A partire dal 24 gennaio, il parlamento riunito in seduta comune insieme ai delegati scelti dalle regioni eleggerà il nuovo presidente della Repubblica. Si tratta dell’evento politico più importante di queste settimane, che condiziona le scelte dei leader di partito e che viene seguito con estrema attenzione dai giornali.

Per orientarsi in questo dibattito che spesso assume toni da “addetti ai lavori” è importante avere chiari i numeri di cui stiamo parlando. Chi elegge il presidente della Repubblica? A che schieramento appartiene? Chi ha più probabilità di eleggere il “suo” candidato e chi invece è all’inseguimento?

Elettori e regole

All’elezione del capo dello stato parteciperanno poco più di mille tra senatori, deputati e rappresentati delle regioni. Questi ultimi sono tre per ogni regione, eccetto la Valle d’Aosta che ne invia soltanto uno. Sono eletti dai vari consigli regionali e per tradizione due appartengono alla maggioranza e uno all’opposizione.

Tutti insieme vengono a volte chiamati “grandi elettori”. Si tratta in tutto di 321 senatori, 630 deputati e 58 delegati regionali. In tutto sono 1009.

Caratteristica fondamentale di questa elezione è che per eleggere il presidente della Repubblica in una delle prime tre votazioni è necessario raggiungere una maggioranza dei due terzi, pari cioè a 673 voti.

Dal quarto scrutinio in poi si passa invece a una maggioranza semplice. Per eleggere il presidente della Repubblica diventano quindi sufficienti 505 voti.

Gli schieramenti

Chiariti i numeri degli elettori e le regole principali, la seconda cosa più importante da sapere su questa elezione è che nessuno dei principali schieramenti in parlamento ha da solo i voti necessari a raggiungere la maggioranza assoluta, e tanto meno quella dei due terzi. 

Il parlamento è infatti diviso tra centrodestra, con 451 voti, centrosinistra, con 419, e un vasto centro, composto dal numeroso gruppo misto delle due camere più partiti come Italia Viva, per un totale di 138 voti.

Per raggiungere la maggioranza nei primi tre scrutini, quindi, servirà un vasto accordo trasversale tra i principali schieramenti. Ma servirà un qualche tipo di alleanza anche per eleggerlo dal quarto scrutinio in poi, poiché nemmeno i 42 voti di Italia Viva sono da soli sufficienti a garantire la maggioranza a uno dei due schieramenti.

Le possibili maggioranze

Nessuno è in grado di prevedere le molteplici combinazioni e alleanze che nelle prossime settimane potrebbero produrre una maggioranza in grado di eleggere il presidente della Repubblica.

In passato non solo gli accordi tra partiti sono stati traditi, ma gli stessi gruppi parlamentari si sono divisi al loro interno, "impallinando”, come si dice in gergo, questo o quel candidato proposto da aree sgradite del proprio schieramento.

Insomma, fare previsioni accurate è difficile, ma con i numeri che abbiamo appena visto è possibile tracciare alcuni scenari generali che ci dicono poco su chi sarà eletto, ma ci aiutano a farci un’idea su come sarà eletto.

Il presidente della maggioranza

È lo scenario più naturale, anche se non necessariamente quello più probabile: il prossimo presidente della Repubblica viene eletto dalla stessa vasta ed eterogenea maggioranza che sostiene il governo Draghi. In sostanza: tutti i partiti con l’eccezione di Fratelli d’Italia.

Si tratta di uno scenario auspicato dallo stesso Draghi nella conferenza stampa di fine anno e quello più probabile nel caso il presidente del Consiglio decidesse di traslocare al Quirinale. In questo caso, sarebbe probabile un’elezione di Draghi alla prima votazione con una vastissima maggioranza.

Ma i partiti stanno dando segnali sempre più forti sul fatto che preferirebbero mantenere Draghi capo del governo. Non è escluso quindi che la maggioranza resti unita, ma dietro nome diverso da quello dell’attuale presidente del Consiglio.

Il presidente Ursula

Con il centrosinistra molto lontano dalla maggioranza assoluta dei voti, l’unica speranza per Pd e Movimento 5 stelle di imporre un proprio candidato senza intromissioni degli avversari è quella di spaccare il centrodestra. Non è un’eventualità che si è presentata spesso, ma almeno in caso è accaduto piuttosto recente.

Al momento della sua elezione da parte del Parlamento europeo, l’attuale presidente della Commissione europea Ursula von der Leyenha ricevuto i voti di una coalizione italiana piuttosto inusuale. Hanno votato per lei il Pd, i centristi, il Movimento 5 stelle e Forza Italia. Questa bizzarra alleanza era stata ribattezzata dai giornali “coalizione Ursula”. Contro, Lega e Fratelli d’Italia.

Oggi, il centrodestra italiano non sembra vicino a una rottura come quella europea e almeno a parole sostiene la candidatura di Silvio Berlusconi, ma non è impossibile immaginare una situazione in cui un candidato riesca a ottenere il sostegno del centrosinistra e di Forza Italia, ma scontenti Lega e Fratelli d’Italia, magari perché troppo “europeista” o troppo poco “patriottico”.

Per la segreteria del Pd, questo è l’esito più desiderato, soprattutto se poi dovesse tradursi anche in una diversa maggioranza di governo, con Forza Italia dentro e la Lega fuori.

Il presidente patriota

È lo scenario speculare a quello precedente: il centrodestra riesce a isolare il centrosinistra e a eleggere il suo candidato conquistando i voti del centro. È lo scenario auspicato dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che ha detto di voler eleggere un “presidente patriota”, espressione ambigua che molti hanno inteso nel senso di scegliere una figura proveniente dalla destra, o che almeno sia gradita a quel mondo.

Anche se il centrodestra da solo non ha i numeri necessari, è la formazione più vicina alla maggioranza assoluta. Se Meloni, Salvini e Berlusconi riuscissero a raggiungere un accordo con Matteo Renzi e Italia Viva, le trattative sono in corso da settimane ormai, al centrodestra mancherebbero soltanto una ventina di voti per eleggere il suo candidato al quarto scrutinio. A quel punto, è facile immaginare che gli elettori mancanti vengano trovati tra le fila del gruppo misto.

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