Sono giorni di partecipazione e mobilitazione, almeno nella parte di mondo che vediamo. In Occidente, e in particolar modo in Italia, ci si misura letteralmente con la quantità dell’impegno e la sua efficacia. Il peso, il numero, il risultato della resistenza: sono la fisica e la matematica della politica dal basso.

La catastrofe umanitaria di Gaza non è un incidente, è una scelta. Rappresenta un collasso morale e giuridico pressoché inedito, per durata e metodo. E siccome etica e giustizia sono le costituenti della politica, questa è una crisi politica collettiva che si gioca nelle democrazie, ovvero nei luoghi sociali dove questo dibattito è possibile, e dunque costruttivo.

Tutto serve

Non dobbiamo mai perderlo di vista: tutto quello che sta accadendo nelle nostre piazze, nell’opinione pubblica, in parlamento, serve. E non serve solo alle nostre coscienze da acquietare, ma è necessario perché rappresenta la letteratura civile della nostra comunità. Fa e farà giurisprudenza, quando ci chiederemo di cosa è fatta la nostra civiltà contemporanea.

Le dimensioni e le quantità sono sempre rilevanti nella storia, e i movimenti si pesano, le marce si misurano, le moltitudini si contano. Nondimeno, i numeri del cambiamento non sono mai stati quelli che ci immaginiamo: quasi mai sono state le maggioranze a mutare il corso degli eventi umani, quanto piuttosto delle rilevanti minoranze, capaci di raggiungere una “massa critica”.

Porzioni minori di società, di classi, di pensiero in grado di diventare moralmente maggioritari, se si crede che la storia possa procedere nel verso del bene e del progresso. È una fede, me ne rendo conto, ma se si deve scegliere un Credo, io scelgo l’evoluzione degli uomini e delle donne.

Gocce nel mare

Non erano maggioranza i partigiani, non erano maggioranza i militanti dei diritti civili, non erano in maggioranza i rivoluzionari di ogni epoca, non erano maggioranza gli intellettuali che hanno sconvolto le scienze come le arti, il pensiero e la storia.

La Global Sumud Flotilla era una piccola parte per un Tutto. Nelle dimensioni sfuggenti dei natanti stava la sua forza ideale, non muscolare. Sono state gocce nel mare, e lo sapevamo tutti. Era più piccola di qualunque altra azione umanitaria sugli aiuti, costantemente bloccati da Israele (sembra che ce lo scordiamo ogni tanto); ma comunque più grande della precedente missione marittima, arrestata con la stessa procedura illegale. Che a sua volta era più grande delle altre singole barche che hanno tentato lo stesso approdo, anni fa, e risolto da Israele con un bagno di sangue impunito e sconosciuto.

Ecco: una delle cose che può fare una quantità sufficiente è quella di impedire l’oblio e il silenzio. La Flotilla era sufficiente per risolvere la tragedia dolosa del popolo gazawi? No. Ma era abbastanza perché l’attenzione del mondo fosse per qualche giorno focalizzata su quel tratto di Mediterraneo, con un riflettore puntato sulle azioni di Israele, minuto per minuto.

Ancora, le piazze dei giovani (tantissimi giovani) e degli adulti che ieri, oggi e domani si alzeranno dalle loro posizioni abituali e usciranno in strada saranno abbastanza per fermare la condotta criminale di un governo, l’ignavia interessata di molte nazioni, la paralisi etica della politica internazionale? La risposta è che non lo sappiamo. Non lo sappiamo adesso.

Fisica, matematica e chimica

Non c’è alcuna certezza che la mobilitazione sincera, quella accorata e quella arrabbiata di tante persone di età diverse generi un prodotto misurabile. Un risultato tangibile. Non ora. L’unica cosa davvero certa è che non fare niente è di sicuro la ricetta perché non cambi proprio nulla. I ragazzi di oggi chiedono giustamente rilevanza, e invocano garanzie sul loro avvenire. La verità è che non ne abbiamo, per loro e per noi, tranne una: restare a casa, restare attoniti, restare voltati dall’altra parte ci dà la sicurezza del fallimento.

Quando sarà abbastanza? E soprattutto, quanto sarà abbastanza? Esiste una soglia critica del dolore, della sofferenza, dell’ingiustizia, perché le cose possano cambiare in meglio, e imprimere la svolta? Nella storia, questa quantità e questo tempo sono sempre stati nelle mani dell’umanità. Ovvero, non è la quantità di male prodotto, ma è la quantità di reazione al male di chi decide se è arrivato il momento. Di cambiare. Di svoltare. Di fermarsi, ed evolvere.

In politica c’è la fisica e la matematica, ma c’è anche la chimica. La capacità di innescare le reazioni, di muovere particelle (altrimenti sole) in legami complessi, dai risultati sorprendenti, invisibili e persino imponderabili fino a un attimo prima. Scegliere di essere atomi solitari oppure riconoscerci, vincolarci ai nostri simili e ancor più produttivamente ai diversi da noi è tutto sommato la vera meraviglia di una manifestazione, di ogni occasione collettiva. Da adulti, è una cosa che possiamo trasmettere a ogni singolo giovane, e ai nostri figli, perché scoprano le loro catene, i loro catalizzatori, le loro trasformazioni.

E quindi, quanti dovremo essere in piazza? Quanti alla celebrazioni di Marzabotto domenica 5 ottobre? Quanti alla marcia Perugia-Assisi, domenica 12 ottobre? Quanti alle elezioni? Quanti nei movimenti? Quanti nella miriade di occasioni che abbiamo (molto più che nel passato) per esprimerci e per contare come singole liberissime unità? La risposta, giusto per contraddirci, non è scientifica, ma è antica e senza istruzioni, come nelle ricette scritte a mano: Q.B., quanto basta. Perché sia basta.


*Coordinatore culturale Istituto Alcide Cervi 

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