Il nuovo sciopero generale, già indetto dai sindacati di base per il 28 novembre, sarà capace di mobilitare milioni di lavoratori e lavoratrici come quello del 3 ottobre? Al momento la Cgil è orientata a convocarlo per il 12 dicembre. Ha già sottoposto questa data alla Commissione di garanzia, che l’ha accolta. La decisione ufficiale, però, con la conseguente convocazione, sarà presa dal sindacato di Maurizio Landini tra il 6 e il 7 novembre, durante l’Assemblea generale.

Nel frattempo, centinaia di sindacalisti stanno firmando un appello che circola in rete per uno sciopero unitario di tutti i sindacati: «Come lavoratori e lavoratrici, rsu e delegati sindacali – è scritto nell’appello – esprimiamo una fortissima preoccupazione per i contenuti sociali presenti nella Legge finanziaria presentata dal Governo Meloni e per il progetto di riarmo. Le lotte sulla Palestina, caratterizzate da un forte processo di aggregazione popolare e sociale, ci hanno insegnato quanto sia importante e desiderata l’unità dal basso di tutti i sindacati».

Un’autorità su questo tema è Antonio Di Stasi. Professore ordinario di Diritto del lavoro e preside della facoltà di Economia “Giorgio Fuà” dell’Università politecnica delle Marche, Di Stasi fu consulente giuridico e avvocato della Fiom nazionale, guidata all’epoca da Maurizio Landini, durante la stagione delle lotte contro la Fiat di Marchionne.

Cosa pensa del prossimo sciopero generale, professore?

«C’è un dibattito interno, la decisione spetta agli organismi, ma prima di tutto occorre capire per quale ragione la Cgil abbia difficoltà a trovare un’unità di azione con i sindacati di base. Si tratta di una duplice ragione, in realtà, una conscia e una inconscia.»

Cominciamo dalla ragione conscia.

«Il sindacalismo di base nasce anche per opera di sindacalisti della Cgil, che a ondate sono fuoriusciti dal sindacato confederale, creando nuovi sindacati di base oppure entrando in quelli già esistenti. Un po’ come le scissioni nella sinistra, che producono il peggior nemico che si possa avere: quello che sedeva nella tua stessa organizzazione. Queste rotture si hanno proprio a partire dalla ragione inconscia, alla fine degli anni Settanta, e continuano per tutti gli anni Ottanta».

E qual è allora la ragione inconscia?

«La cacciata di Luciano Lama, allora segretario della Cgil, dall’Università “La Sapienza”, il 17 febbraio 1977: un trauma. Lama era andato a spiegare la necessità della cosiddetta svolta dell’Eur, quando al congresso tenutosi in quel quartiere si decise di abbandonare la politica sindacale solo rivendicativa per scegliere la moderazione. Il passaggio successivo è stato quello della concertazione».

Perché è stato un trauma?

«Lama trovò l’opposizione di frange sindacali, politiche e studentesche: fu talmente contestato che dovette affrettare la chiusura del comizio. Il trauma, che tuttora persiste, trova origine in quel momento, anche iconografico: a simboleggiarlo, infatti, è la foto dell’assalto al camion su cui era stato allestito il palco».

Antonio Di Stasi

Stiamo parlando di quaranta-quinquant’anni fa.

«Un altro momento di rottura fu nel 1990, con la legge 146 che tuttora disciplina gli scioperi nei servizi essenziali. Questa scelta fu presa per regolamentare lo sciopero nella scuola, nella sanità e nei trasporti, dove il sindacalismo di base era più forte e provocava perdite di iscritti per i sindacati confederali. Infine, tra il 1992 e il 1993, Cgil, insieme a Cisl e Uil, firmò gli accordi che hanno stabilito la concertazione come metodo centrale delle relazioni industriali in Italia: un altro shock»

Il 3 ottobre questa interminabile fase traumatica si è interrotta?

«Solo in parte. Sebbene le rette parallele si siano incontrate, lo sciopero generale del 3 ottobre non è stato convocato unitariamente».

Come giudica quello sciopero?

«Dal punto di vista sostanziale la partecipazione a quello sciopero è stata grande perché è stato indetto da sei, sette sigle sindacali, tra cui una molto forte, la Cgil. Dal punto di vista storico, tuttavia, gli scioperi generali sono stati convocati unitariamente dai sindacati confederali, almeno dagli anni Sessanta fino al secondo governo Berlusconi, nel 2002, quando lo sciopero generale contro l’abolizione dell’articolo 18 fu indetto per la prima volta solo dalla Cgil. Inizialmente saltuaria, questa spaccatura è diventata abituale per gli ultimi scioperi generali, indetti soltanto da Cgil e Uil. Questo perché si è spostato il riferimento culturale-politico della Cisl, dal centro-sinistra al centro-destra».

La Cgil di Landini rischia l’isolamento?

«Landini ha già sperimentato, quando era segretario generale della Fiom, la via conflittuale e l’isolamento dalla Film e dalla Uilm, a partire dalla vicenda della Fiat di Marchionne, nel 2010. È un altro passaggio decisivo nella storia sindacale, a noi ben più vicino, se non altro perché il protagonista è l’attuale segretario generale della Cgil. In un primo momento, Landini andò contro le indicazioni della sua stessa confederazione, poi ci fu una rottura completa con Film e Uilm, tanto che iniziò una fase nuova anche nel sistema contrattuale dei metalmeccanici, per cui la Fiat uscì da Confindustria, dando vita a una contrattazione separata per tutte le aziende del gruppo. Quel contratto collettivo non fu firmato dalla Fiom ma solo da Film e Uilm».

Un segretario che conosce le battaglie non unitarie.

«Esatto, ma non per sua volontà. Non c’erano le condizioni: gli altri sindacati non erano sulla stessa linea della Fiom. Non c’è, quindi, il precedente del “sono andato da solo e mi è andata male”, anzi, il contrario. Anche il Pd, peraltro, gli era avverso, nel 2010. Landini vinse da solo, sia politicamente sia giudizialmente, perché iniziò una stagione di controversie che portarono alla sconfitta della Fiat. Politicamente Landini vinse contro chi voleva moderazione, tra i partiti politici (il Pd) e i sindacati (non solo Cisl e Uil, ma anche parte della Cgil). Giudizialmente vinse anche in Corte costituzionale, nel 2013: grazie a quella vittoria la Fiom rientrò in fabbrica, nonostante si fosse rifiutata di firmare il contratto».

E ora come si potrebbe risolvere l’impasse?

«Gli shock si potranno superare solo quando ci sarà una generazione di sindacalisti diversa. Finché la gran parte dei dirigenti della Cgil sarà composta da chi subì i traumi ricordati, sarà sempre difficile superare le offese, le scissioni. Occorre il ricambio generazionale, che in effetti sta avvenendo. Chi faceva sindacato negli anni Ottanta adesso, per ragioni anagrafiche, sta andando in pensione, quindi quel vissuto personale, che porta a dire “io col sindacato di base non ci parlo, perché mi ha criticato e mi ha tolto iscritti”, viene meno».

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