Il Partito democratico ha davanti a sé una opportunità preziosa per rientrare nel gioco: sfruttare le divisioni interne al centro-destra. Quando si è all’opposizione, oltre a sbandierare i propri temi ed esercitare pressione attraverso varie modalità di mobilitazione, l’unica strada per mettere in difficoltà la maggioranza passa per un approfondimento delle loro contraddizioni. In questi giorni se ne presenta una imperdibile: il conflitto tra Lega e FdI (cosa faccia Forza Italia non ha più molta importanza) in vista delle elezioni regionali.

Litigi a destra

Tra i due partiti non si litiga solo sulle candidature, quanto sulla possibilità che due popolarissimi governatori leghisti, Luca Zaia in prima battuta, e Massimiliano Fedriga in prospettiva, possano essere ricandidati. La normativa attuale impedisce di ripresentarsi dopo due mandati e quindi escluderebbe Zaia da un altro mandato, l’anno prossimo. Questa tagliola cadrebbe anche sui presidenti di regione del Pd, Stefano Bonaccini in Emilia- Romagna, Michele Emiliano in Puglia e Vincenzo De Luca in Campania, tutti in scadenza nel 2025.

La ratio di questo limite rimanda alla opportunità di favorire la circolazione delle élite ed evitare il rischio di incrostazioni di potere. In linea di principio sono valutazioni giuste ma non tali da costituire un vincolo assoluto. Del resto, la regola dei due mandati l’hanno adottata universalmente solo i pentastellati per i loro eletti, mentre gli altri partiti non se ne sono curati, a cominciare dal Pd che ha riportato alle camere un recordman di permanenza come Pier Ferdinando Casini, da più di quarant’anni in parlamento.

Scelta tattica a sinistra

Al di là di valutazioni di ordine generale, da un punto di vista tattico il Pd ha tutto l’interesse a favorire una nuova normativa che elimini il blocco. In primo luogo, metterebbe in frizione Lega e FdI, perché il partito della premier ambisce a conquistare una regione del nord. Al contrario, Salvini non solo vuole conservare la presa sul Veneto ma ha anche tutto l’interesse a mantenere Zaia in loco per evitare che si muova a livello nazionale, visto che è l’unico a potere fargli ombra, e a disporre di una base di consenso consolidata.

In secondo luogo, il Pd potrebbe risolvere il problema del rinnovo dei suoi presidenti di regione. Il Partito democratico è confinato in quattro regioni soltanto, di cui tre, Emilia-Romagna, Puglia e Campania, andranno al voto all’inizio dell’anno prossimo. I presidenti in scadenza, senza una prospettiva di ricandidatura, puntano alle elezioni europee. E così il Pd si trova a dover cercare volti nuovi quando invece i presidenti uscenti godono di indubbia popolarità e sarebbero incumbent difficili da scalzare. Elly Schlein, in coerenza con il suo vento novatore che l’ha portata alla segreteria, punta a un ricambio. In più, tra lei e De Luca sono state scintille fin da subito, per usare un eufemismo.

Al rischio immediato di perdere due o addirittura tre regioni va aggiunto il danno di lasciare alla destra un’altra bella manciata di grandi elettori per le prossime elezioni del presidente della Repubblica (che conteranno di più perché sono diminuiti i parlamentari).

La candidatura dei governatori del Pd alle europee trascinerebbe il voto al sud, ma il guadagno di qualche decimale va bilanciato con la possibilità di mantenere il governo della regione e, soprattutto, un lotto adeguato di membri del collegio elettorale che sostituirà Sergio Mattarella. Al vantaggio tattico di mettere un cuneo tra Lega e FdI si aggiunge il vantaggio strategico di conservare regioni importanti e disporre di una buona pattuglia di futuri grandi elettori.

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