A voler dar retta a Matteo Renzi «Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Enrico Letta e Giuseppe Conte» vogliono andare a votare nel 2022. «A parole dicono alcune cose, ma nella sostanza non vedono l’ora di andare a elezioni, chi per un motivo chi per l’altro: Letta e Conte per cambiare i gruppi parlamentari, la destra perché pensa di vincere», ha detto ieri intervistato dall’Huffington Post.

Al netto dell’affidabilità predittiva dell’ex premier e delle sue capacità di muoversi anticipando i tempi della politica (vedi alle voci referendum costituzionale e caduta del Conte 2), la frase del leader di Italia viva merita di essere presa sul serio perché risponde a una domanda che un po’ tutti si fanno in questi giorni che avvicinano il parlamento e i partiti al voto per eleggere il successore di Sergio Mattarella al Quirinale.

La domanda è: chi vuole andare verso elezioni anticipate? Molte delle decisioni che i leader politici prenderanno, infatti, dipendono da questo. Spostare Mario Draghi da palazzo Chigi al Quirinale, ad esempio, potrebbe produrre una crisi di governo e avvicinare il voto. Così come eleggere un presidente della repubblica che rappresenti una parte (il centrodestra? l’alleanza “Ursula” Pd-M5s-FI?) in contrapposizione a un’altra.

Si tratta insomma di una materia da maneggiare con una certa cura. Anche se, a ben vedere, tutti i nomi indicati da Renzi, con l’eccezione forse della sola Meloni che al momento si trova all’opposizione e quindi può incidere relativamente sulla sopravvivenza del governo Draghi, non sembrano proprio pronti per andare a elezioni.

Il centrodestra

Salvini, ad esempio, guida oggi un partito che, secondo i sondaggi, è al 18,6 per cento. Fratelli d’Italia è al 19,5. Al momento però, in virtù delle ultime elezioni, è la Lega a comandare nella coalizione di centrodestra anche in forza dei suoi 196 parlamentari (contro i 58 di FdI).

Perché l’ex ministro dell’Interno dovrebbe rischiare di vedere invertite queste proporzioni regalando all’alleata-avversaria un vantaggio competitivo nella corsa verso palazzo Chigi? Dopotutto fino a oggi Salvini ha dimostrato che ciò che più conta per lui non è certo governare il paese ma mantenere il controllo del partito. Come farebbe un leader sconfitto nelle urne a contenere il dissenso leghista che già oggi si manifesta in varie forme?

Stelle cadenti

Discorso analogo si potrebbe fare per Conte se non fosse che il leader del M5s non è affatto saldo alla guida del suo partito, anzi. La vicenda recente delle nomine Rai ha mostrato, come se ce ne fosse bisogno, l’esistenza di una diarchia.

E se anche Conte decidesse di far cadere il governo Draghi portando il paese alle urne, siamo proprio sicuri che Luigi Di Maio, il più democristiano tra i grillini, gli permetterebbe di farlo?

Tormenti democratici

Quanto a Letta, il segretario del Pd ha dimostrato, fino a oggi, di essere il più grande sostenitore di Draghi. Le elezioni amministrative lo hanno premiato, ma il voto nazionale è ben altra cosa. Non fosse altro che per ora il suo progetto di realizzare un «campo largo» del centrosinistra si è infranto davanti all’incosistenza del M5s.

Insomma, se si andasse a elezioni, difficilmente i democratici, privi di una coalizione degna di questo nome, riuscirebbero ad arginare l’avanzata del centrodestra compatto. Ha senso puntare al voto e perdere rovinosamente solo per costruire un gruppo parlamentare più “fedele” di quello attuale?

Problemi tecnici

A tutto questo vanno aggiunti due elementi tutt’altro che irrilevanti: la mancata riforma della legge elettorale e il taglio dei parlamentari.

«Se dovessi scommettere qualcosa lo farei sul fatto che rimane l’attuale legge elettorale», ha detto lo stesso Letta. Che tradotto, però, vuol dire consegnare quasi matematicamente alla coppia Meloni-Salvini la maggioranza del parlamento (e qui si torna alla domanda precedente).

Quanto al taglio dei parlamentari si ripropone, ancora una volta, l’annosa questione: un deputato certo di non essere rieletto rinuncerebbe a quasi due anni di lauto stipendio (la legislatura si conclude nel 2023) perché il leader del suo partito gli chiede di sfiduciare il governo e andare a elezioni?

L’uomo del Colle

Può darsi che Renzi sappia cose che nessun altro sa e che le sue previsioni, alla fine, si avverino. Ciò che però il leader di Italia viva non sembra considerare è l’andamento della pandemia. Oggi in Italia, in media, si stanno registrando circa 8mila nuovi casi al giorno.

I morti sono circa 60 mentre i pazienti in terapia intensiva circa 500. Una situazione di relativa tranquillità aiutata anche dalla campagna vaccinale. Secondo le stime dell’European forecast hub, un’iniziativa del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie che raccoglie previsioni settimanali a breve termine, fra poche settimane potremmo raggiungere e superare i 75mila casi settimanali.

Lo scorso 2 febbraio, con il piano vaccinale nella sua fase embrionale, la situazione era sicuramente più grave (i morti erano 400 e i casi registrati 12mila) ma i casi settimanali erano 86mila, cioè non moltissimi di più di quelli che potremmo registrare tra poco.

Quel giorno il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dopo aver ricevuto al Quirinale il presidente della Camera, Roberto Fico, diceva ai giornalisti: «Sotto il profilo sanitario, i prossimi mesi saranno quelli in cui si può sconfiggere il virus oppure rischiare di esserne travolti. Questo richiede un governo nella pienezza delle sue funzioni per adottare i provvedimenti via via necessari e non un governo con attività ridotta al minimo, come è inevitabile in campagna elettorale».

E ancora, parlando dei soldi del Pnrr: «Occorrerà, provvedere tempestivamente al loro utilizzo per non rischiare di perderli. Un governo ad attività ridotta non sarebbe in grado di farlo. Per qualche aspetto neppure potrebbe. E non possiamo permetterci di mancare questa occasione fondamentale per il nostro futuro». L’impressione è che non sia cambiato moltissimo da allora.

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