Se è vero che un Consiglio europeo è fatto anzitutto di incontri a margine, mentre il frangente del vertice vero e proprio non è che una formalità, allora si può dire che Giorgia Meloni si sia persa il meglio. Questo giovedì mattina infatti inizia il Consiglio, ma già la sera prima i capi di stato e di governo avevano fatto in modo di incontrarsi per una cena informale. E Meloni? Ha preso il volo tardi: prima era ad Aosta. Le agenzie di stampa la descrivono in mezzo a «bagni di folla».

Del resto sono tutti già in campagna elettorale, compresa Ursula von der Leyen, che questo mercoledì ha concesso le ennesime deroghe all’agroindustria, e compreso Emmanuel Macron, che per esibire vicinanza agli agricoltori – questo giovedì in protesta anche a Bruxelles – si è fatto promettere un incontro a margine con la presidente della Commissione europea proprio su questo. Ora la sua solita inimicizia verso il Mercosur, il trattato di libero scambio, si traveste da altermondialismo per strappare voti all’agricoltura. E quindi Meloni cerca consensi, Macron pure, e von der Leyen ancor prima di loro.

Questo Consiglio europeo straordinario è straordinario se non altro per questo: sa già di voto di giugno. A ogni modo, l’obiettivo in agenda sarebbe il via libera alla revisione del quadro finanziario pluriennale. La bozza c’era già da metà dicembre; mancava solo da concludere l’accordo con Viktor Orbán. Ed è qui che subentra Meloni.

Orbán come leva

Riassunto della puntata precedente: a metà dicembre la Commissione europea sblocca dieci miliardi di fondi Ue all’Ungheria e subito dopo Orbán lascia che il Consiglio europeo dia il suo via libera ai negoziati per l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione. Riguardo a questa operazione, la leader di Fratelli d’Italia rivendica un ruolo di mediatrice; le sue connessioni con l’autocrate ungherese vengono utilizzate come una leva. Meloni vuol dimostrare di essere vicina ai popolari europei ma anche capace di imbrigliare i cattivi per eccellenza d’Europa.

Peccato che Orbán a dicembre continui a tenere in ostaggio – così dicono gli altri leader – il quadro finanziario pluriennale. Si tratta in sostanza di dare il via libera sul bilancio comune; questa scatola finanziaria contiene anche i dieci miliardi cari a Meloni per l’immigrazione, e dovrebbe dar adito a cinquanta miliardi per aiutare Kiev.

Il premier ungherese però ha avuto prove ricorrenti che Bruxelles e i leader sono disponibili al compromesso: perché dire sì senza strappare altro? Inoltre ci sarebbe il presidente russo che gli sta col fiato sul collo. Quindi Orbán spera di ottenere altro, e chiede ad esempio di poter dire la sua sui soldi ogni anno; spera poi sempre di poter finalmente ricevere e utilizzare i fondi del Recovery.

Trattative sull’Ecr

A questo punto della storia torna Meloni. Questa settimana Bruxelles ha lanciato segnali a Orbán, scatenandogli i mercati contro; e poi c’è sempre l’opzione di accordarsi sui fondi a 26, anche se ciò comporterebbe che alcuni parlamenti nazionali debbano discutere e confermare i fondi a Kiev.

La leader di FdI punta ancora una volta a porsi come mediatrice. Alla vigilia del vertice, i suoi alleati polacchi del Pis – per voce dell’ex premier polacco Mateusz Morawiecki – hanno detto pubblicamente ciò che promettevano a Orbán sotto banco già da mesi, e cioè che prenderebbero volentieri Fidesz nella famiglia dei conservatori. Ma dopo le elezioni: tutti sono in campagna elettorale, e ciò non implica solo slogan, ma anche non detti.

Meloni sa che con gli orbaniani in Ecr il suo gruppo predominerebbe su quello di Salvini (Id); ma assorbire gli ungheresi significa far digerire i filorussi che avevano già divorziato dal Ppe. L’operazione è complessa ed è sicuramente nelle trattative; sono quei famosi incontri a margine che fanno la differenza.

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