«Abbiamo raccolto le firme, siamo presenti in tutta Italia e per il professor D’Alimonte potremmo addirittura essere la sorpresa della campagna elettorale». Il leader di Italexit Gianluigi Paragone è raggiante mentre risponde al telefono dalla Liguria, dove è impegnato in una campagna elettorale con mezza dozzina di appuntamenti al giorno. In realtà, il professor Roberto D’Alimonte, sondaggista e direttore del centro elettorale dell’università Luiss, ha detto solo che Italexit potrebbe essere l’unico partito a entrare in parlamento tra quelli che fanno parte della caotica galassia delle formazioni antisistema (i no green pass, no euro e no vaccini che vanno da Vita dell’ex M5s Sara Cunial al Fronte sovranista italiano): un destino che ormai tutti gli istituti demoscopici sembrano ritenere se non probabile, almeno possibile. 

Per Paragone questa sarebbe già una vittoria. Fino ad oggi le prove del suo partito radicalmente euroscettico e anti green pass, non sono state brillanti. Alle comunali di Milano, ha mancato l’elezione in comune per un pugno di voti e quando ha chiesto il riconteggio il divario si è allargato. Ma chi non parla di lui, neanche per deriderlo, invece, è il centrodestra, dove Giorgia Meloni guarda con timore il sorgere alla sua destra di un tribuno più tribuno di lei. 

Il riscatto di Paragone

Due anni fa, Paragone presentava il suo partito anti-euro tra le ironie della stampa. Era la fine di luglio e mentre in una Roma assolata Paragone parlava di uscita dall’euro, l’Unione europea approvava i fondi del Pnrr e il debito comune. Proprio il professor D’Alimonte riferiva che in quei giorni, con il 65 per cento di favorevoli,  l’Unione europea era arrivata al record di popolarità degli ultimi anni.

A chi lo accusava di essere fuori tempo massimo, Paragone rispondeva che lui puntava a quel 18 per cento di italiani comunque convinti che euro ed Europa fossero una trappola. Due anni dopo la scommessa è ancora aperta.

Dallo scorso aprile, tutti i principali istituti di sondaggi hanno cessato di inserirlo nella generica categoria “altri” e gli attribuiscono tra il 2,5 e il 3 per cento. Più di +Europa, dei moderati di centrodestra e dell’Unione popolare di De Magistris. Persino l’alleanza Calenda-Renzi non sembra così lontana, nonostante la sua estensiva copertura televisiva e di stampa. 

Con la pandemia Paragone ha dovuto cambiare registro. L’uscita dall’euro è rimasta nel nome, ma è sparita dai discorsi, sostituita da vaccini e green pass. Dallìex capo dei portuali triestini no green pass, Stefano Puzzer, alla vice questore new age e anti vaccini Nunzia Schilirò, Italexit ha imbarcato tutte le personalità uscite dalle piazze dello scorso autunno e inverno.

Ma a differenza dei concorrenti, è riuscito a uscire dai social e dai canali telegram. Ha costruito un embrione di autentica struttura partitica, con organizzazione territoriali e responsabili locali. Questa strategia ha i suoi lati negativi – qualche settimana fa c’è stata una rumorosa defezione di un cospicuo gruppo di coordinatori toscani in protesta con scelte sule liste elettorali – ma ha contribuito a fargli superare lo scoglio più difficile: la raccolta di decine di migliaia di firme nelle settimane centrali di ferragosto, così da potersi presentare alle elezioni. Una prova di forza organizzativa giudicata impossibile da forze politiche apparentemente più grandi e strutturate, come la stessa Azione, costretta ad allearsi con Italia Viva anche per evitare la complicata raccolta.

Le ragioni del successo

«Ci sono tre elementi che spiegano come Italexit si sia riuscita a distinguersi dagli altri partiti antisistema», spiega Paolo Mossetti ricercatore che da anni segue con scrupolosa attenzione le evoluzioni della nebulosa antagonista. «Il primo – dice –  è la visibilità di Paragone. Il secondo è il network politico di dissidenti leghisti che lo sostiene. Il terzo è l’alleanza con le forze dell’estrema destra». 

