La premier contro la Corte: «Le toghe rivendicano spazi che non competono loro sulla gestione dei rimpatri e degli irregolari». Salvini rincara la dose: «Se qualche magistrato vuole fare politica si candidi». Le opposizioni: «Il modello Albania è un fallimento»
Cambiano gli avversari ma non il terreno di scontro. Questa volta, il “nemico” a cui addossare le colpe delle politiche migratorie fallimentari del governo italiano sono i giudici europei. Dopo mesi di accuse contro i togati italiani, ora è la Corte di giustizia Ue a «rivendicare spazi che non le competono»: così dice la premier Giorgia Meloni dopo la sentenza sui paesi sicuri arrivata da Lussemburgo.
In soldoni, i giudici sanciscono che spetta ai loro omologhi nazionali decidere caso per caso se un paese può essere considerato sicuro per il migrante che fa richiesta di asilo politico. E, quindi, garantire un controllo giurisdizionale effettivo.
Per la premier però si tratta di una sentenza che «sorprende» e che consegna «la decisione a un qualsivoglia giudice nazionale non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari». Di conseguenza «è un passaggio che dovrebbe preoccupare tutti – attacca Chigi – perché riduce ulteriormente i già ristretti margini di autonomia dei governi e dei parlamenti nell’indirizzo normativo e amministrativo del fenomeno migratorio».
Una reazione dura perché di fatto i giudici Ue bocciano il modello del protocollo Italia-Albania e forniscono garanzie sul rispetto del diritto di asilo. Si evita quindi l’equazione tra paesi sicuri ed espulsioni indiscriminate di massa dei migranti.
A margine della nota, poi, c’è spazio anche per la propaganda. Il governo «non smetterà di ricercare ogni soluzione possibile, tecnica o normativa, per tutelare la sicurezza dei cittadini». Un capovolgimento della narrazione che sposta il focus del dibattito politico dai diritti delle persone migranti. Ma la decisione preoccupa anche altri governi europei che temono una futura bocciatura del Patto migrazione e asilo dell’Ue, la cui entrata in vigore è prevista per il 2026. Silenti, per il momento, le istituzioni politiche europee, alle prese con i dazi.
Da destra a sinistra
La nota di Palazzo Chigi ha comunque lanciato il via alle reazioni della maggioranza di governo. L’attacco più diretto rivolto contro i giudici europei è quello del vice premier Matteo Salvini. La sentenza è «scandalosa, limita la possibilità di controllare i confini, di contrastare i trafficanti di esseri umani, di limitare gli sbarchi, cancella la sua regolazione nazionale. L’ennesima dimostrazione di un’Europa che non funziona», ha detto. E poi l’affondo: «Se qualche magistrato vuole fare politica si candidi. Smetta di fare il magistrato sia in Europa che in Italia, perché gli italiani vogliono più sicurezza, più tranquillità, più serenità».
A difendere i togati ci ha pensato l’Associazione nazionale magistrati, secondo cui la sentenza conferma il loro buon operato. «I magistrati italiani hanno fatto in questi mesi quello che la legge imponeva loro, nonostante i frequenti e brutali attacchi ricevuti da una parte della politica», fanno sapere.
Più mite la reazione dell’altro vicepremier, Antonio Tajani. «È una sentenza che non mi convince per nulla, ma è una sentenza che ha effetti molto brevi, perché presto, con l'entrata in vigore delle nuove norme comunitarie sull'immigrazione, questa sentenza cesserà di avere il suo effetto».
Nella maggioranza c’è chi, come il senatore meloniano Lucio Malan, parla di «invasione di campo» dei giudici europei, e chi «di un gravissimo precedente». Ma tra le file di Fratelli d’Italia tutti confermano che il costoso protocollo con l’Albania non è in discussione.
Le opposizioni unitarie chiedono invece la fine dell’accordo siglato con Edi Rama. «Il modello Albania, per come era stato concepito dal governo Meloni, non regge e non è compatibile con il diritto comunitario», ha detto la deputata del Partito democratico Rachele Scarpa. Elly Schlein ha chiesto all’esecutivo di «prendersi le responsabilità» di «aver fatto una scelta illegale con i centri inumani in Albania».
Per il leader di Italia viva Matteo Renzi «è il più clamoroso scandalo della storia italiana», alla luce del fatto che i centri per migranti di oltre Adriatico arrivano ad avere un costo che supera gli 800 milioni di euro. Per il presidente del M5s, Giuseppe Conte, la sentenza era «scontata» e Meloni «pretende impunità e privilegi per sottrarsi alla giustizia».
Sono lontani i tempi in cui il suo ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, dichiarava: «La Tunisia è un paese sicuro e chi parte per l’Italia viene rimpatriato». La voce fuori dal coro è di Carlo Calenda, secondo cui serve un «regolamento europeo sui paesi sicuri che limiti la discrezionalità e garantisca rimpatri rapidi ed efficaci».
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