Entriamo nel 2023 con un salto in avanti sui diritti lgbt. Il 22 dicembre il Congresso spagnolo ha approvato la ley trans e il parlamento scozzese ha detto sì al Gender Recognition Reform Bill. Due governi di orientamento progressista – uno dentro l’Ue, l’altro fuori – agiscono all’unisono: svincolano l’identità di genere da lunghi e complessi percorsi medici, psicologici, giuridici.

L’idea, in entrambi i paesi, è che ci si possa autodeterminare in libertà. E le tendenze comuni non si fermano qui: sia in Scozia che in Spagna, a sinistra si sono aperte spaccature su questi provvedimenti. Ma le rispettive forze di governo hanno deciso di tirar dritto.

Tanto avanti spingono le progressiste Spagna e Scozia, quanto l’illiberale governo ungherese, o quello ultraconservatore polacco, provano a catapultare l’Europa indietro. La politicizzazione delle istanze lgbt va di pari passo con la polarizzazione del dibattito. L’esito è un’Europa a due velocità. Fino a che punto le avanguardie sapranno trainare il resto dell’Ue?

Gradi di emancipazione

Oggi in Ue il paese più avanti sul fronte dell’identità di genere è Malta. Potrà stupire. L’isola è infatti la più oscurantista in assoluto, in Europa, per quel che riguarda il diritto all’aborto; solo sul finire del 2022 il governo ha accennato all’opportunità di emendare il divieto totale di abortire, per tutelare la vita della madre se è in grave pericolo. Indietrissimo sull’aborto, Malta è già l’avanguardia, invece, sul versante dell’autodeterminazione del genere.

La più recente classifica prodotta da Ilga Europe, che porta avanti i diritti lgbt a livello europeo, assegna a Malta il 100 per cento del punteggio, e cioè il massimo rispetto di diritti e uguaglianza. Il criterio dell’identità di genere è in Costituzione, a Malta, già dal 2014; nel 2015, è entrata in vigore una legge – il Gender Identity, Gender Expression and Sex Characteristics Act – che svincola la possibilità di cambiare genere da operazioni chirurgiche, terapie ormonali.

Si può autodeterminare la propria identità. Un processo di «empowerment» della libertà individuale, come lo stesso parlamento maltese lo ha definito. Nella classifica europea, a seguire, ci sono Lussemburgo, Belgio, Portogallo, Irlanda, Danimarca. Germania e Francia vengono dopo.

La Polonia è in fondo alla classifica, l’Ungheria ancor di più, e il fanalino di coda è la Bulgaria. L’Italia «negli anni Ottanta è stata uno dei primi paesi europei a varare una legge sul cambio di genere», dice Yuri Guaiana di Lgbti Liberals of Europe. «Ma si è fermata lì. Sull’identità di genere restano i freni, come si è visto nel dibattito sul ddl Zan».

Le mosse di Spagna e Scozia

(Festeggiamenti davanti al Congresso spagnolo dopo il sì alla ley trans. Foto AP)

Il 22 dicembre, al Congresso spagnolo, con 188 voti a favore e 150 contrari, i deputati hanno approvato la ley trans, che – una volta arrivato anche il sì del Senato – consentirà di cambiare identità di genere semplicemente perché lo si vuole: basterà ribadire la propria volontà dopo tre mesi, e non si potrà ri-cambiare genere prima dei sei mesi.

Negli stessi frangenti in cui gli attivisti lgbt esultavano di gioia in Spagna, qualcosa di molto simile si svolgeva in Scozia, dalle parti di Holyrood. Giovedì scorso il parlamentino scozzese ha infatti approvato il Gender Recognition Reform Bill. La riforma nasce con l’intento dichiarato di semplificare il riconoscimento di genere. «Finora, è servita una diagnosi medica e una valutazione intrusiva da parte del Gender Recognition Panel» e cioè dell’apposito tribunale britannico.

