Le città riarse, gli incendi sempre più frequenti e un bollettino medico drammatico sono la vera emergenza in corso in questi giorni in Italia. Un segnale inequivocabile di come il cambiamento climatico stia impattando sulla qualità della vita e del fatto che tutti – a partire dalle istituzioni dello Stato – debbano mettere in campo soluzioni e maggiori tutele. Tanto più che l’Italia è particolarmente vulnerabile a questi cambiamenti a causa della sua posizione nel bacino Mediterraneo, area definita dagli scienziati come “hot spot” climatico.

Proprio su questo sono arrivati due moniti incrociati: uno sacro e uno profano. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di nuovo a distanza di pochi giorni è tornato a sollecitare il legislatore, in una sede per certi versi inaspettata. «La limitazione dell’impegno dello Stato nella copertura di alcune tipologie di calamità derivanti da eventi climatici estremi rende ancora più rilevante la protezione assicurativa, circostanza che non esonera, naturalmente, le istituzioni dagli obblighi della prevenzione», ha detto in un messaggio inviato all’Assemblea annuale dell’Ania, l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici. Parole che hanno fatto il paio con quelle pronunciate qualche giorno fa sulle carceri - sovraffollate, afflitte da un inaccettabile numero di suicidi e bollenti in questi mesi estivi – e che nuovamente hanno sollecitato il governo ad un intervento sulle vere emergenze in corso.

Dal Vaticano, anche papa Leone XIV – che mercoledì 2 luglio ha incontrato anche la premier Giorgia Meloni – ha lanciato il suo allarme sulla terra che «sta cadendo in rovina», non solo per le disuguaglianze e la violazione dei diritti umani, ma anche per «deforestazione, inquinamento e perdita di biodiversità». Il messaggio del pontefice in vista della X Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato ha avuto al centro la giustizia ambientale, che «non può più essere considerata un concetto astratto o un obiettivo lontano, ma una necessità urgente, che va oltre la semplice tutela dell’ambiente».

Leone XIV ha sottolineato che «i più fragili sono i primi a subire gli effetti devastanti del cambiamento climatico», e ha auspicato che «l’ecologia integrale sia sempre più scelta e condivisa come rotta da seguire».

Parole – sia quelle del Colle che quelle del pontefice – che dovrebbero aver fatto fischiare le orecchie dell’esecutivo Meloni, che sull’emergenza climatica ha sempre scelto posizioni estremamente defilate.

«La natura va difesa con l’uomo al centro. Un approccio troppo ideologico e non pragmatico su questo tema rischia di portarci fuori strada», ha detto alla Cop29 del 2024, dimostrando lo storico scetticismo del suo governo rispetto ai rischi, contrario al Green deal europeo e alle politiche sul clima, a partire da quelle che investono l’industria e in particolare quella automobilistica. A riprova di questo e nonostante le giornate da bollino nero, la Lega è tornata ad attaccare il piano europeo per il taglio delle emissioni. «L’ennesima follia di questa Ue», viene definita, perché «non è possibile sacrificare sull’altare dell’ideologia green interi settori produttivi».

Il piano nazionale

A riprova di questo, il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici approvato a fine 2023 «non è mai diventato operativo: non ha copertura finanziaria e la segreteria tecnica prevista non è mai stata istituita», ha fatto notare il deputato die Verdi, Angelo Bonelli.

Tuttavia l’estate tropicale in corso e le numerose vittime per il caldo, soprattutto lavoratori pesanti, ha costretto il governo a un intervento, mentre già tredici regioni si sono mosse in autonomia con ordinanze. Al ministero del Lavoro, infatti, è stato firmato un protocollo anti-caldo, «per l’adozione delle misure di contenimento dei rischi lavorativi legate alle emergenze climatiche negli ambienti di lavoro».

Quattro aree di intervento: la riorganizzazione di turni e orari, ammortizzazioni sociali per sospendere o ridurre le ore di servizio; indumenti e dispositivi di protezione; informazione e sorveglianza straordinaria sui luoghi di lavoro. Quel che più è stato sollecitato dai sindacati, però, è la previsione di un «ampio ed automatico ricorso agli ammortizzatori sociali in tutte le ipotesi di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro, anche in caso di lavoro stagionale». Tradotto: evitare che i lavoratori, soprattutto quelli con posizioni contrattuali più fragili, debbano scegliere tra lo stipendio e la salute e che le aziende vengano penalizzate per i ritardi dovuti a eventi climatici eccezionali.

Con un presupposto non secondario: il protocollo quadro andrà declinato alle singole categorie attraverso la contrattazione e non agisce in modo automatico sulle deroghe di orario. Si tratta insomma di uno strumento flessibile, ma il caldo con picchi oltre i 40 gradi da giugno in poi è un evento ormai consueto che si ripete ogni estate. «Vorremmo si stabilizzasse una norma sull’emergenza caldo per sapere come comportarci», ha detto la presidente di Ance (Associazione nazionale costruttori edili), Federica Brancaccio.

Il protocollo è stato firmato sia dai sindacati che dalle associazioni datoriali e verrà recepito con un decreto. Unanime la soddisfazione ma «serve subito il decreto sugli ammortizzatori sociali», è l’avvertimento dei sindacati. Senza tutele economiche, difficilmente si potranno vedere effetti nei settori più esposti.

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