L’8 ottobre si è svolta l’ultima udienza del 2025 di Maja T., attivista antifascista detenut* in isolamento nelle carceri ungheresi da 15 mesi, nell’ambito dello stesso processo dell’eurodeputata Ilaria Salis. Dopo 6 ore in aula a Maja sono stati negati gli arresti domiciliari per quelle che le autorità ungheresi chiamano le affiliazioni a “organizzazioni antifasciste” (quelle individuate in modo specifico nei gruppi di solidarietà che l* supportano all’esterno del tribunale) e la forte pericolo di una sua fuga.

«È una vergogna che non siano stati concessi nemmeno gli arresti domiciliari. È un accanimento indecente e disumano, che conferma ancora una volta il carattere persecutorio di questo procedimento», dice Salis a Domani.

Martedì a Strasburgo il parlamento europeo si è espresso sulla richiesta di revoca ungherese della sua immunità. Un solo voto ha fatto la differenza: con 306 voti a favore, 305 contrari e 17 astenuti, l’europarlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra è stata tutelata da un potenziale ritorno nelle carceri di Budapest. 

«Dopo il voto, è ancora più urgente che l’Europa e la Germania facciano sentire la propria voce e intervengano per riportare Maja in Germania, garantendole finalmente il rispetto dei suoi diritti», continua Salis, mentre «nell’Ungheria di Viktor Orbán, questo non è evidentemente possibile, e la consapevolezza sta crescendo anche oltre la cerchia più stretta della solidarietà antifascista». 

L’udienza

L’8 ottobre Maja è entrata in tribunale in catene, con quattro uomini armati come scorta. Poco dopo è entrata in aula la parte lesa del processo, László Dudog e la moglie. Dudog, noto membro di una band neonazista Divine Hate ha sostenuto di non indossare alcun simbolo o indumento riconducibile ad affiliazioni neonaziste durante l’attacco. Ma le sue dichiarazioni sono in contrasto con quelle di un testimone oculare.

In una delle registrazioni è visibile un teschio sul cappello di Dudog, ma lui lo ha definito un atto apolitico. Il testimone ha ribadito che si tratta di un simbolo dell’Ss. La questione dell’abbigliamento è stata discussa a lungo ma è rimasta irrisolta e il giudice ha affermato che è improbabile una nuova convocazione della parte lesa e del testimone. L’incoerenza delle dichiarazioni è stata alla fine risolta attraverso l’apoliticità dell’indumento.

I casi di Maja, Ilaria Salis e Gabriele Marchesi in udienza si intersecano l’uno con l’altro, lasciando poco spazio a un progresso sul piano giuridico. Secondo le relazioni presentate in tribunale, Marchesi è coinvolto sulla base dell’abbigliamento che indossava. Le fotografie, però, sono sfocate e sovraesposte. Nelle descrizioni delle immagini si parla di «movimenti di luci e ombre». L’avvocato di Marchesi ha fatto notare come il suo assistito sia irriconoscibile in queste immagini.

La fotografia presentata come prova contro Gabriele Marchesi durante l’udienza del 2 ottobre (Foto Marta Massa)

Tra le letture delle relazioni e i filmati di videosorveglianza, Maja è stata nominata raramente durante l’udienza e i video hanno mostrato solo persone mascherate. Ad oggi nessun testimone ha sostenuto di aver visto Maja.

Il giudice József Sós ha annunciato che le prossime udienze sono state fissate per il 14, 16, 19 e 22 gennaio 2026. Il verdetto è previsto per il 22 gennaio. La famiglia teme una sentenza di condanna fino a 24 anni di carcere.

Quello di Maja T. è un caso strettamente legato alla campagna mediatica portata avanti dal premier ungherese Orbán, che il 26 settembre ha definito – durante un’intervista a Kossuth radio – «le organizzazioni antifa come terroristiche, e le attaccheremo con il pieno rigore della legge».

Secondo Wolfram Jarosch il padre di Maja, il caso del Budapest Complex – con cui si intendono attacchi da parte di militanti di sinistra di area antifa contro militanti di estrema destra – e in particolare il processo di Maja, è uno strumento della campagna elettorale che Orbán intende portare avanti in vista delle elezioni parlamentari del 2026.

Il governo di Orbán sta portando avanti una guerra contro persone come Maja, antifascista e non-binary: prima con l’abolizione del Pride di giugno e poi con la nuova azione repressiva contro organizzazioni di sinistra. In un paese in cui l’antifascismo è diventato un crimine.

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