«Invece pensiamo che le persone trans non debbano sottoporsi a tutto questo per poter essere riconosciute in their lived gender». Il proprio vissuto, ciò che si sceglie e si sente di essere, deve essere rispettato pienamente, dice il governo scozzese. Come nella legge spagnola, è previsto che si dia conferma di perseveranza per tre mesi. In entrambi i paesi – Spagna e Scozia – le due riforme hanno innescato strappi interni alle forze di maggioranza: oltre alla doppia velocità tra paesi europei, c’è anche un bivio interno alla sinistra.

Nel caso di Madrid, la legge fortemente voluta dalla ministra dell’Uguaglianza di Podemos, Irene Montero, ha ottenuto non senza tribolazioni il supporto dei socialisti di Pedro Sánchez, ma la contrarietà di una parte della galassia femminista ha innescato divisioni interne. Nel caso di Edimburgo, proprio sulla riforma di genere il partito di governo – lo Scottish National Party della prima ministra Nicola Sturgeon – ha attraversato la sua prima grande spaccatura in quindici anni di egemonia politica alla guida del paese.

Anche in Scozia, come in Spagna, parte del mondo femminista è in rivolta, e teme che la snella autodichiarazione di genere finisca per compromettere le tutele e le lotte per i diritti delle donne.

Polarizzazioni e divari

(Attivisti per i diritti trans davanti al parlamentino di Edimburgo per sostenere la riforma. Foto Twitter)

«Il più grande assalto ai diritti delle ragazze e delle donne scozzesi», così la scrittrice J.K. Rowling ha definito la riforma, criticando pesantemente Sturgeon. Mentre a sinistra ci si disallinea, le destre sono compattamente contrarie. In Spagna, hanno votato contro la ley trans tanto i popolari, quanto Vox e Ciudadanos.

La Scozia si trova in una situazione ancor più scivolosa: deve vedersela con la destra che governa il Regno Unito. Il 22 dicembre, dopo il sì del parlamentino di Edimburgo, il premier britannico conservatore, Rishi Sunak, ha redarguito: il governo del Regno si riserva di fermare la riforma, visto che «molta gente ha espresso preoccupazioni».

Il monito si intreccia con le tensioni già in corso, perché Sturgeon e il suo partito chiedono un nuovo referendum per l’indipendenza, che Westminster osteggia: la nuova legge sul genere riaccende gli scontri. Politicamente, la polarizzazione può essere profittevole per entrambe le parti: la stessa Sturgeon cavalca il tema dell’indipendenza come un grimaldello per il consenso.

Diritti comuni europei

Ma fare la guerra (politica) sui diritti finisce per comprometterli, a detrimento di tutti. Il presidente polacco Andrzej Duda ha vinto le presidenziali nel 2020 con una campagna aggressiva omofoba, che ha innescato una repressione di stato verso gli attivisti lgbt.

L’autocrate ungherese Viktor Orbán, che ha definito «il gender il grande problema d’Europa», ha costruito in vitro – in un paese con un gay pride tra i più vivaci - una crociata contro i diritti lgbt. «Ha iniziato proprio con una legge che impedisce il cambio di genere sui documenti», nota Guaiana.

Più la politica si e ci divide sui diritti, più i divari tra paesi Ue aumentano. Robert Biedroń è stato il primo candidato alla presidenza della Polonia dichiaratamente gay, proprio nell’estate 2020, quando Duda ha vinto attaccando la comunità lgbt. Oggi, da eurodeputato del gruppo S&D, l’esponente della sinistra polacca si batte perché i diritti lgbt, «compresa la questione del riconoscimento di genere», siano tutelati «in un modo sistematico» in Europa.

A che punto è? «L’idea è quella di promuovere una convenzione per i diritti Lgbt che formuli uno standard comune, valido in tutta Europa, non solo in Ue, e che coinvolga quindi il Consiglio d’Europa». Intanto se ne discute tra europarlamentari. Terry Reintke, la capogruppo dei Verdi, dichiaratamente gay e dichiaratamente entusiasta per le leggi spagnola e scozzese, promette: «Ci batteremo a ogni livello, per l’autodeterminazione di genere: i diritti trans sono diritti umani».

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