Nella tarda mattinata del 7 ottobre, mentre la notizia degli attacchi di Hamas impazza su giornali e social, il gruppo neofascista parigino Gud (Groupe Union Défense) posta su X/Twitter la frase “Ni kippa ni kippa”, che riprende lo slogan “ni kefiah ni kippah”: un modo sottile per esprimere il proprio sostegno al massacro in corso.
Nello stesso campo si è schierata la rivista di estrema destra Rivarol.

«Per l’estrema destra radicale, Israele è un nemico, perché si suppone che controlli la finanza, i media, tutto ciò che può entrare in uno schema complottista molto vicino al fondo dei Protocolli dei savi di Sion» afferma il politologo Jean-Yves Camus, direttore dell’Osservatorio per le radicalità politiche della Fondazione Jean Jaurès. «È perfino il nemico principale, dal momento che alcuni gruppi vedono nella “resistenza” palestinese e persino nell’islam una forza di opposizione all’egemonia americana e una sorta di dottrina identitaria molto vicina alla loro».

La posizione di Marine Le Pen sul tema è, ovviamente, ben diversa: pieno sostegno allo stato di Israele, confermato anche dalla presenza alla marcia contro l’antisemitismo del 12 novembre scorso.
Ma se da un lato Rivarol non esita ad attaccare Marine Le Pen in ogni numero della rivista, un’inchiesta di Libération faceva notare come i legami tra il Gud e il partito di Marine Le Pen siano tutt’altro che recisi: principale foRnitore di servizi di comunicazione per la campagna delle europee sarà, ad esempio, la società e-Politic, che vede tra i suoi azionisti Axel Loustau: ex militante del Gud che anche nel maggio scorso aveva preso parte ad una manifestazione neofascista a Parigi.

Credere o no alla conversione

Allo stesso modo, anche nella comunità ebraica francese ci si interroga sul credito da dare ai buoni propositi di madame Le Pen. C’è chi continua a tenere la barra dritta: come il collettivo Golem, che in occasione della marcia contro l’antisemitismo del 12 novembre scorso ha contestato la presenza di Marine Le Pen ed Éric Zemmour.
«Eravamo in piazza con un doppio obiettivo», dice Fabienne Messica, membro del collettivo, «fermare l’aumento dell’antisemitismo in Francia, ma anche ribadire che Le Pen non può condurre la sua battaglia politica sfruttando la questione israeliana e la comunità ebraica».
Secondo Messica «ci sono delle convergenze ovvie tra i gruppetti di estrema destra e il Rn: basta guardare il tipo di discorso che entrambi portano avanti quando parlano della finanza, ad esempio».

C’è anche, però, chi vuole concedere un’apertura di credito a Marine Le Pen. Parlando a Mediapart, ad esempio, il noto “cacciatore di nazisti” Serge Klarsfeld ha definito «assolutamente positiva» la partecipazione del Rn alla marcia del 12 novembre. «Se parliamo delle istituzioni», prosegue Messica – loro tengono: ad esempio il Crif (Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni ebree in Francia, ndr) ha espresso la propria contrarietà alla presenza dell’estrema destra in piazza. Se invece andiamo sulle posizioni personali, è più complesso: è un momento in cui molti si sentono soli. Il nostro lavoro è indirizzato anche a loro».

La fine dell’union sacrée?

Ciò che è certo è che mai il Rassemblement national è sembrato così integrato nel sistema repubblicano. Per Messica la saldatura tra la destra moderata e quella estrema è «una dinamica che viene da lontano, già dai tempi di Sarkozy».
Secondo Camus, invece, «È l’elettorato francese che deve giudicare la credibilità dell’attuale posizionamento del Rn, e ad oggi nulla indica che le intenzioni di voto a favore dell’Rn stiano diminuendo». D’altro canto, non sarà questa mossa a rappresentare la svolta per le ambizioni presidenziali di Le Pen: «Il peso elettorale della comunità ebraica», afferma Camus, «è molto debole: meno di 180mila voti su circa 500mila persone che si dichiarano ebree. E la sorte degli ebrei preoccupa poco il resto della popolazione, in realtà».

Una dinamica che ovviamente non è solo francese, e che ha delle spiegazioni ben precise: «L’antisemitismo politico è relegato ai margini, nemmeno il Pis polacco e il Fidesz di Orbán lo usano più come argomento.
La causa israeliana avanza “a destra della destra” perché, in una logica di scontro di civiltà, Israele appare alle destre radicali e populiste come un baluardo dell’occidente contro l’islam e il terrorismo, mentre i valori giudaico-cristiani sembrano essere il cemento delle nostre società di fronte all’ascesa dell’islam politico».

Si tratta, però, di una configurazione estremamente fragile: «L’antisemitismo tradizionale è molto presente nell’immaginario complottista moltiplicato dai social media; e l’idea di una comunità di valori giudaico-cristiana non impedisce a una parte di coloro che vi aderiscono di continuare a nutrire una certa diffidenza verso un popolo, quello ebraico, la cui storia e il cui destino rimangono, agli occhi di una maggioranza, indecifrabili».

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