Fino alla metà del XX secolo, vivere in un altro paese europeo ed imbattersi nei suoi usi e costumi era un privilegio riservato, perlopiù, alla nobiltà, al clero, a scienziati (Marie Curie, Alfred Nobel), intellettuali (Nietzsche, Pirandello), artisti (Modigliani, van Gogh), musicisti (Liszt, Chopin) e scrittori (Joyce, Rilke).

Democratizzare quest’esperienza, rendendo la mobilità una realtà accessibile ad una larga parte dei suoi cittadini, rappresenta una delle grandi promesse del progetto europeo. Eppure, nonostante le buone intenzioni, gli europei mobili si trovano ad attraversare una fitta selva di ostacoli pratici e pastoie amministrative che complicano inutilmente il loro quotidiano.

Quest’opportunità si è estesa progressivamente a nuove categorie di cittadini grazie all’istituzione della cittadinanza europea nel Trattato di Maastricht nel 1993. Attualmente, oltre 13 milioni di europei, (di cui 2,2 milioni di italiani), cioè il 3,1 per cento della popolazione europea, vivono in uno stato membro diverso da quello in cui sono nati o di cui sono cittadini. A titolo di confronto, questo numero corrisponde ad una popolazione superiore a quella del Belgio, uno stato che consta di 21 eletti al parlamento europeo. Laddove dotati di una voce comune, questi cittadini disporrebbero di un potere politico dunque considerevole

Tuttavia, questi “migranti interni” vengono spesso identificati più dai loro passaporti nazionali che dalla loro cittadinanza europea e sono oggetto di numerose discriminazioni che li obbligano a sottoporsi ad inutili e dispendiose procedure al momento di trasferirsi nel nuovo paese.

I mercati del lavoro e immobiliare

In primis, il riconoscimento delle qualifiche professionali, nonostante le direttive europee stabiliscano norme chiare, è lungi dall’essere funzionale. I datori di lavoro spesso non considerano le qualifiche acquisite in un altro stato membro come un indicatore affidabile di competenze, ed escludono a priori i candidati europei, discriminando nell’accesso all’impiego. Similmente, i cittadini europei in cerca di un alloggio possono essere soggetti a richieste aggiuntive superflue, quali fornire un garante con residenza fiscale nel paese ospitante, che li obbligano così a protrarre la propria ricerca, già di per sé non semplice.

La Commissione ha cercato di affrontare questa questione promuovendo misure quali il “Programma per la mobilità professionale (Eures)”, con l’obiettivo di semplificare la procedura di riconoscimento delle qualifiche e migliorare l’accesso alle informazioni sulle professioni regolamentate nei diversi stati membri. Inoltre alcuni stati, come la Francia, vietano esplicitamente (Art. 22. 1 della legge del 6 Luglio 1989) le pratiche discriminatorie nell’accesso al mercato immobiliare. Tuttavia, la distanza tra disposizioni giuridiche e realtà concreta rimane ampia.

Andare in pensione

Oggigiorno, un numero crescente di cittadini europei si trasferisce in un altro stato membro dopo la pensione, attratti da un clima più caldo, da una nuova esperienza di vita o per avvicinarsi ai propri figli emigrati. Nel 2022, sono stati 22mila i cittadini tedeschi che hanno ricevuto la propria pensione in Italia, mentre erano 3.500 i pensionati italiani che vivevano in Portogallo. Questa pratica è assolutamente legale, ma l’iter farraginoso ad essa associato fa sì che il calcolo dei diritti pensionistici possa richiedere fino ad un anno.

Gli ostacoli, nonostante il “sistema europeo di informazione sul mercato interno (Imi)”, sono dovuti alla scarsa consapevolezza delle autorità nazionali riguardo ai diritti dei cittadini mobili secondo la legislazione europea. Inoltre, l’eterogeneità dei sistemi pensionistici dei vari stati membri conduce sovente ad errori nel calcolo dei contributi, soprattutto qualora un cittadino abbia lavorato per un periodo all’estero.

Conto bancario e numero di telefono

Aprire un conto bancario ed ottenere un numero di telefono sono due passaggi essenziali al momento di trasferirsi in un nuovo stato membro. Nell’era dei servizi digitalizzati, delle super app e del fintech, queste due operazioni dovrebbero essere facilmente eseguibili ovunque dal proprio smartphone. Ciononostante, si registra ancora una volta una forte discrepanza tra le regole e la realtà: un ostacolo maggiore all’integrazione europea e un indicatore del ritardo europeo in termini d’innovazione.

