I dati e le riflessioni che presentiamo qui provengono dalla più grande ricerca mai fatta sul tema in Italia: un lavoro durato tre anni, che ha coinvolto decine di ricercatori in sei atenei e in diverse aree del paese, che ci ha permesso di raccogliere più di quattrocento interviste in profondità e di sottoporre un lungo questionario a un campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne.

Veniamo ai dati. Il primo risultato consiste nel fatto che alla morte sembra proprio che gli italiani non abbiano alcuna fretta di prepararsi in anticipo. Solo il 6,4 per cento di loro, infatti, dichiara di avere preso in affitto un loculo o uno spazio al cimitero. Perfino tra gli ultrasessantacinquenni questa quota non supera il 12 per cento.

A oltre tre quarti degli italiani poi non è mai nemmeno passato per la testa di comunicare a qualcuno le istruzioni necessarie per l’accesso alla propria posta elettronica, ai social network o anche solo ai conti correnti dopo morti, né tantomeno di dare disposizioni relativamente a cosa fare per il proprio funerale.

Oltre due terzi dichiarano inoltre di non avere neppure per un momento pensato di comunicare a qualcuno dove trovare i propri documenti più importanti o di esprimere le proprie volontà sul trattamento medico da adottare nel caso in cui malauguratamente capitasse loro di trovarsi in condizioni di non poterle più prendere (il cosiddetto “testamento biologico” sul quale si è discusso per anni) o, infine, di esprimere le proprie volontà a proposito della donazione degli organi.

La ristretta minoranza di chi ha almeno qualche volta pensato di compiere uno di questi gesti, quasi mai ha pensato di dar seguito alle proprie riflessioni.

Nei rarissimi casi in cui questo è successo il più delle volte ci si è limitati a qualche comunicazione a voce, senza alcuna traccia scritta.

Pensare al dopo

Nonostante tutto questo, malgrado cioè l’assenza di preparazione alla fine, non si può certo dire che gli italiani mostrino indifferenza nei confronti dei propri resti mortali. Al contrario.

Ragionamenti sul destino da riservare al proprio corpo dopo la morte sono emersi frequentemente dalle interviste in profondità che abbiamo raccolto.

Spesso questo è avvenuto in modo indiretto, ad esempio in una conversazione leggera in cui gli intervistati si sono limitati a presentare le proprie opinioni personali su questo tema.

Oppure, più frequentemente, in una discussione generale sull’opportunità o meno della cremazione, o ancora in un confronto in cui abbiamo chiesto alla persona intervistata se la cremazione andasse preferita ad altre forme più tradizionali di sepoltura. In altri casi, invece, l’occasione può essere stata rappresentata da una disputa su questioni pratiche che hanno riguardato la morte altrui. 

Almeno in una di queste modalità “indirette” far riferimento alla propria morte è sembrato per molti italiani pienamente ammissibile.

I resti mortali

A segnalare che quello della morte è un argomento a cui noi italiani siamo tutt’altro che insensibili è l’analisi delle situazioni in cui il rischio che a un defunto siano negate sollecitudini e cure adeguate e dignitose diventa concreto.

In una delle nostre interviste una signora ha ripercorso la vicenda della sepoltura di una cara amica e ha riferito dell’angoscia suscitata dal timore che i resti mortali di costei potessero finire mischiati insieme a quelli di altri sconosciuti.

Per citare le sue parole: «Quando la sorella di questa mia amica morta mi ha chiamato dicendomi che le avevano detto che l’avevano messa nell’ossario, sono diventata una pazza. "Cosa? – ho risposto io – Come? Ma dov’è? Come è possibile?”. Mi sono immediatamente attaccata al telefono. Mi sono fatta dare la data della morte, dove era il cimitero, tutti i dettagli, e ho cominciato a chiamare. Sono stata mezzo pomeriggio al telefono, come una pazza e ho continuato a urlare: “L’avete messa nell’ossario!”».

Preoccupazioni di questo genere sono tutt’altro che rare. I dati del nostro campione rivelano che oggi più della metà degli italiani possiede una opinione definita rispetto al tipo di sepoltura che vuole per sé. Sa, quindi, se vuole essere cremata, sepolta a terra o collocata in un loculo al cimitero.

Sa anche dove vuole essere sepolta. Non ha nemmeno dubbi su chi voglia, e chi non voglia avere sepolto accanto a sé dopo la morte. E ha infine idee piuttosto precise anche su dove debbano essere collocati i propri cari dopo la morte.