Paragone è stato lanciato nella politica dalla sua carriera televisiva. Enfant prodige elevato dal centrodestra al ruolo di anti-Santoro, dopo la caduta di Berlusconi si è dedicato con successo alla conduzione di programmi di denuncia «dalla parte dei cittadini». Le sue tribune televisive hanno forgiato una generazione di fenomeni della scena antisistema, dal filosofo Diego Fusaro al giornalista Paolo Barnard. Alcuni, come i leghisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai insieme alle prime leve del Movimento 5 stelle, dal suo salotto hanno fatto il salto nella politica mainstream.

Aggressivamente nordista, nemico di banche e tasse, Paragone ha raggiunto uno stato di culto in alcune province del Veneto e della Lombardia. Oggi, con 1,6 milioni di follower, la sua pagina Facebook ha un numero di interazioni più vicino a quelle di pesi massimi della politica nazionale come Conte e Salvini, che a quelle di leader a lui vicini nei sondaggi.

Anche se entrato in politica soltanto nel 2018, eletto con il Movimento 5 stelle, Paragone si è fatto le ossa politiche con Umberto Bossi. Nato a Varese e cresciuto professionalmente negli anni dell’esplosione della Lega, è stato direttore del quotidiano di partito la Padania e ha una rete di antiche amicizie con i leghisti della prima ora. L’ex ministro della Giustizia leghista Roberto Castelli, con la sua associazione Autonomia e libertà, gli ha fornito un aiuto chiave nelle raccolta delle firme in Lombardia. Paragone ha fatto proseliti anche tra le nuove leve e in Lazio si è preso come coordinatore il senatore leghista William De Vecchis.

Tra destra e sinistra

Ma in Lazio, e non solo, un aiuto determinante è arrivato anche dall’alleanza con gli estremisti di destra. Tra i suoi candidati di punta, Paragone schiera Carlotta Chiaraluce, attivista di CasaPound, ex consigliera municipale di Ostia campionessa di prefenze. Il suo compagno è il portavoce nazione del movimento, Luca Marsella.

«Personale di CasaPound e Forza Nuova si è riciclato sotto spoglie più o meno mentite mettendosi a disposizione e mettendo a disposizione i propri circoli militanti», dice Mossetti.

Si tratta di un tasto dolente per Paragone, che cerca di minimizzare in ogni modo il loro ruolo. Ma alla presentazione dei candidati in Lazio di Italexit, i sostenitori di Chiaraluce erano schierati in platea, perfettamente identificabili da tatuaggi e abbigliamento: di sicuro il gruppo più compatto tra quelli presenti.

Paragone si difende dall’accusa di estremismo di destra e sostiene che il suo partito ha accolto diverse figure provenienti anche da sinistra. Ma lo spirito «né di destra né di sinistra» di Italexit è quasi scomparso nell’ultimo anno di vita del partito. Thomas Fazi, autore anti euro da posizioni socialiste, si è allontanato dopo essere stato tra i fondatori e l’intellettuale di riferimento del partito. Oggi, pur rivendicando la sua amicizia con Paragone, preferisce non parlare dell’argomento.

Il nemico del mio nemico

Ci sono pochi dubbi su chi politicamente pagherà di più l’eventuale ingresso di Italexit in parlamento. Con un programma fatto di interventismo protezionistico orbaniano e istanze paranoiche su cultura, immigrati, politically correct e scienza ufficiale, «un mix di socialismo conservatore e primitivo e libertarianesimo rozzo con venature quasi fascistoidi di vendetta politica» come lo descrive Mossetti, Italexit guarda soprattutto ai delusi dalla destra mainstream. Difficile che il risultato di Paragone possa frenare la valanga in arrivo «ma se dovesse entrare in parlamento mentre Giorgia Meloni si fa addomesticare internazionalmente e in Italia è costretta a fare razionamento energetico, Italexit rischia di diventare una vera rogna per la destra».

Perfettamente conscio di quali sono i suoi bersagli in questa campagna elettorale, Paragone dice a Domani che «Salvini non è più credibile a parlare di immigrati e sicurezza e Giorgia Meloni non è contro l’agenda Draghi, farà la quarta dose di vaccino obbligatoria e ci imporrà un lockdown energetico. È destino inevitabile di chi entra nella spirale della “responsabilità”». E lui li aspetta lì, in fondo a quella spirale.

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