La “Carta dei valori europei” unisce i tre punti del triangolo: Viktor Orbán, ormai orfano dei popolari; Identità e democrazia, di cui fa parte la Lega, e i conservatori europei, presieduti da Giorgia Meloni. Questo manifesto è un inno alla famiglia tradizionale e a un’Europa delle nazioni, oltre che un monito contro il «super-stato» europeo. Reso pubblico ieri, è siglato da partiti di entrambe le famiglie politiche – Id ed Ecr – e dal partito ungherese Fidesz.

Si tratta però di una sudata carta: viene discussa da mesi, porta la traccia di tutte le tensioni che attraversano i gruppi. Rivelatore è un emendamento, infilato nel testo dal partito di governo polacco (il Pis) il 28 maggio, proprio mentre a Varsavia si trova Giorgia Meloni. Viene inserito un riferimento alla Nato, mentre prima si parlava solo di un generico «legame atlantico».

Il Pis e Fratelli d’Italia, entrambi nella famiglia conservatrice, sono insieme quando la Polonia inserisce quell’emendamento. Che è un puntello: serve a ribadire l’appartenenza alla Nato; o per dirla diversamente, per sfatare le posizioni filorusse di alcuni partiti dell’area sovranista. Il “Nato amendment” viene infilato nella carta dei valori da Pawel Jablonski, uomo d’apparato del Pis, il partito di Jaroslaw Kaczynski e del premier Mateusz Morawiecki. Succede a maggio: questo è indicativo di quanto a lungo stia durando il cantiere della nuova destra europea. E se dura tanto, qualche motivo c’è.

La carta che dovrebbe unire

Il 9 maggio l’Ue ha dato il via alla Conferenza sul futuro dell’Europa. L’iniziativa non suscita per ora grande zelo, ma la destra europea – sovranisti inclusi – vuole utilizzare quel contenitore per occupare ulteriore spazio politico. In questo contesto arriva la “Carta dei valori”, sottoscritta da Fidesz e da alcuni partiti – non tutti – delle famiglie conservatrice e sovranista (Ecr e Id). Con il documento i partiti si ritrovano assieme su due fondamenti: la difesa della tradizione e l’idea di una Europa delle nazioni contro quella, alternativa, di un «super-stato» europeo. Quando è uscito dai popolari e ha lanciato l’iniziativa di una unione a destra, Viktor Orbán lo ha detto, nei suoi discorsi del venerdì alla radio ungherese: la base sarà «la famiglia tradizionale». Ed eccola qui, nella carta, la «tradizione»: «La cooperazione tra le nazioni europee dev’essere fondata sul rispetto delle radici giudaico cristiane», dice il documento. «Ribadiamo la nostra convinzione che la famiglia sia la base delle nostre nazioni» e «servono politiche per la famiglia». Nel caso dell’Ungheria, si è già visto cosa significhino queste politiche: la recente legge anti Lgbt, per dirne una; nel caso della Polonia, il divieto di abortire. Ad ogni modo sul tema dei valori giudaico-cristiani e della difesa della famiglia il cantiere è attivo da tempo: il 9 maggio, non appena si è aperta la Conferenza sul futuro dell’Europa, la ministra della famiglia ungherese, Katalin Novák, e il responsabile Esteri della Lega, Lorenzo Fontana, hanno presidiato la piattaforma per la partecipazione con un evento su questi temi. Budapest sta diventando l’epicentro dell’elaborazione ideologica di destra, sia per la Lega sia per Fratelli d’Italia. Il secondo pilastro contenuto nel documento è la difesa della «Europa delle nazioni» contro «il super-stato»: «Tutti i tentativi di trasformare il livello europeo in qualcosa che ha la precedenza sulle istituzioni nazionali sono tentativi che generano caos e minano le costituzioni degli stati membri oltre che l’Europa come comunità di libere nazioni». In questo senso, la carta è a tutti gli effetti sovranista: ribadisce la sovranità delle nazioni. Il capodelegazione del Pd all’Europarlamento, Brando Benifei, fa notare che proprio il livello europeo ha garantito il Recovery, mentre il segretario dem Enrico Letta lancia la frecciata: «Non si può stare sia con Draghi che con Orbán».