I giovani e la morte

È ovviamente abbastanza prevedibile che l’interesse per le modalità della propria sepoltura sia influenzato dalla fase di vita in cui ci si trova. Tanto più si è giovani, tanto meno frequentemente capita di pensare a cosa fare del proprio corpo dopo la morte.

Quando la scomparsa dei genitori o del partner o delle persone – amici, ex compagni di scuola, colleghi di lavoro – con cui si è condivisa parte dell’esistenza non permette più di aggirare la realtà della morte, l’indifferenza verso questi temi quasi scompare.

Tuttavia, perfino tra chi ha meno di 34 anni, solo una quota variabile tra la metà e i due terzi dichiara di non avere mai pensato alla destinazione dei propri resti mortali, al luogo della propria sepoltura, alle persone accanto alle quali vorrebbe essere sepolta.

Tutto sommato quindi, perfino ai giovani capita di pensare di tanto in tanto a questi aspetti.

Questione di fede

Come in altri campi della vita sociale, anche in questo gli italiani sono comunque divisi  in base ai valori a cui fanno riferimento. L’indifferenza nei confronti del destino del corpo cresce, per esempio, passando dai credenti praticanti ai credenti non praticanti, per raggiungere il livello più alto tra chi si dichiara agnostico o ateo.

Le caratteristiche individuali, quelle anagrafiche e quelle legate alla religiosità di ciascuno, non sono, però, da sole sufficienti a dare conto delle variazioni degli atteggiamenti nei confronti delle sepolture.

A giocare un ruolo decisivo sono anche fattori connessi alle caratteristiche più profonde della struttura delle relazioni sociali e in particolare della famiglia.

In Italia infatti, a parità di altre condizioni, il livello di interesse per le forme e le modalità delle sepolture si mantiene alto tra i giovani quanto più costoro, dopo l’uscita da casa, abitano vicino ai loro genitori .

Un elevato grado di dispersione delle famiglie, infatti, rende poco praticabile la cura dei manufatti funebri e in generale riduce sensibilmente l’attenzione alla sepoltura.

Così, passando da chi vive a meno di un chilometro dai genitori a chi vive a oltre un chilometro da loro, cresce ben del 72 per cento l’indifferenza nei confronti della questione relativa al luogo in cui si desidera essere sepolti e al tipo di persone accanto a cui essere sepolti (del 38 per cento).

Insomma, se in Italia solo una minoranza di persone è indifferente agli aspetti legati alla sepoltura, questo deriva anche dal fatto che i figli continuano ad abitare non lontano da papà e mamma.

Le cremazioni

Anche la demografia esercita un ruolo decisivo nel plasmare le preferenze degli italiani nei confronti delle pratiche funebri.

Pensiamo alle cremazioni, che in Italia sono passate nel giro di qualche anno da livelli del tutto trascurabili a oltre un terzo del totale delle forme di trattamento del corpo dopo la morte nel 2021.

Si tratta di un’evoluzione strutturale in atto dagli anni Novanta (e che dunque non ha alcuna relazione con la pandemia) causata soprattutto dalla secolarizzazione, cioè dalla minor rilevanza complessiva della religione.

Le stesse scelte della Chiesa Cattolica hanno avuto un peso, anche se non sono andate in una sola direzione: da un lato, infatti, le gerarchie ecclesiastiche hanno autorizzato la cremazione, dall’altro però hanno mantenuto il divieto fatto ai cristiani di disperdere le ceneri dei loro defunti.

Ma dietro la scelta di cremarsi sono all’opera anche altri meccanismi. In particolare c’è il fatto che la cremazione è l’unica forma di trattamento del cadavere che non lascia impegni e pensieri a chi resta.

Niente è più adatto a una società in cui la condizione di chi non lascia nessuno dopo di sé è così diffusa.

Oggi, in Italia, il 17 per cento delle donne al di sopra dei 50 anni non ha avuto figli. Un certo numero di italiani, quindi, è consapevole del fatto che morirà senza lasciare dietro di sé una discendenza che possa prendersi cura dei propri resti mortali.

Non lasciare pensieri e impegni ad altri dietro di sé è sempre senz’altro un proposito apprezzabile, ma diventa imperativo nelle condizioni in cui dietro di sé non resta nessuno.


I temi di questo articolo sono al centro del volume a cura di Asher Colomo Morire all'italiana. Pratiche, riti, credenze, appena pubblicato dal Mulino 

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