Il messaggio che questo sarà un governo law and order, un governo che privilegia il carcere (le nostre affollate e invivibili carceri per le quali ci meritiamo da anni e anni l’attenzione di Amnesty International) rispetto a misure alternative, che privilegia la punizione rispetto alla rieducazione, che intende punire comportamenti che considera devianti quanto o più di crimini efferati, ma che al tempo stesso ha un occhio di riguardo per l’uomo comune, sospettoso della scienza e allergico alle tasse, è stato subito inviato.

In fondo è lo stesso messaggio che ha caratterizzato in questi anni la propaganda sia di Fratelli d’Italia sia della Lega. Il decreto anti-rave (in realtà un po’ anti-ogni tipo di riunione numerosa, essendo stato scritto coi piedi e senza cultura costituzionale), il rinvio in blocco della riforma Cartabia, comprensiva, appunto, delle misure alternative al carcere, le restrizioni relativamente ai benefici carcerari, l’anticipo del reintegro dei medici no-vax nelle strutture sanitarie, sono tutte misure approvate dal secondo Consiglio dei ministri e annunciate nella prima conferenza stampa di Giorgia Meloni.

Misure evidentemente considerate prioritarie e urgenti. Che si accompagnano all’annuncio dell’innalzamento del tetto del contante, sino a diecimila euro, come previsto in un progetto di legge presentato dalla Lega. Legge, ordine e scappatoie, il senso comune del perbenismo italiano.

Profilo identitario

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Non importa quanto la nuova presidente del Consiglio abbia cercato e stia cercando di indossare una veste istituzionale, rappresentativa di serietà e responsabilità, abbandonando quella più barricadiera e folkloristica, che ha conosciuto momenti clou durante le sue visite ai meeting di Vox, senza dimenticare la sua partecipazione al Congresso mondiale delle famiglie di Verona del 2019.

La volontà di rimarcare il profilo identitario del nuovo esecutivo è evidente, attraverso la rottura con un passato lassista e antipatriottico. Le stesse misure del governo diventano così strumento di campagna. Come sosteneva Dick Morris, spin doctor del presidente-star Bill Clinton, le issue non valgono di per sé, ma per quello che ci dicono del leader.

E la leader Meloni vuole apparire la donna del cambiamento, verso l’orizzonte della riscossa patriottica dell’Italia e degli italiani, finalmente sicuri e padroni a casa loro. Così, con l’avvio del suo esecutivo, è partita contestualmente la campagna permanente, ovvero la prosecuzione al governo della campagna per il consenso, con gli strumenti della fase elettorale.

Misure promozionali

Uno sguardo alle piattaforme social ci conferma la natura “promozionale” delle prime misure adottate. Se, in realtà, Meloni per il momento privilegia un profilo ufficiale, il suo partito si incarica di illustrare il senso della partenza del governo, postando sui diversi social la cartolina con il fiero volto di Meloni e la scritta: «Rave party abusivi, Meloni: lo stato c’è, nazione più sicura».

Al tempo stesso, sempre sui social, si incarica pure di gettare dubbi sulla gestione della pandemia, con temi cari ai no-vax, dalle cure domiciliari che sarebbero state preferibili ai ricoveri (tema cavalcato in passato da Meloni) alle “limitazioni delle libertà”.

Più direttamente impegnato nella campagna permanente, con modalità e linguaggi appena più moderati rispetto alla fase precedente il suo ritorno al governo, è Matteo Salvini, che da ministro delle infrastrutture, ma si direbbe con una certa influenza sul ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, suo ex capo di gabinetto, cavalca come di consueto la questione immigrazioni e sbarchi, ad esempio con il sostegno, nel suo tipico stile, dato alle posizioni del governo nel contenzioso con la Germania sulle navi ong battenti bandiera tedesca con a bordo centinaia di richiedenti asilo. E, naturalmente, da man forte al provvedimento “anti-rave”: «La pacchia è finita».

Sempre via social, anticipa addirittura la presidente del Consiglio su un tema come l’abolizione del reddito di cittadinanza. Il che ci mostra come questa campagna permanente a più teste possa essere foriera di problemi per l’esecutivo, ma si tratta di altro tema ancora.

Una stagione nuova

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Pur attenta a un profilo istituzionale, con immagini e post tutti legati al suo ruolo e senza scadere nel linguaggio becero che certo sino a tempi recenti non le ha fatto difetto, Meloni non rinuncia, però, all’immagine di una leader a capo di una nuova stagione per il paese, il cui senso ribadisce costantemente. A partire dal ruolo dell’Italia in Europa.

«Oggi inizia la nostra sfida per risollevare l’Italia», annuncia dalle piattaforme social appena insediata. «Insieme restituiremo orgoglio forza e visione alla nostra nazione». E attraverso le sue dichiarazioni prima e dopo gli incontri in Europa con Ursula von der Leyen e Roberta Metsola, più che concentrarsi su aspetti concreti, ribadisce la prospettiva di una leadership di governo che quasi considera l’Unione europea come un interlocutore, non come una comunità di appartenenza e identificazione, perché ciò a cui si appartiene e con cui ci si identifica è la nazione, che è solo quella italiana. Che ora, finalmente, farà sentire forte la sua voce.

Guidare un popolo

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La nazione, appunto. Che nella sua narrazione si sostituisce allo stato. Il suo partito la saluta come finalmente alla guida della nazione, non del governo dello stato italiano. Parlando in occasione della nomina dei sottosegretari, Meloni ricorda loro come siano «rappresentanti della nazione». Un titolo che semmai spetta ai parlamentari, ma non è la prima volta che Meloni evoca il concetto di rappresentanza in relazione all’esecutivo, evidentemente concependolo come massima incarnazione della volontà popolare.

Insomma, Meloni non è ora semplicemente alla guida di un governo, ma rappresenta e guida un popolo culturalmente e storicamente connotato, che oggi rialza la testa. A ricordare costantemente ciò sembra votata la sua campagna permanente. Oltre che ad auto-incensare i primissimi passi della propria azione sulle concrete questioni economiche (utilizzare quanto accantonato da Draghi e fare nuovo debito) ed energetiche, come dopo il terzo Consiglio dei ministri, quando proclama come la sua azione dimostri «che anche in Italia se si vuole è possibile fare quello che serve per il bene dei cittadini».

La campagna permanente alla quale ci aveva disabituati il presidente del Consiglio Mario Draghi, che l’interesse italiano lo tutelava comportandosi anche come leader europeo e senza suonare la grancassa, è tornata. L’avevamo già conosciuta in tempi lontani con Silvio Berlusconi, più recenti con Matteo Renzi e Giuseppe Conte. Purtroppo, quella di Draghi è stata solo una parentesi e si ricomincia con la propaganda di governo. In nome del popolo italiano.

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