Ha presieduto l’elezione di due capi di Stato, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, unico precedente Giovanni Gronchi. Ha appena scritto un libro sui diritti, Una storia aperta (Gruppo Abele). Ma qui, alla vigilia del primo voto, il 24 gennaio, racconta l’esperienza da terza donna a capo della camera, dopo Nilde Iotti e Irene Pivetti. In piena pandemia di antipolitica.

Proclamare due presidenti della Repubblica è quasi unicum. «Si, diciamo che si è trattato di un’eccezione. E ci fu anche un unicum nel 2015. Napolitano si era dimesso», racconta, «il presidente Grasso ne faceva le veci, e per la prima volta durante le sedute per le votazioni al banco della presidenza di Montecitorio c’erano quattro donne: la senatrice Valeria Fedeli, vicepresidente vicaria del senato, la segretaria generale della Camera Lucia Pagano, da me proposta per l’incarico, e quella del senato Elisabetta Serafin».

Presidente, iniziamo dalla rielezione di Napolitano nel 2013.

Per una persona entrata da un mese nell’istituzione non è stata una sfida da poco. Il clima era complicato. Alle elezioni il centrosinistra aveva sfiorato il 30 per cento ma M5S era al 25. Vengo eletta alla presidenza per dimostrare che anche la politica tradizionale riusciva ad esprimere figure nuove. Poteva essere un elemento di congiunzione fra sinistra e M5S.

Invece non ci furono "congiunzioni" e lei dovette gestire subito due bocciature storiche al Colle, quella di Marini e di Prodi.

Quella di Marini fu la prima bocciatura pesante. Poi a Prodi mancano i famosi 101 voti. Subito dopo i leader di partito e i presidenti delle regioni si appellano a Napolitano. Che viene eletto con un ampissima maggioranza. Quel giorno, piazza Montecitorio era piena di gente che gridava "vergogna, vergogna", al punto che la mia macchina faceva fatica a passare per raggiungere il Quirinale. Ero appena arrivata in parlamento, venivo da un’esperienza internazionale del tutto diversa, trovarmi in questo contesto mi creava un grande disagio. Prodi non ce la fece perché nel centrosinistra ci fu chi gli voltò le spalle, ma anche perché i Cinque stelle continuarono ad andare in solitaria.

Battesimo di fuoco. Si sentiva Alice nel paese delle meraviglie?

Non è la mia natura. C’era rabbia che si scaricava contro chi rappresentava le istituzioni. E io in quella circostanza mi sono trovata a fare il parafulmine. Ma ero entrata un mese prima, proprio come gli eletti M5S.

La stagione antipolitica di M5S è chiusa?

Quel movimento non c’è più, c’è stato un cambiamento radicale. Sono passati dal saltare sui banchi del governo al sedersi su quegli stessi banchi, dai tetti di Montecitorio alle autoblu. Dall’impeachment per Mattarella a chiedergli il bis.

L’elezione di Mattarella?

Fu completamente diversa. Non c’era più la tensione di due anni prima. Ebbe comunque un impatto forte perché ruppe il patto del Nazareno, ma la conseguenza rimase nel palazzo. Mattarella fu un nome su cui si ritrovò il centrosinistra, e pure il Nuovo centrodestra. Fu una bella sorpresa. Forza Italia invece voleva Amato. M5S Imposimato e la Lega Vittorio Feltri.

Come visse quei momenti dallo scranno più alto della camera?

Ero onorata ma sentivo forte anche il peso della responsabilità. Il o la presidente di Montecitorio presiede la seduta comune, un impegno enorme. È vero che la macchina della camera fa capo alla segreteria generale, ma sono settimane di grande lavoro in cui bisogna prepararsi a tutti gli scenari. E poi ci sono i contatti politici. Io non ho partecipato alle riunioni del mio gruppo, volevo rimanere “terza”. Peraltro non ero iscritta al partito. Non lo sono neanche oggi al Pd. Ma tenevo i contatti con i capigruppo per sapere via via se i nodi venivano sciolti.

Era preparata alla sua elezione?

Per me è stata una totale sorpresa, quasi uno shock. Nessuno mi aveva informato. Arrivai a Montecitorio la mattina alle 7 e mezzo, avevamo una riunione di Sel, e dopo con il Pd. Ero completamente ignara. Peraltro avevo già detto capogruppo designato che nella prima legislatura ritenevo giusto non avere incarichi, avevo lavorato per 25 anni nelle agenzie dell’Onu, volevo focalizzarmi nel lavoro della commissione esteri, senza balzi in avanti. Per questo credo che non mi abbiano informato prima. Temevano che avrei fatto obiezioni.

