un incisivo processo di riforma, ha detto intervenendo a margine del Consiglio europeo. Va detto che proprio la sua famiglia politica – i popolari – ha più volte annacquato i tentativi di contrastare conflitti di interesse e influenze indebite.

A ogni modo questo giovedì gli eurodeputati ad amplissima maggioranza hanno approvato la loro risoluzione tentando una operazione non proprio semplice: far sì che l’Europarlamento metta in riga l’Europarlamento stesso.

Nuove commissioni

Questo giovedì gli eurodeputati hanno dato il via all’autoriflessione: metteranno in piedi una commissione ad hoc per individuare le vulnerabilità e strutturare una proposta di riforma.

Poi hanno promesso, nella risoluzione fresca di approvazione, di imbastire una commissione di inchiesta per verificare le influenze indebite dei paesi extra-Ue sull’aula. Hanno sospeso i badge ai rappresentanti d’interesse qatarioti, oltre che i dossier relativi al Qatar. Hanno promesso di ampliare il regime di trasparenza obbligatorio; anche il “periodo di raffreddamento” tra incarico pubblico e privato dovrà entrare a regime per l’Europarlamento, mentre finora è valso (in modo troppo blando) per i commissari europei. Insomma, una lunga lista di bei propositi da attuare, e inoltre una tirata alla giacca di Ursula von der Leyen: a inizio mandato, la presidente della Commissione europea aveva promesso una proposta su un organo etico indipendente, ma poi lei (e il suo Ppe) ha tergiversato.

Basterà lo zelo degli eurodeputati per ricucire la fiducia spezzata? «Vedo tre limiti», commenta Hans van Scharen del Corporate Europe Observatory: «Non bastano le regole se non ci sono le risorse per farle valere; anche le cariche non elettive del Parlamento Ue sono fortemente politicizzate e in mano ai grandi gruppi; infine dubito che gli eurodeputati vorranno davvero dare a qualcuno il potere di criticare pubblicamente i loro stessi errori».

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