Esiste certamente una parola tedesca che descrive con precisione il complesso groviglio psicodrammatico che dovevano vivere i “seniores” di Forza Italia quando hanno concepito l’elenco delle qualità e dei primati di Silvio Berlusconi che Il Giornale ha pubblicato, credendo che l’operazione potesse deporre a favore della sua candidatura al Quirinale.

Qualunque sia l’introvabile termine, descrive il profondo desiderio di identificazione non con un leader, ma con la sua parodia. Soltanto che l’autore della parodia è il leader stesso, non un suo imitatore che ne esagera i tratti per far ridere, e dunque il risultato è la glorificazione letterale di un’autocaricatura fatta sul serio, roba da mandare in terapia tutti i millennial che negli anni Dieci si sono dati da fare per incasinare i canoni dell’ironia.

Le lodi di Berlusconi si possono dividere in varie categorie. Ci sono innanzitutto le doti umane: è «una persona buona e generosa»; «amico di tutti, nemico di nessuno», rovesciamento sentimentale del mussoliniano «molti nemici, molto onore», ed è anche «padre di cinque figli e nonno di quindici nipoti», tanto per far capire al nonno al servizio delle istituzioni chi ha la discendenza più lunga.

Poi vengono i meriti professionali: è «tra i primi imprenditori italiani per la creazione di posti di lavoro», «il più giovane imprenditore nominato Cavaliere del lavoro», un «self-made man» che è anche un «esempio per tutti gli italiani» e infatti, qualche riga più sopra, si legge che è «fra i primi contribuenti italiani», annotazione che dovrebbe smorzare la tentazione megalomaniacale: anche lui ha un codice fiscale, come tutti.

È «inventore e costruttore delle città “sicure”», «fondatore della tv commerciale in Europa», nonché «primo editore d’Italia», primato che i fedelissimi seniores sentono di dover rafforzare dicendo che è «anche il più liberale».

Lo sanno perché hanno misurato con il liberalometro tutti gli altri, e avevano uno score più basso. Naturalmente ci sono i meriti politici. Siamo dalle parti di Adenauer quando viene definito il «fondatore del centro-destra cristiano, liberale, europeista e garantista» e da quelle di Churchill quando si nota che è «l’eroe della libertà che, con grande sprezzo del pericolo, è sceso in campo nel ‘94 per evitare a tutti noi un regime autoritario e illiberale», cosa parzialmente contraddetta dal fatto che è «l’ultimo presidente del Consiglio eletto democraticamente (2008)», ma è chiaro che una volta mollata la presa liberale le forze autoritarie si sono riorganizzate.

Ci sono le classiche vanterie berlusconiane così come lui le ha prodotte e diffuse. Il politico straniero più applaudito al Congresso americano, le case consegnate in sei mesi ai terremotati dell’Aquila, l’italiano «più competente nella politica internazionale», il premier che ha governato più a lungo nella storia della Repubblica.

Scrivono “leaders” al plurale, proprio come lo direbbe lui, ed è un peccato che perdano l’occasione di scrivere “giuoco” con la metafonesi napoletana.

L’apoteosi arriva quando i seniores buttano lì, fra una conquista e l’altra, che «mise fine alla guerra fredda realizzando l’accordo di Pratica di Mare fra George Bush e Vladimir Putin (2002)», traguardo eccezionale che lo mette nella stessa schiera di Reagan, Gorbaciov e Wojtyla, ma con una tutto sommato trascurabile dozzina di anni di ritardo.

Manca soltanto quella volta in cui ha detto “I have a dream” davanti al memoriale di Lincoln per convincere anche i più scettici che è il candidato ideale per la presidenza della Repubblica.

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