Poi le fece?

Alle sette e mezza arrivo a Montecitorio, vedo nel corridoio uno dei pochi sdeputati che conoscevo, Dario Franceschini. Il quale passando mi dice: “Oggi avrai una sorpresina”. Ho pensato: “Forse ci sarà da votare qualcuno che mi piace”. Andiamo alla riunione di Sel e chiedo “chi è il candidato del Pd scelto, che oggi dobbiamo votare?”. Mi viene risposto sorridendo “perché del Pd?”. Vedevo che confabulavano. Poi a un certo punto tutti hanno cominciato ad applaudire, mi guardavano. Ho fatto fatica a credere che ce l’avessero con me. Ho anche detto a Vendola se non gli sembrava una scelta azzardata, non avevo esperienza. Vendola invece mi passa Bersani al telefono. Capisco quindi che non potevo tirarmi indietro.

Si è pentita?

No, è stato un grande onore. Ma ho anche pagato un prezzo. Nei miei confronti M5s e Lega hanno orchestrato vere campagne di denigrazione e delegittimazione. E questo ha portato a tanta violenza, minacce, limitazioni della mia libertà, preoccupazioni per la mia famiglia.

I leader le hanno dato consigli?

Vendola aveva un atteggiamento rispettoso del mio ruolo, lo stesso Bersani. Mentre i rapporti con i capigruppo non sempre sono stati semplici. Il M5S trasformava Montecitorio in un palcoscenico per andare sui social e fare propaganda contro il parlamento. Mi sono trovata a difendere l’istituzione con un gruppo come il M5S che non sosteneva neanche la mia politica di tagli alle spese di Montecitorio, 350 milioni di risparmi. Non volevano partecipare a nessuna azione migliorativa, avevano bisogno di denigrare l’istituzione.

Le è stato contestato di aver limitato il ruolo delle opposizioni, con strumenti che hanno fatto precedente, sedute fiume per la riforma Renzi-Boschi, tre fiducie sull’Italicum.

Critica inaccettabile. Ho sempre dato spazio alle opposizioni e rispettato il regolamento e le prassi. Ma quando ad esempio è accaduto che l’opposizione tentava di impedire alla maggioranza di portare in votazione un decreto in scadenza, ho sentito il dovere di garantire che ciò avvenisse.

La pandemia rischia di "falsare" il voto per il Colle, fra contagiati e quarantene. Non bisognerebbe fare come l’europarlamento, il voto a distanza?

Il problema esiste. Già ora quando si vota la fiducia si entra a fasce orarie. Ma il parlamento europeo lavora in modo diverso, noi normalmente abbiamo un sistema di voto più lungo. Certo la camera dovrà prima o poi attrezzarsi. Al momento non ci sono i presupposti tecnici. E la nostra Costituzione fa riferimento alla presenza.

Per ora non si intravede una convergenza su un nome per il Colle.

Per la mia esperienza tutto si svolge negli ultimi giorni. Per ora la destra candida Berlusconi e impedisce un ragionamento più ampio. Ha una storia giudiziaria che non lo rende adatto al Quirinale. Finché la destra non prende atto dell’impraticabilità di questo nome, non si ragiona seriamente. Poi bisognerebbe che i partiti definissero un identikit del o della presidente.

Quale dovrebbe essere?

Il mio identikit è: deve avere autorevolezza, esperienza politica ispirata ai principi della Costituzione, un’esistenza specchiata, anche privata, deve essere votato/a da un ampio schieramento, deve essere europeista, e antifascista come la nostra Costituzione. Fu bello il primo atto di Mattarella, andò alle Fosse Ardeatine.

Quasi tutti i partiti dicono no a Draghi al Colle.

La questione formale del passaggio da palazzo Chigi al Quirinale è inedita e pone problemi procedurali non indifferenti. Draghi ha tutta l'autorevolezza per andare al Colle, ma il mandato da premier non si è esaurito: siamo ancora in pandemia, abbiamo una sfida vaccinale davanti, e siamo in una fase iniziale del Pnrr. E sarebbe difficile identificare un'altra persona che tenga insieme gli opposti.

Chiede che sia una donna?

Non mi auguro una donna purché sia. I tempi per una presidente sono stramaturi, ma anche una donna deve rispondere a questi criteri. Ci sono molte donne che hanno lo standing istituzionale per essere cape dello stato, sarebbe importante ma non so se il parlamento è in condizioni di esprime questa consapevolezza. Non mi sembra purtroppo che abbia dimostrato finora di capire il valore del capitale umano femminile.

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