C’è una fase di politica estera molto velleitaria e nello stesso tempo molto francese del presidente Emmanuel Macron, che, con uno sguardo alle prossime elezioni europee dove i liberali della sua formazione rischiano di arretrare, ha preso a interpretare la parte del leader del mondo libero e il trascinatore di tutti gli ideali messi in discussione dai populisti nella vicenda dell’Ucraina. Fino al punto di chiamare “codardi” chi non pensa di inviare truppe militari Nato sul suolo a difesa di Kiev.

Ma il 10 e l’11 marzo 2022, quando si tenne a Versailles un vertice europeo all’indomani dell’aggressione armata russa all’Ucraina, e i 27 leader europei definivano la cornice di risposta alla sfida, il presidente francese Macron frenava i più radicali e suggeriva che la Russia «non andasse umiliata». E in questa versione diplomatica ci fu il tentativo dell’Eliseo nei mesi successivi di avere un filo diretto con il Cremlino con telefonate infinite ma senza ottenere niente di concreto.

La nuova retorica

Adesso il presidente francese, che in passato aveva definito «la Nato in stato di morte cerebrale», ha fatto di nuovo una capriola e ha cambiato retorica invitando gli alleati dell’Ucraina a «non essere codardi» di fronte alla Russia, assicurando che «si assumerà la responsabilità» dei suoi controversi richiami di rompere un tabù sulla possibilità di inviare sul campo truppe occidentali.

Macron ha parlato a Praga durante una visita in Repubblica Ceca, tra quei paesi che hanno conosciuto il giogo dell’Unione sovietica e che sono entrati nella Ue solo nel 2004 proprio in funzione antirussa.

Poi c’è stato l’incontro a tre tra il presidente Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier polacco Donald Tusk, che ha fatto infuriare gli esclusi come il ministro della Difesa italiana Guido Crosetto, contrario alle fughe in avanti di pochi paesi, e ha definito l’incontro di Berlino un vertice “di emergenza” del cosiddetto Triangolo di Weimar, una piattaforma negoziale che era stata messa in soffitta dopo la caduta del Muro.

Scholz in quell’occasione ha escluso l’invio di truppe tedesche fuori dai confini e la consegna dei missili a lunga gittata Taurus che potrebbero arrivare fino a Mosca ma debbono essere manovrati dai soldati tedeschi.

Macron ha abbozzato (per ora), ma spera nel sostegno dei paesi baltici e dei polacchi per ribaltare la situazione e riaprire sull’invio dei soldati sul campo e sulla consegna dei missili tedeschi Taurus a Kiev, in un’Europa dove sta tornando la coscrizione obbligatoria e la Danimarca ha richiamato anche le donne al servizio di leva.

Le spese di Berlino

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Ma dietro a tanta enfasi napoleonica da parte di Macron cosa c’è dietro di concreto? Quanti battaglioni? Partiamo dalle cifre nude e crude: secondo il sito Politico, il Kiel Institute tedesco, che raccoglie i contributi nazionali allo sforzo bellico dell’Ucraina, classifica la Francia come in chiaro ritardo, con 640 milioni di euro in aiuti militari, rispetto alla Germania, che ha fornito o promesso 17,7 miliardi di euro. Insomma Parigi è pronta a fare molto ma per ora non ha fatto granché rispetto a Berlino che appare molto più prudente nei toni e nelle affermazioni.

Non solo. Il governo semaforo di Berlino (formato da socialdemocratici, liberali e verdi) nell’ultima riunione del gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina, svoltosi nella base americana di Ramstein, ha sottolineato il suo ruolo chiave negli aiuti a Zelensky (sette miliardi solo quest’anno), pur continuando a escludere dall’orizzonte politico l’invio di truppe tedesche a Kiev e la consegna dei missili a lungo raggio Taurus.

La Germania ha deciso di riarmarsi con uno stanziamento pluriennale speciale enorme e di raggiungere la quota del 2 per cento del Pil per la difesa come tanto richiesto in passato dall’ex presidente e ora di nuovo candidato Donald Trump, al punto di minacciare di recente di non proteggere più con l’ombrello atomico americano chi non paga il dovuto alla difesa comune Nato.