Se la direttiva “Pad” consente ai cittadini Ue di richiedere l’apertura di un “conto di pagamento di base” presso una banca di loro scelta, indipendentemente dal luogo di residenza, d’altro canto le regole proprie ad ogni paese rendono il processo più complesso. In Spagna, ad esempio, ai cittadini stranieri è richiesto un identificatore fiscale assegnato ai non nazionali, il “Número de Identificación de Extranjero (NIie)”, senza che alcuna reale distinzione sia fatta tra cittadini europei e non.

Una mancanza di differenziazione sorprendente che solleva interrogativi sulla raison d’être stessa della “cittadinanza europea”. Un lettore attento potrebbe qui chiedersi, a giusto titolo, perché un europeo mobile dopotutto preferirebbe aprire un nuovo conto bancario anziché mantenere quello del proprio paese d’origine.

Una risposta possibile risiede nella discriminazione dell’Iban, cioè il rifiuto di una banca, un rivenditore, un privato o un ente pubblico ad accettare Iban non locali. Secondo il regolamento europeo Sepa , non dovrebbe essere fatta alcuna distinzione in base al paese di origine dei conti di pagamento. Tuttavia, casi di discriminazione degli Iban sono stati segnalati a più riprese sulla piattaforma Accept My Iban.

La Commissione europea ha istituito una piattaforma per segnalare ogni violazione alle autorità nazionali competenti ed ha avviato procedure d’infrazione contro gli stati membri che non rispettano questa norma.

Benché poi, disporre di un numero di telefono locale sia una conditio sine qua non per aprire un conto corrente, il cittadino europeo mobile che decidesse di ottenerne uno, dovrà affrontare alcune situazioni in stile Catch-22. Ecco che, quando si intraprendono le necessarie procedure, online o in agenzia, con alcuni operatori telefonici in paesi come Spagna, Italia, Francia o Belgio, ci si trova nell’impossibilità di sottoscrivere un nuovo numero di telefono a meno di non disporre già di un numero nel paese ospitante - una situazione paradossale, per non dire assurda, per qualsiasi nuovo arrivato.

Realizzazioni concrete

Cosa può fare l’Europa per risolvere questi problemi in quest’area della libera circolazione? La risposta deve ispirarsi allo spirito delle “realizzazioni concrete” proprio della Dichiarazione Schuman. Innanzitutto, studi, report e sondaggi, ad oggi sorprendentemente assenti, possono aiutare a comprendere meglio l’entità dei problemi riscontrati.

In secondo luogo, è necessario formulare precise linee guida europee, tradotte nelle 24 lingue ufficiali, per facilitare l’accesso alle informazioni per cittadini, istituzioni ed aziende. Inoltre, un ulteriore sforzo è d’uopo per combattere la discriminazione de facto, imponendo sanzioni più frequenti ed istituendo piattaforme per agevolare la segnalazione d’infrazioni.

Sarebbe altresì utile promuovere meccanismi uniformi per garantire le transazioni per il pagamento di depositi o l’autenticazione di qualsiasi inquilino europeo, così da livellare il campo di gioco e rassicurare proprietari ed agenti immobiliari. Degli schemi simili esistono già: in Francia, ad esempio, la Garantie Visale esenta l’inquilino dal presentare altre garanzie al proprietario. Infine, un’iniziativa ambiziosa sarebbe la creazione di un unico prefisso telefonico per tutta l’Unione europea che garantisca una maggiore semplificazione delle procedure amministrative

L’eliminazione della discriminazioni enunciate avrebbe numerosi benefici per l’Ue. Faciliterebbe le transazioni transfrontaliere, aumenterebbe la fiducia dei consumatori, incentiverebbe la mobilità interna e, nel complesso, svilupperebbe l’integrazione finanziaria ed il mercato unico. Tali benefici contribuirebbero a rafforzare la cooperazione e l’integrazione europea, stimolando la crescita economica ed il benessere dei cittadini europei che scelgono la mobilità.

Migliorare la libera circolazione delle persone all’interno dell’Ue avrebbe anche un secondo effetto benefico: rafforzare il senso di appartenenza all’Unione. I cittadini mobili esposti a un’Europa che funziona e che mantiene le promesse, saranno i primi sostenitori dell’importanza di costruire un’Unione più forte e più integrata.

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