«Ti ricordi quando trafficavo con le uova quando eravamo in Siria? La stessa cosa faccio ora, solo che traffico verso l’Europa, faccio partire i siriani e gli iracheni». Questo stralcio di conversazione è parte di un’intercettazione ottenuta dalla squadra mobile di Catania che risale a molto tempo fa.

Eravamo nel 2014 e già allora gli inquirenti erano sulle tracce dei trafficanti di esseri umani che dalla Turchia facevano partire siriani, iracheni, afghani e a volte libanesi verso l’Europa. Li stipavano a bordo di piccole imbarcazioni che, dopo tre-quattro giorni di viaggio, arrivavano sulle coste ioniche. L’intercettazione dimostra che la rotta Turchia-Italia è attiva da anni, con un aumento delle partenze in concomitanza dello scoppio della guerra civile siriana del 2011.

È una rotta altrettanto pericolosa, che causa morti in mare e naufragi come testimonia la recente vicenda di Cutro, ma che ha avuto anche meno attenzioni rispetto a quella del Mediterraneo centrale. Il monitoraggio del ministero dell’Interno conferma che la rotta è battuta: nel 2022 in Calabria sono sbarcate 18mila persone, cioè il 15 per cento degli sbarchi complessivi in Italia, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. E, ovviamente, in netto aumento dall’anno dello scoppio della pandemia.

In un report interno di Frontex, si legge che «nel 2019, le autorità turche hanno impedito a più di 43.400 persone di attraversare le frontiere terrestri e a più di 110mila di attraversare le frontiere marittime dalla Turchia all’Unione europea. La stessa tendenza in termini di prevenzioni è proseguita anche a gennaio 2020».

Per fermare le partenze verso l’Europa, il 18 marzo del 2016 le istituzioni europee decidono di finanziare la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan in cambio dell’accoglienza dei profughi siriani e del contrasto all’immigrazione irregolare. Oggi, a quasi sette anni di distanza da quell’accordo, Bruxelles valuta nuove misure ed Erdogan, che punta a vincere le prossime elezioni a maggio, può giocarsi di nuovo la carta migranti per ottenere ulteriori finanziamenti.

Come funziona il sistema

Secondo quanto emerge dalle indagini degli inquirenti, in Turchia esistono delle organizzazioni criminali, anche con ramificazioni internazionali in Europa e in altri paesi del medio oriente, che gestiscono le partenze dei migranti e i loro spostamenti verso le destinazioni finali una volta giunti in Italia.

La rete è gestita da cittadini di origine turca, siriana e spesso anche libanesi ed egiziani. I migranti partono da diversi avamposti. Nella costa orientale le imbarcazioni salpano soprattutto dalle spiagge che vanno da Antalya a Mersin – città nell’Anatolia orientale vicino all’area colpita di recente dal forte sisma, a circa 350 chilometri da Aleppo. Invece, nel lato occidentale della Turchia (quello che si affaccia all’Europa), si parte da città come Cesme o Smirne, a pochi chilometri dalla Grecia. Da lì, stando a quanto si legge dalle testimonianze raccolte dalla procura di Crotone, è partito il caicco naufragato a Cutro nella notte del 26 febbraio con a bordo 180 migranti, di cui almeno 71 sono deceduti.

I migranti arrivano nelle città turche a bordo di autobus, aerei o mezzi di fortuna. Dopo giorni di attesa in appartamenti o hotel messi a disposizione dell’organizzazione si organizzano i viaggi. Partire per l’Europa costa migliaia di euro, la cifra oscilla tra 6mila e i 10mila dollari. Ogni viaggio frutta ai trafficanti guadagni nell’ordine di centinaia di migliaia di euro. Le imbarcazioni sono lunghe da 50 a 100 metri e a bordo trasportano in media 150 persone, generando profitti per oltre un milione di euro. Soldi che servono a pagare il mezzo di trasporto – spesso in quella rotta si tratta di imbarcazioni a vela – e a finanziare l’intera rete di trafficanti e intermediari che mettono in contatto quest’ultimi con chi decide di partire.

Diverso è il discorso per chi arrivare in Europa “via terra”: il viaggio in camion costa circa cinquemila dollari e trasporta i migranti oltre il confine turco verso i paesi dell’Unione europea. Altri pagano cifre inferiori per arrivare in Bulgaria o Grecia, da dove poi si incamminano verso la rotta Balcanica, qui inizia un altro calvario: associazioni e organizzazioni internazionali denunciano da anni i respingimenti alle frontiere e le violazioni di diritti umani subite dai migranti che tentano di oltrepassare il confine, soprattutto in Ungheria e Croazia.

Il ruolo degli scafisti

Per chi parte da Mersin, spesso il viaggio si divide in due parti, con una tappa intermedia ad Alessandria d’Egitto dove i migranti trasbordano da piccole imbarcazioni ad altre più grandi con a bordo altre persone pronte a partire. Da qui, gli scafisti viaggiano verso la costa ionica dell’Italia, sperando di arrivare – guasti al motore e condizioni meteorologiche permettendo – nel fianco orientale della Sicilia o in quello della Calabria.

In cambio, gli scafisti spesso ottengono un viaggio gratuito verso l’Europa. Sono figure ben distinte dai trafficanti di esseri umani che da terra organizzano le partenze, anche se l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni non sembra fare distinzioni tra gli uni e gli altri.

Fin dalle prime ore della tragedia di Cutro, infatti, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha cercato di distogliere l’attenzione sul mancato soccorso della Guardia costiera, sottolineando le responsabilità degli scafisti, che avrebbero virato improvvisamente verso un luogo più sicuro non appena hanno visto le luci sulla spiaggia, provocando di fatto il naufragio. La procura di Crotone al momento ha fermato quattro ragazzi, tutti accusati di essere gli scafisti che hanno guidato il caicco della morte. Uno di loro ha origine pakistane e suo fratello, parlando con i giornali italiani, ha mostrato le ricevute del viaggio pagato per l’Italia per dimostrare la sua innocenza.

Nell’ultimo anno, secondo il monitoraggio di Arci Porco Rosso, in Italia sono stati arrestati 264 scafisti, la maggior parte dei quali di nazionalità egiziana, turca e tunisina. Dal 2013, invece, ne sono stati arrestati circa 2.500. Ciononostante le partenze non si sono fermate e la rete locale e internazionale gestita dai trafficanti di esseri umani continua a uccidere persone.

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