I partiti lasciati fuori

In realtà Orbán è il primo ad avere a cuore il pragmatismo. Ha spostato sui valori – e sui diritti civili – il campo dello scontro, ma rimane pragmatico su tutto il resto. Non è un caso che a siglare il documento non ci sia l’estrema destra tedesca di Alternative für Deutschland. Orbán è ormai fuori dai popolari europei, ma questo non significa che voglia alienarsi del tutto i rapporti con Cdu e Csu; in tutti questi anni, la cooperazione con il mondo dell’industria automobilistica tedesco e la copertura politica di Angela Merkel sono stati fondamentali per lui in Europa. Perciò «avvicinarsi a Identità e democrazia non può significare, per Orbán, alleanze con un’estrema destra che comprometterebbero definitivamente ogni sorta di amicizia o buon rapporto con Cdu e Csu», come dice anche Katalin Halmai, giornalista ungherese di stanza a Bruxelles. Interessi simili ha il campo leghista: qualche malizioso dal lato di Fratelli d’Italia fa notare che alla Lega serve un nuovo cantiere anche per svincolarsi dalle etichette più imbarazzanti del campo sovranista. Intanto Matteo Salvini ha rilasciato un’intervista al Financial Times, pubblicata proprio ieri, per dire che «non siamo estremisti». Già, ma Afd non è stata invitata ad aderire, oppure si è rifiutata di farlo? L’europarlamentare leghista Marco Zanni, che è anche presidente del gruppo Identità e democrazia, dice che «abbiamo deciso di andare per gradi, l’appello è stato deciso da un nucleo forte che ha contatti da anni». Chi? «I leader che si sono incontrati a Budapest» il primo aprile, dunque Salvini, Orbán e Morawiecki, «e anche Meloni, Abascal, Le Pen». Lega e Rassemblement National per Id; i polacchi di Pis, Fratelli d’Italia e la destra spagnola di Vox per Ecr, e poi ovviamente Fidesz. «Ci sono anche altri partiti, di paesi magari più piccoli, ma importanti per mostrare che questo è un percorso aperto». Infatti a firmare la Carta per Id ci sono anche austriaci (Fpoe), belgi (Vlaams Belang), danesi (Dpp), estoni (Ekre), finlandesi (Ps). Tra i conservatori, i greci (El), i romeni (Pnt-cd), lituani (Llra-kss), bulgari (Vmro), Paesi Bassi (Ja21). Ma di Afd non c’è traccia. In questa destra a doppia velocità, nel «nucleo originario» guarda caso non c’è.

L’emendamento e la Russia

Il file con la Carta dei valori diffuso dalla Lega si chiama «Declaration – Future of Europe – amendment Nato – revised». Che cosa è l’emendamento Nato? Il 28 maggio Pawel Jablonski, un sottosegretario polacco che i giornalisti di Varsavia descrivono come un pesce piccolo, «uomo d’apparato del partito di governo», emenda la carta con un riferimento alla Nato. Nel passaggio sull’importanza per alcuni paesi europei di essersi liberati dal totalitarismo sovietico, si fa riferimento all’«indipendenza, i legami atlantici dell’Unione europea e il Patto atlantico». La penna di Jablonski interviene appunto per infilare la Nato. La Polonia è naturalmente antagonista della Russia, convive con il filorusso Orbán per pragmatismo: pragmatico è il premier ungherese, pragmatica è Varsavia che si allea a Budapest perché entrambe violano lo stato di diritto. Di una nuova alleanza a destra, al Pis piace proprio l’idea di avere più sostegno su temi come la rule of law. Ma l’indigeribilità dei legami tra alcuni partiti sovranisti di Id e Mosca fu tra le principali ragioni per cui due anni fa il progetto di un grande gruppo di destra fallì. Adesso sia Salvini sia Le Pen, uno al governo e l’altra che ambisce all’Eliseo, non esibiscono più i rapporti con Putin. Ma il tema rimane dirimente. Il Rassemblement National avrebbe inizialmente eliminato dal testo il riferimento alla Nato. Di certo la Polonia lo ha reinserito proprio quando a Varsavia è in visita Giorgia Meloni. L’obiettivo di Fratelli d’Italia, che ha la presidenza dei conservatori e tesse da anni rapporti coi repubblicani Usa, i conservatori inglesi, il Likud israeliano, è di non finire fagocitato dalla Lega. Visto che Varsavia guarda con favore al cantiere avviato da Orbán, i meloniani, assieme ai polacchi, mettono almeno qualche puntello. Un “bye bye Mosca” che Le Pen finisce per digerire; infatti la Nato è nella versione finale. Ma ci sono volute settimane perché fosse pubblicata.

Gli scenari

Quanto è plausibile che l’iniziativa si trasformi in gruppo politico? Tra estate e autunno all’Europarlamento si decidono i giochi in vista della scadenza di midterm, quando si rinnoveranno le poltrone, anche nelle Commissioni. Finché Fidesz rimane nel gruppo misto, è fuori dai giochi; «una formazione che ci vede uniti, sarebbe tra le prime per dimensione», dice Zanni. Ma c’è anche chi punta a temporeggiare. Fratelli d’Italia per esempio spera in future elezioni per ridimensionare la Lega e avere più peso; Meloni non rinuncia inoltre alla presidenza dei Conservatori. Il leghista Zanni fa notare che «esistono svariate soluzioni tecniche» e cita il caso di Greens-Efa. I verdi europei hanno unito le forze con la European Free Alliance (Efa), cioè i regionalisti; dentro lo stesso gruppo politico, le due formazioni «mantengono la loro autonomia». Ma anche ai più ottimisti è chiaro che «ci vorrà tempo e altro lavoro sui contenuti; non si può forzare la mano».

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