L’europarlamentare: «Ci sarà una scissione della minoranza riformista? La componentistica non interessa nessuno. Il Pd ha una linea, e fa bene Bonaccini a collaborare con Schlein: così si allarga il partito»
Circolano due date per la prossima direzione Pd, il 20 e il 21 luglio. Ma non c’è conferma ufficiale. L’ultima riunione risale a fine febbraio. In mezzo è successo di tutto: la sconfitta dei referendum, l'attacco di Israele e degli Usa all'Iran, per non parlare dei massacri quotidiani a Gaza. Per questo la domanda che rivolgiamo a Brando Benifei, europarlamentare e già capodelegazione a Bruxelles, suona retorica: nel Pd si discute poco? «Chiedere più occasioni di confronto è giusto e ora una direzione serve», risponde, «Dopo le regionali servirà promuovere una riforma della nostra organizzazione. Anche la segretaria Elly Schlein lo dice. Se sarà un congresso lo decideremo, ma dovremo precisare la proposta programmatica e riorganizzare il Pd, anche nei territori, per essere pronti per le politiche».
Quindi non sbaglia chi dice che Schlein deprime il confronto interno?
È giusto chiedere più discussione se l’obiettivo è costruire una proposta politica più attrattiva che ci permetta di superare il consenso oggi raggiunto, che comunque è già solido. Se invece si vuole alimentare una divaricazione interna, è una pratica di un Pd che non esiste più, per fortuna: quello che mette in scena sui giornali una spaccatura che non interessa al Paese e alla gran parte dei nostri militanti e elettori.
Non interessa agli elettori, per dire, la linea del Pd sul riarmo?
Il Pd ha bisogno di affrontare alcuni nodi in maniera più articolata. Il 5 per cento alle armi Nato imposto da Trump è un errore, ma è giusto investire nella difesa comune europea. Sull’immigrazione, noi siamo quelli del rispetto dei diritti umani, contro i Cpr e per il salvataggio in mare, ma dobbiamo essere più credibili sul fatto che chi non ha diritto non deve restare in Italia. Sul green deal dobbiamo costruire alleanze più forti con il mondo del lavoro e dell’impresa se vogliamo salvare l’ambizione alla sostenibilità dell’Ue. Ma se qualcuno non critica la politica genocidaria di Israele a Gaza, sbaglia: le posizioni di una sinistra di governo sono quelle di Pedro Sànchez, non è populismo.
Sul riarmo vi siete spaccati.
Una sola volta, mentre le forze della destra italiana votano sempre in maniera diversa fra loro. La segretaria Schlein e il presidente Stefano Bonaccini hanno espresso una posizione: per la difesa europea, con i necessari investimenti, perché le minacce non sono inventate. Ma serve un piano europeo, non solo acquistare dagli americani.
A quel voto l’area Schlein si è astenuta, Bonaccini ha votato sì.
La divaricazione era, in sostanza, fra chi vedeva il bicchiere della difesa europea mezzo vuoto, e chi mezzo pieno. Io mi sono astenuto, avremmo dovuto evitare questa divisione con un maggiore confronto, ora è superata. Guardi, io difendo il pluralismo interno e negli anni ho votato in direzione in dissenso sulla riduzione dei parlamentari e sull’abolizione del finanziamento ai partiti. Oggi ci sono esponenti, pochi, che sul riarmo si esprimono in dissenso. Legittimo, ma la linea del Pd è un’altra. Ha ragione Schlein, pluralismo non può essere cacofonia.
Dunque fa bene Bonaccini, votato dalla maggioranza degli iscritti, a essere collaborativo con Schlein.
Sì, perché il Pd del 2023 non è quello del congresso del 2019, con Renzi e Calenda, dove le differenze erano enormi. In quello del 2023 le distanze erano molto minori. Oggi il Pd, grazie anche alla spinta costruttiva di Bonaccini, da uomo di governo e con esperienza, sta allargando la sua proposta politica. È un metodo apprezzato e sostenuto dalla stragrande maggioranza di chi lo ha votato al congresso. La contrapposizione quotidiana sui giornali invece è un metodo di un vecchio Pd finito da tempo.
Vuol dire che oggi chi dissente è vicino a Calenda e Renzi?
No. Vuol dire che fra Nicola Zingaretti e Roberto Giachetti c’erano più distanze che fra Schlein e Bonaccini.
La minoranza riformista si dividerà?
Io credo che il Pd non abbia bisogno della proliferazione della componentistica interna, o di filiere personalistiche. Abbiamo bisogno di confrontarci sui temi, con rispetto per le posizioni minoritarie. Una riorganizzazione del Pd aiuterebbe a portare la discussione sul merito.
Avete avvertito Ursula von der Leyen che i voti socialisti non sono scontati, ma il 10 luglio la "salverete" dalla sfiducia.
Non votiamo le mozioni dell’estrema destra. Altro è pretendere rispetto per le posizioni del secondo gruppo dell’europarlamento sul bilancio sociale, sulla politica sociale e ambientale. Se non c’è, i nostri voti non potranno essere più considerati parte del sostegno alla Commissione. E questo ne bloccherebbe il lavoro.
Il Pd è isolato nel gruppo S&D?
No. Nel nostro gruppo ci sono differenze su alcune materie, ma è così in tutti i gruppi europei, c’è chi finge di non saperlo.
A Bruxelles le differenze fra Pd, M5s e Avs sono fortissime. Vista da lì, è un’alleanza possibile?
Sì, non siamo sempre d’accordo sulle modalità, ma sugli obiettivi di un’Europa sociale e di pace siamo d’accordo. Ora il dialogo va allargato alle forze civiche e moderate. Senza divisioni di compiti fra partiti, cosa che infatti non c’è neanche a sinistra. Il modello Salis, a Genova, dimostra che si può fare.
Ilaria Salis non deve decidere di inviare aiuti militari all’Ucraina.
Su questo le distanze ci sono, per noi c’è un punto non negoziabile: non si può abbandonare un paese invaso. Chiedendo più sforzo diplomatico dell’Ue per costruire una pressione innanzitutto su Putin, ma anche su Zelensky, per arrivare a una soluzione di pace.
Per l’ex senatore Luigi Zanda, Schlein è senza carisma. Per lei?
Ce l’ha, eccome, la segretaria ha dimostrato sul campo le qualità per guidare il Pd e la coalizione. Ma serve un partito che si rilanci nel suo complesso. Non basterà avere una leader, anche se fa bene il suo lavoro.
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