I muri di confine, il filo spinato, le navi delle Guardie costiere o i droni che sorvolano il Mediterraneo e la rotta balcanica sono solo la parte più evidente del controllo delle frontiere europee. L’Ue fa ampio affidamento anche sui muri virtuali, costituiti da infrastrutture digitali, sistemi di intelligenza artificiale e controlli biometrici più difficili da identificare, ma particolarmente pervasivi. Il loro compito è quello di monitorare i flussi migratori, raccogliere informazioni e conservarle in speciali banche dati utili per identificare, registrare e profilare chiunque si muova verso o attraverso le frontiere europee. Il fine ultimo è rendere il più impenetrabile possibile la “fortezza Europa”, sempre più preoccupata da quei flussi migratori che non riesce a fermare e che in diversi casi sono alimentati dalle sue stesse politiche estere ed economiche.

A gestire i muri virtuali dell’Ue è un’agenzia che si sente nominare raramente e che rappresenta la controparte digitale di Frontex, il più noto organismo di controllo delle frontiere. Stiamo parlando di Eu-Lisa, l’agenzia europea incaricata di fornire servizi informatici per la gestione dei flussi migratori e i confini. Operativa dal 2012, ha sede a Tallinn (Estonia), ma il suo centro operativo è a Strasburgo. Qui si trovano i diversi database gestiti da Eu-Lisa e contenenti informazioni personali, identità e dati biometrici.

Muri virtuali

L’Ue sta investendo molto su Eu-Lisa: per il periodo 2021-2027 sono stati stanziati 22,7 miliardi di euro e a beneficiarne sono anche le aziende europee a cui l’agenzia si affida per la realizzazione, la gestione e la sicurezza delle infrastrutture digitali che utilizza. Una parte di questi fondi sono destinati alla creazione del più grande archivio biometrico al mondo (sBMS), che dovrebbe mettere insieme i dati raccolti dai diversi sistemi al momento in uso. Nello specifico, il nuovo progetto targato Eu-Lisa dovrebbe unire i dati di: Sis, utilizzato per la cooperazione giudiziaria e di polizia; Vis, la banca dati dei visti; Eurodac che contiene le informazioni dei richiedenti asilo, comprese le impronte digitali.

Ma Eu-Lisa si occuperà anche della gestione di Ecris-Tcn, per lo scambio di informazioni su persone indagate, ricercate o condannate con stati extra-Ue, e di Etias, sistema informatico per la gestione delle richieste di entrata in Ue di chi non ha bisogno di visti. Quest’ultimo potrà bloccare le persone ritenute una minaccia alla sicurezza o alla salute dell’Ue, o che potrebbero fermarsi in territorio europeo oltre i limiti consentiti dalla legge. Ulteriore database su cui Eu-Lisa sta puntando è l’Entry/exit system (Ees) per la registrazione elettronica dei cittadini di paesi terzi che attraversano i confini dell’Ue.

Parliamo quindi di banche date in continua crescita in cui sono contenuti dati personali, impronte digitali, foto e documenti di milioni di persone e capaci di ottenere tutte queste informazioni con crescente facilità grazie all’intelligenza artificiale. L’impiego delle tecnologie Ai crea però una serie di problemi ulteriori rispetto a quelli relativi alla privacy. L’intelligenza artificiale riproduce gli stessi comportamenti discriminatori esistenti all’interno della società e i dati su cui lavora potrebbero essere errati – ad esempio un nome o un cognome registrato male – o incompleti: tutti elementi che rendono l’impiego di certi sistemi particolarmente problematico in un ambito come quello della gestione della migrazione.

