Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato una lettera molto dura alla presidente del consiglio e ai presidenti delle camere, dopo la promulgazione e la conversione in legge del decreto Milleproroghe. Una lettera molto dura per la maggioranza parlamentare  sul fronte della concorrenza e del rinvio delle gare sulle spiagge che viola una sentenza dei più alti giudici amministrativi dello stato, norme europee e pure italiane, spesso votate dagli stessi che ora le hanno buttate a mare. Il capo dello stato spiega di aver accarezzato il rinvio alle camere del provvedimento e di aver accantonato l’idea per non fermare altre misure, ma chiede subito un intervento dell’esecutivo e del parlamento per correggere i passi indietro inseriti via emendamento sulle concessioni balneari.

Come fatto già nel 2020 e nel 2021 il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è tornato a rimproverare il governo sull’abuso della decretazione, in questo caso del decreto Milleproroghe, in cui anche questa volta sono state infilate norme che nulla avevano a che fare con le mere proroghe, come quelle relative all’ordinamento della pubblica amministrazione o molte altre che richiedevano nuove risorse, una che perfino manca ancora di coperture. Si tratta di quel tipo di «decreti-legge omnibus del tutto disomogenei» che diventano «meri contenitori dei più disparati interventi normativi», ha scritto il capo dello stato. 

Gettare nell’incertezza gli enti locali

Ma la parte più dura è quella sul rinvio delle gare per le concessioni balneari, una palese violazione del diritto dell’Unione europea, di una sentenza di un consiglio di stato, il disfacimento di quanto fatto solo pochi mesi fa da un governo come quello di Mario Draghi di larghissime intese. Le perplessità del Quirinale sul punto sono dunque «specifiche» e allo stesso tempo «rilevanti». Mattarella ricorda che la messa a gara delle concessioni e la selezione dei nuovi concessionari entro il 31 dicembre 2023  era stata prevista con la legge per la concorrenza di agosto e che la stessa prevedeva che per ragioni oggettivi si sarebbe potuto rimandare le gare al 31 dicembre 2024. Ora non solo il parlamento ha rinviato tutto di un anno, ma ha previsto che «le concessioni e i rapporti in essere continuano in ogni caso ad avere efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi provvedimenti concessori e - si aggiunge - fino all’adozione dei decreti legislativi attuativi della delega in materia di affidamento delle concessioni (in scadenza il 27 febbraio prossimo)» e ancora vieta agli enti concedenti «di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni. Con l’effetto di creare ulteriore incertezza considerato che la delega in questione verrà meno fra tre giorni». 

Rinvio alle camere sfiorato

Insomma una legge che mette in difficoltà gli enti locali e lo stato che amministra il demanio pubblico, piuttosto che scontentare un gruppo di interesse, oltre che violare il diritto dell’Ue e una sentenza del consiglio di stato. E che il capo dello stato era pronto a rinviare alle camere. Non lo ha fatto, come scrive nella lettera perché avrebbe significato bloccare la proroga anche di molti altri provvedimenti, ma il capo delllo stato spiega anche che «è evidente che i profili di incompatibilità con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali definitive accrescono l’incertezza del quadro normativo e rendono indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di governo e parlamento. Sarà infatti necessario assicurare l’applicazione delle regole della concorrenza e la tutela dei diritti di tutti gli imprenditori coinvolti, in conformità con il diritto dell’Unione, nonché garantire la certezza del diritto e l’uniforme applicazione della legge nei confronti dei soggetti pubblici e privati che operano in tale ambito». Meloni e la sua maggioranza sono avvertiti. 

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