I risparmi di Parigi

Ma la macchina teutonica del riarmo ormai è partita, abbandonando il pacifismo fino a ora adottato e ostentato: il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha annunciato martedì lo stanziamento di un nuovo pacchetto di aiuti da 500 milioni di euro per l’Ucraina, con la fornitura di 10mila proiettili da artiglieria presi dai magazzini polverosi della Bundeswehr.

A breve partirà anche la riorganizzazione della macchina di produzione bellica tedesca, finora tenuta prudentemente a livelli minimi e sotto stretto controllo americano. Quanto all’America di Joe Biden, è in stallo perfetto sul fronte degli aiuti a Kiev. Il segretario Usa alla Difesa, Lloyd Austin, ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo dichiarando a conclusione del vertice nella sua base più importante nel Palatinato che gli Stati Uniti continueranno a sostenere militarmente l’Ucraina contro Vladimir Putin (appena rieletto con maggioranze bulgare a prestare fede ai dati forniti dal Cremlino), nonostante il Congresso americano, con l’aiuto dei repubblicani in particolare, blocchi lo stanziamento di 60 miliardi di nuovi aiuti a Kiev.

«Gli Stati Uniti non lasceranno che l’Ucraina fallisca», ha promesso il segretario Austin, ricordando che il Pentagono è riuscito a reperire 300 milioni di dollari in aiuti all’Ucraina, attingendo a fondi già disponibili ma non ancora utilizzati: la prima tranche di forniture belliche in arrivo dagli Usa dallo scorso dicembre. Ma in questa gara a chi aiuta di più Zelensky Parigi per ora è agli ultimi posti, sebbene il presidente del Consiglio Ue, il belga Charles Michel, nella lettera di invito ai 27 al prossimo vertice a Bruxelles abbia scritto: «Siamo di fronte alla più grande minaccia alla nostra sicurezza dalla Seconda guerra mondiale, è tempo di fare passi concreti e radicali per essere pronti a difenderci mettendo la nostra economia in “modalità guerra”». Parole pesanti che si sommano all’ipotesi della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen (non a caso ex ministro della Difesa tedesca ai tempi dell’ex cancelliera Angela Merkel), in cerca del rinnovo nella carica europea, di predisporre un commissario alla Difesa comune per coordinare gli sforzi dei 27 paesi membri. Insomma è tutto un suonar di trombe e rullar di tamburi a Parigi e a Bruxelles, ma Berlino resta il crocevia delle decisioni strategiche sulla difesa comune, essendo l’unico paese con le finanze pronte a fronteggiare le nuove sfide.

La difesa europea

La Francia invece ha un passato altalenante sulla questione della difesa europea, da quando nel 1954 l’Assemblea nazionale a Parigi bocciò a sorpresa il trattato predisposto in vista di una Comunità europea della difesa. Parigi pensava di poter bastare a sé stessa nello svolgere l’attività di difesa comune senza l’intervento degli altri cinque membri della comunità di allora, due dei quali sconfitti nel conflitto mondiale. Ma sbagliava di orgoglio, e quel no ora pesa ancora come un macigno sui destini europei.

Certo, Parigi ha fornito a Kiev missili da crociera “Scalp”, e il Regno Unito “Storm Shadow”, ma sono i missili tedeschi Taurus a fare la differenza o la deterrenza vera. E la Germania difficilmente vorrà lasciare le mani libere sulla difesa comune a Parigi così come è avvenuto nella costruzione fatta a immagine e somiglianza della Bundesbank della moneta unica europea. E non basteranno le fughe in avanti di Macron a spaventare il prudente cancelliere tedesco Scholz, alle prese con una crisi economica determinata dalla fine delle forniture di gas russo a prezzi bassi e dall’export facile verso la Cina oggi in frenata. La costruzione della Difesa europea potrà aiutare la ripresa europea e tedesca, e solo così potrà diventare realtà, senza fughe in avanti né parole di disprezzo verso gli alleati.

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