L’opposizione chiede le dimissioni di Todde, ma non ha un candidato. L’ipotesi Calderone. Il Pd è in forte sofferenza, ma aspetta l’accordo in Campania. La scommessa del rimpasto di giunta
I numeri sono numeri, ma in politica non è detto. E in Sardegna ancora meno. Basta scorrere i commenti ai Governance poll 2025 di Noto sondaggi pubblicati ieri dal Sole 24 Ore. Ai primi posti, tra i presidenti di regione, ci sono il friulano Massimiliano Fedriga, il veneto Luca Zaia, il piemontese Alberto Cirio, il toscano Eugenio Giani e il calabrese Roberto Occhiuto. In fondo alla classifica si piazzano il ligure Marco Bucci, la sarda Alessandra Todde, il pugliese Michele Emiliano e, ultimi a pari-demerito, il laziale Francesco Rocca e il molisano Francesco Roberti.
Va detto che nel risultato non smagliante di Todde c’è però la crescita di 1,1 punti dal giorno del voto. Per questo destra e sinistra dicono cose opposte: il M5s, il partito della presidente, per tutto il pomeriggio di ieri ha esultato per il risultato che la «colloca al settimo posto nella classifica nazionale per crescita di consenso rispetto al giorno dell’elezione, e al secondo posto tra i governatori del centrosinistra», con un dato «superiore a quello di tutti i suoi predecessori» per incremento di fiducia nel primo anno di mandato.
Le opposizioni hanno replicato con sarcasmo. «Mi unisco alla gioia della presidente Todde che festeggia il quart’ultimo posto nella classifica del gradimento dei presidenti di regione», ha attaccato Pietro Pittalis, deputato e segretario di Forza Italia nell’isola, «con la dedizione e l’abnegazione che sta dimostrando nell’applicarsi all’immobilismo da un lato, alla moltiplicazione delle poltrone e delle prebende dall’altro, sono certo che alla prossima occasione salirà sul podio dei peggiori».
Quella di Pittalis, però, è più una battuta che un annuncio di guerra. La destra, a parole, chiede le «immediate dimissioni» di Todde per la sentenza del tribunale di Cagliari che, lo scorso maggio, ha confermato l’ordinanza di decadenza del Collegio elettorale di garanzia per via di un pasticcio nei resoconti contabili al voto regionale. La presidente ha presentato due ricorsi. Il primo si discuterà alla Corte costituzionale il 24 settembre. Anche l’appello del giudizio civile si discuterà in autunno. Ma per arrivare a una sentenza definitiva ci vorrà almeno un anno. Nel frattempo Todde ha tutta l’intenzione di andare avanti. E anche le opposizioni, al di là delle dichiarazioni roboanti, non hanno voglia di tornare al voto: non hanno neanche l’idea di un candidato.
Proprio Pittalis, fino a pochi mesi fa il nome più quotato, ha preso una sberla elettorale a Nuoro (Giuseppe Luigi Cucca, il suo candidato, è stato battuto dal “toddiano” Emiliano Fenu). FdI, dopo la scoppola alle regionali del candidato Paolo Truzzu, non vuole avanzare un proprio nome per evitare un’altra figuraccia. Circolano i nomi “civici” di sempre: il cagliaritano Angelo Binaghi, presidente della Federtennis e Marina Elvira Calderone, ministra del Lavoro, di Bonorva, Sassari.
Resiste resiste resiste
Dall’altra parte il centrosinistra ondeggia fra la speranza nella resistenza di Todde e la disperazione di non avere alternative. Dal successo delle regionali del febbraio 2024, per la sinistra la Sardegna è passata da “isola felice” a “isola sospesa”. In mezzo a un mare di intoppi. Per guadagnarsi la prima regione governata dal M5s, Giuseppe Conte aveva imposto a Elly Schlein la sua candidata: un’ex viceministra allo Sviluppo economico con un bel curriculum da imprenditrice e manager. La vittoria era stata di misura, poco più di 3mila voti, ma le aspettative erano altissime.
Poi però hanno cominciato ridimensionarsi. Da subito gli alleati hanno esperito la scarsa propensione al lavoro collegiale della presidente. «Si comporta come se governasse con un monocolore M5s, solo che il M5s ha il 7 per cento», spiegano da via Roma, dov’è la sede del Consiglio regionale, a Cagliari. Poi i passi falsi: il primo, la nomina di un romano alla Sanità, Armando Bartolazzi, che ha esordito paragonandosi all’immenso calciatore Gigi Riva (una bestemmia per i sardi e per tutti gli italiani). Oggi l’assessore inciampa fra una gaffe e l’altra, ed è sostanzialmente commissariato dalla collega del Lavoro, la pentastellata Desiré Manca, in predicato di sostituirlo: ma il dossier sanità è delicatissimo e il Pd di lei non ne vuole sapere.
Il malumore è aumentato: per la crescita dei consulenti e dei commissari in tutta l’isola, per le nomine nella sanità fatte in beata solitudine da Todde (cosa che ha provocato il gelo del Pd e dei Progressisti, il partito del sindaco di Cagliari Massimo Zedda); per una legge di Bilancio approvata con cinque mesi di ritardo; e soprattutto per l’esplosione del caso delle anomalie sulla rendicontazione elettorale.
Ormai il rimpasto di giunta è inevitabile. Anche perché l’assessore all’Agricoltura Gian Franco Satta, indicato dai Progressisti, si è accasato con il M5s, e i Progressisti hanno chiarito che non si sentono più rappresentati in giunta. Ma di rimpasto si riparlerà a settembre. Dopo tutto: la seduta della Consulta e l’appello al tribunale civile.
Nel frattempo la presidente va avanti, con un’agenda fittissima, «nell’interesse dei sardi». E la sua maggioranza segue. Il Pd, in grande sofferenza, si è impegnato con la segretaria Schlein a mandare giù tutti i rospi almeno finché non si chiude l’accordo con M5s in Campania sul candidato presidente Roberto Fico. I dem hanno anche rallentato i tempi dell’assemblea per cambiare il loro segretario regionale, Pietro Comandini, che da un anno è anche presidente del Consiglio. Un candidato naturale c’è: è il deputato Silvio Lai, cattolico aclista, medico. E grande esperto di sanità: proprio il tasto dolente della regione. Anche per questo se ne parla dopo l’estate.
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