Per la riforma costituzionale del premierato, riaffiora quella dell’autonomia differenziata.

Il binario parallelo è sempre stato formalmente negato dal governo, tuttavia è una questione di programma elettorale e rapporti tra alleati: il premierato risponde ai desiderata di Fratelli d’Italia e di Forza Italia, l’autonomia è la missione della Lega.

Anche se formalmente non si toccano – una è una riforma costituzionale con procedura di approvazione aggravata, l’altra una legge ordinaria – politicamente viaggiano insieme.

Per un passo che fa l’una anche l’altra deve seguire, nonostante entrambe abbiano tempi di approvazione dilatati e incerti. Del resto, come ha detto senza mezzi termini il governatore veneto Luca Zaia dal palco di una festa estiva della Lega, «Se l'autonomia non arrivasse nella tempistica del 2024 vuol dire che abbiamo fallito come obiettivo. Ma non fallisce la Lega, fallisce il governo».

Un avviso ai naviganti chiaro, rivolto alla premier Giorgia Meloni quale garante della coalizione ma anche al segretario Matteo Salvini, chiamato a tornare ai fondamentali del credo della Lega.

Quindi, dopo il passo avanti del premierato che arriverà in consiglio dei ministri venerdì, è il turno di tornare a spingere in commissione Affari costituzionali al Senato, dove il ddl Autonomia è arenato e dove è in corso un braccio di ferro tra maggioranza e opposizione.

Da una parte, infatti, c’è il ministro che ha redatto il testo, il leghista Roberto Calderoli, che presidia la commissione per cercare di accelerare i tempi. Dall’altra invece i senatori di minoranza chiedono approfondimenti e audizioni, giustificate anche alla luce dei numerosi avvertimenti e preoccupazioni già manifestate da soggetti auditi come Confindustria ma anche da una lettera inviata dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.

Il governatore è intervenuto per mettere in guardia sul rischio che la riforma faccia saltare gli equilibri di bilancio e dunque i calcoli per rispettare le regole del patto di Stabilità Ue. 

Secondo Visco, la questione riguarda i livelli essenziali delle prestazioni e l’oscurità dei criteri di scelta tra le materie che rientrano tra i Lep e quelle rimaste fuori. Inoltre manca ancora una quantificazione dei costi, quindi l’unico riferimento è quello della spesa storica con il rischio che così si perpetuino gli squilibri territoriali oggi esistenti.

Passi lenti

Ora come ora, infatti, l’iter è in corso ma procede lentamente. Una volta approvato dal cdm ai primi di febbraio, il ddl Autonomia del ministro Roberto Calderoli ha iniziato infatti il suo complicato viaggio in commissione.

Attualmente e dopo molti mesi di lavori, i senatori stanno discutendo dell’articolo 7, su dieci in totale. Pur di farla procedere, la maggioranza ha utilizzato un escamotage normativo: il ddl prevede espressamente l’invarianza di bilancio, tuttavia (e quindi anche se l’autonomia non prevede impegno di risorse economiche) è previsto tra i collegati alla legge di Bilancio.

In questo modo si è potuto aggirare la previsione secondo cui durante la sessione di bilancio è impedita la trattazione degli altri disegni di legge, ad esclusione appunto di quelli collegati. In questo modo la commissione Affari costituzionali potrà proseguire con l’esame, tuttavia a bloccare un sostanziale passo avanti è la fissazione e approvazione dei Lep: il passaggio che preoccupa Visco, inaggirabile e ancora incompiuto.

Il nodo Cassese

La riforma prevede il via libera ai Lep come passaggio vincolante, il quale però è appeso al lavoro e ai tempi di elaborazione dell’amministrativista Sabino Cassese.

O meglio, del Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Clep) che il ministro Calderoli gli ha chiesto di presiedere e composto da una sessantina di esperti, alcuni dei quali però si sono sfilati nel corso dell’estate (Luciano Violante e Giuliano Amato, Franco Bassanini, Franco Gallo e Alessandro Pajno).

La commissione ha chiesto di sapere quando Cassese potrà essere ascoltato ma ad oggi una data non c’è. Il professore è intervenuto, infatti, solo per una prima disamina del quadro normativo vigente ma non sono ancora stati forniti numeri, dati e valutazioni sugli standard da prevedere per ogni regione.

Come Cassese, anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si è impegnato ad andare in commissione per spiegare come sia stato possibile collegare alla Finanziaria una riforma con invarianza di bilancio, ma anche in questo caso non c’è un calendario fissato.
«L’opposizione non si sta ponendo in maniera preconcetta, chiediamo però un atteggiamento serio e quindi di acquisire i dati oggettivi prima di affrontare questa riforma, così da discuterne in modo informato», ha spiegato Andrea Giorgis, capogruppo del Pd in commissione. Il rischio secondo i dem, infatti, è che la riforma aumenti le disuguaglianze tra nord e sud, tra piccoli e grandi centri, tra aree urbane e periferie. «Questo è il punto politico: scongiurare un danno insostenibile all’intero Paese, perché le disuguaglianze, oltre che ingiuste, non sono il prezzo che bisogna pagare alla crescita e allo sviluppo ma una zavorra alla crescita e allo sviluppo medesimo».

A mancare, infatti, non è solo la relazione del comitato di Cassese, ma anche una valutazione della Ragioneria di stato sull’impatto economico.

Il risultato è che, come quella del presidenzialismo, anche la riforma dell’Autonomia ha davanti tempi ancora lunghi di gestazione. Ma soprattutto rimanga solo una bandiera elettorale per la Lega e uno strumento di pressione su Giorgia Meloni.

 

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