Confini come laboratori

Il nuovo regolamento sull’Ai su cui l’Ue tornerà ad esprimersi la prossima settimana dovrebbe limitare l’uso di alcune tecnologie come il riconoscimento facciale in luoghi pubblici, ma le frontiere non rientreranno in questa categoria. «Sono delle zone grigie in cui governi e aziende possono sperimentare nuove tecnologie. Manca la volontà politica di regolamentare i confini», spiega Petra Molnar, direttrice associata del Refugee Law Lab. «L’Ue ha adottato un approccio all’immigrazione basato sulla “datificazione”, per cui tutto è interpretato sulla base dei dati. La preminenza di questa logica è evidente anche nell’Ai Act. Vediamo anche che l’immigrazione è stata equiparata alla sicurezza nazionale, per questo in diversi casi il rispetto dei diritti umani è messo in secondo piano». L’Ai Act inoltre non dovrebbe avere un particolare impatto sulle modalità di raccolta dati di Eu-Lisa. Da una parte questi database sono regolati da altri tipi di normative, dall’altra il loro ambito di applicazione resta quello delle frontiere, in cui le tutele dei diritti sono minori.  

Resta poi da capire anche quanto sarà retroattivo il nuovo regolamento e quanto in grado di regolamentare i sistemi del futuro. «L’Ai Act prevede la messa al bando di alcuni tipi di programmi, ma che succede con quelli già in utilizzo? Che impatto avrà sui sistemi che saranno creati nel futuro? Sono domande ancora senza risposta».

Un altro problema evidenziato da Molnar riguarda trasparenza e responsabilità. I sistemi Ai sono creati e sperimentati senza che l’opinione pubblica ne sia al corrente, per cui è anche difficile intervenire per garantire il rispetto dei diritti. Inoltre è sempre più complesso stabilire su chi ricade la responsabilità. «Se una persona è respinta erroneamente, di chi è la colpa? Di chi ha scritto il codice? Del funzionario dell’immigrazione che lo ha usato? O arriveremo a riconoscere personalità giuridica all’algoritmo? Sono tutte questioni con cui giudici e avvocati dovranno fare i conti in futuro».

Chi ci guadagna

Intanto però le aziende a cui sono stati affidati questi progetti continuano a riceve ingenti quantità di denaro pubblico. A guadagnare dai contratti con Eu-Lisa sono soprattutto le due multinazionali francesi Idemia e Sopra steria, attive nella cyber security, ma i progetti di sicurezza dei confini attraggono anche le aziende della Difesa. Tra queste rientra l’italiana Leonardo, già in affari con Frontex e legatasi negli ultimi anni anche a Eu-Lisa. L’ex Finmeccanica fa parte del consorzio che nel 2019 ha firmato un accordo da 142 milioni per implementare e mantenere attivi i servizi dell’Ees – il cui lancio è stato nuovamente rimandato –  e dal 2022 si occupa anche della cyber security della stessa agenzia Eu-Lisa.

La costruzione di frontiere digitali d’altronde è particolarmente lucrativa e lo sarà anche in futuro: il settore della biometria dovrebbe valere 65,3 miliardi di dollari entro il 2024 e 150,58 miliardi entro il 2030. Non sorprende dunque che sempre più aziende della Difesa e della cyber security abbiano deciso di puntare sulla biometria, assecondando le scelte politiche prese dall’Europa.

«Se il fine ultimo è tenere le persone fuori dai confini si sviluppano certi tipi di sistemi, ma se invece si puntasse su politiche di accoglienza anche il mercato seguirebbe questo indirizzo e svilupperebbe ben altri strumenti», spiega Francesco Vignarca, analista di Rete pace e disarmo. «La pressione per adottare certe scelte però è arrivata anche dalle aziende, interessate all’implementazione di politiche di automazione e militarizzazione delle frontiere». Il paradosso, prosegue Vignarca, è che le stesse imprese che tramite la vendita di armamenti alimentano i conflitti nelle aree da cui partono i migranti, sono poi le stesse che guadagnano dalla gestione securitaria delle frontiere. In un circolo vizioso in cui milioni di euro vengono spesi per alzare muri anziché per l’accoglienza. 

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