I governi europei hanno preso le redini del piano d’inverno della Commissione Ue. Tra inversioni di ruoli, deroghe, emendamenti, hanno imposto le loro condizioni per far passare la austerità dell’energia, e cioè il taglio ai consumi di gas, che Bruxelles ha proposto per mettere in sicurezza l’Europa in vista del freddo e sotto lo scacco dei tagli alle forniture di Mosca.

Il compromesso siglato questo martedì al Consiglio dell’Unione europea, sotto la presidenza della Repubblica Ceca, riesce a ricomporre i più convinti sostenitori del piano di Bruxelles con i più veementi critici: ai due poli opposti, Berlino e Madrid. Con la spinta di Atene, torna anche nel dibattito il tema della riforma del mercato dell’energia, oltre che quello, caro a Mario Draghi, del tetto ai prezzi delle importazioni di gas.

Se da una parte, quindi, a colpi di eccezioni, il lavoro negoziale dei governi fiacca i piani originari, dall’altra li riequilibra, riassestando i divari tra centro e periferia dell’Unione, e ricordando a Bruxelles che i tagli ai consumi non sono l’unica strada.

C’è solo un paese, che resta fuori da ogni tentativo compromissorio: l’Ungheria, governata dall’alleato della destra italiana Viktor Orbán, che sceglie la sede del Consiglio Ue per mandare un messaggio di lealtà non all’Europa, ma a Vladimir Putin.

Putin convitato di pietra

«Gli ennesimi annunci di Gazprom sono la prova che dobbiamo farci trovare pronti: lo stop all’offerta di gas può intervenire da un momento all’altro», ha detto la commissaria Ue all’Energia, Kadri Simson, ribadendo ai ministri riuniti in Consiglio perché secondo Bruxelles bisogna «ridurre la nostra domanda di gas preventivamente». Il piano per tagliare i consumi piomba sui tavoli europei nelle stesse ore in cui Putin perpetra il suo ricatto. Già da tempo la Russia riduce le forniture di gas all’Europa, e grazie al contemporaneo aumento dei prezzi, innescato dalla diminuzione dell’offerta, riesce comunque a garantirsi gli introiti per la sua guerra. Ma alla vigilia del Consiglio Ue dedicato all’energia il Cremlino ha fatto sentire la propria presenza, esercitando «il suo perfido gioco», per dirla con il vicecancelliere tedesco Robert Habeck.

Il gasdotto Nord Stream 1, che già aveva subìto uno stop totale tra l’11 e il 21 luglio con la motivazione formale della «manutenzione» da parte di Gazprom, aveva poi ricominciato a rifornire gli europei al ritmo precedente lo stop, e cioè al 40 per cento della capienza. Lunedì la compagnia russa ha annunciato il dimezzamento delle forniture, formalmente «per turbine da riparare»; «motivi politici», ha denunciato l’Ue. In soli due giorni i prezzi del gas in Europa si sono impennati del 30 per cento.

Putin è il convitato di pietra delle scelte Ue, e Simson ha chiarito la linea: «Continuare con gli stoccaggi, diversificare le forniture, ma pure ridurre il divario tra offerta e domanda». Con il taglio della domanda, ovvero dei consumi.

Gli omaggi di Orbán a Putin

Al momento di votare il piano sui tagli dei consumi, solo l’Ungheria ha obiettato e ha detto che non lo attuerà. Per approvare le nuove regole bastava una maggioranza qualificata di governi a favore, non c’era potere di veto. Eppure il governo ungherese ha voluto esibire il proprio dissenso: una vera e propria prova di fedeltà a Vladimir Putin, come alcune circostanze chiariscono bene. Mentre tutti gli altri paesi hanno spedito al Consiglio sull’energia i propri ministri dell’Energia, della transizione – per l’Italia c’era Roberto Cingolani – o dell’Economia, come il tedesco Habeck, il governo Orbán è stato l’unico a mandare in propria rappresentanza il ministro degli Esteri. Péter Szijjártó non è un ministro qualsiasi: è lo stesso che ha lasciato che gli hacker vicini al Cremlino bucassero impunemente i sistemi informatici del suo ministero, compresi gli scambi riservati con l’Ue, e che poi a dicembre 2021 ha ricevuto dal suo omologo russo Sergej Lavrov una medaglia onorifica.

Un sodalizio che non si è interrotto con l’invasione dell’Ucraina: la scorsa settimana Szijjártó è volato a Mosca, si è intrattenuto con Lavrov al Cremlino, dichiarando di esser lì per comprare dalla Russia più gas. Una direzione contraria a quella dell’Ue, che invece cerca di emanciparsi dalle forniture di Mosca.

L’Italia e gli equilibri in Ue

«Per l’inizio dell’inverno saremo quasi indipendenti dal gas russo», ha detto Cingolani agli altri ministri europei. «Ci sarà inoltre la riduzione delle temperature in edifici pubblici e privati». I governi questo martedì hanno confermato l’impegno di massima a tagliare i consumi di gas del 15 per cento rispetto alla media dei cinque anni precedenti, come proposto dalla Commissione, ma con alcune modifiche.

Anzitutto, a dichiarare la «allerta europea», che trasforma i tagli in obbligatori, non sarà la Commissione, ma il Consiglio su proposta di quest’ultima; e la proposta potrà essere formulata solo con almeno cinque, e non tre, governi che abbiano già dichiarato l’allerta nazionale. Inoltre le nuove regole, che cominciano con una riduzione volontaria del consumi già dal primo agosto, saranno in vigore per un anno, non due. C’è poi un pacchetto di deroghe che riflette i dissidi interni: la Spagna a guida socialista è stata la prima a contestare apertamente il piano della Commissione, seguita da paesi come Portogallo, Polonia, Irlanda. Una periferia europea che accusava il centro, cioè Berlino, di aver cucito i programmi sulle sue esigenze, e la sua dipendenza dal gas russo, a costo di imporre agli altri «sacrifici ingiusti», come li ha chiamati la ministra spagnola Teresa Ribera.

Gli effetti del riequilibrio che è seguito allo scontro si vedono dalle deroghe: Madrid può far leva sul suo impegno a far arrivare agli altri paesi Ue tutto il gas liquefatto che può. Le isole (Irlanda, Malta, Cipro) godono di esenzione automatica. Anche i paesi baltici, per la loro connessione alla rete elettrica russa, hanno una deroga. Ma altri governi possono richiedere, sulla base di altri criteri, ulteriori deroghe. I consumi dei comparti industriali più cruciali non verranno computati nei tagli da effettuare, in nome della tutela della competitività. Secondo la Commissione l’accordo raggiunto è comunque «un successo».

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