Il parere della Commissione europea del 16 novembre sulle concessioni balneari italiane non è solo un documento tecnico sulla loro mancata messa a gara, in contrasto con quanto previsto dalla direttiva Bolkestein. È anche lo smascheramento di una serie di artifici con cui il governo italiano pensava di beffare l’Unione europea ed evitare l’applicazione della direttiva.

La storia

Nel dicembre 2020 la Commissione inviò all’Italia una lettera di costituzione in mora per le «proroghe indiscriminate» delle concessioni balneari, in violazione della Bolkestein.

Nel 2021 il Consiglio di Stato stabilì che, dopo il 31 dicembre 2023, giudici e autorità amministrative considerassero le concessioni in essere come non più esistenti. Nell’agosto 2022, la legge per la concorrenza confermò tale scadenza, delegando il governo ad adottare, entro sei mesi, «decreti legislativi volti a riordinare e semplificare la disciplina in materia».

Ma nel dicembre 2022 il governo di Giorgia Meloni dispose un’ulteriore proroga delle concessioni fino al 31 dicembre 2024, prevedendo però che le relative gare non fossero bandite prima dell’adozione dei citati decreti legislativi e della mappatura delle coste da parte di un “Tavolo tecnico”. Mappatura – nelle intenzioni del governo – finalizzata a escludere la scarsità del bene “coste”, presupposto per applicare la Bolkestein.

Nell’aprile 2023 la Corte di Giustizia Ue confermò l'applicabilità in via diretta della Bolkestein alle concessioni balneari, ribadendo «il chiaro divieto di rinnovi automatici». Nel mentre, scadde il termine per l’adozione dei decreti legislativi.

Il bluff sui termini delle gare

La Commissione rileva preventivamente come l’esecutivo, mentre interloquiva con l’Ue, mostrando di voler adeguare la normativa nazionale a quella europea, in realtà andava in senso opposto, con la proroga delle concessioni balneari al 2024.

E oltre a questa proroga palese – afferma la Commissione – il governo introduceva pure una proroga surrettizia: subordinando la messa a gara all’adozione di decreti attuativi, e poi lasciando scadere il termine per l’adozione, in concreto rendeva il periodo della proroga «indefinito e potenzialmente illimitato». Un’astuzia che la Commissione stigmatizza.

La presa in giro sulle coste

Secondo la mappatura fatta dal Tavolo tecnico – continua la Commissione – «la quota di aree occupate dalle concessioni demaniali equivale, attualmente, al 33 per cento delle aree disponibili», e dunque la direttiva Bolkestein – che presuppone la «scarsità delle risorse naturali» – non sarebbe applicabile, data l’ampia disponibilità di coste (67%) da mettere a gara.

Anche per questo profilo la Commissione svela il trucco. Innanzitutto, la percentuale del 33% è stata calcolata rispetto al totale delle coste, al netto solo «di aree militari e secretate». In altre parole, sono state spacciate come “disponibili” anche aree non accessibili, «aviosuperfici», «porti con funzioni commerciali», «aree industriali relative ad impianti petroliferi, industriali e di produzione di energia», «aree marine protette e parchi nazionali». Insomma, zone dove non possono porsi stabilimenti balneari. In secondo luogo, il Tavolo tecnico ha finto di ignorare che in molte regioni è previsto per legge «un limite quantitativo massimo di costa che può essere oggetto di concessione», già assegnato nella maggior parte dei casi.

Insomma, la mappatura italiana è una presa in giro.

Altre falsità del governo

La Commissione smonta anche altre affermazioni del governo italiano. Ad esempio, quella secondo cui la proroga delle attuali concessioni «è stata “concordata” con la Commissione» stessa, circostanza che quest’ultima nega, fornendo prova dei rilievi espressi all’Italia. Oppure che la proroga «è necessaria per evitare innumerevoli richieste di risarcimento», cui la Commissione replica che, in mancanza di «un certo numero di condizioni rigorose», la cui valutazione è preclusa in caso di proroghe generalizzate come quelle italiane, non può esservi un «legittimo affidamento» dei concessionari, quindi nemmeno un loro diritto al risarcimento. O ancora che la proroga «è necessaria per garantire la certezza del diritto», mentre per la Commissione è proprio «la reiterata proroga della durata delle “concessioni balneari” a compromettere gravemente la certezza del diritto».

La figuraccia rimediata dal governo è davvero rilevante. Ora Meloni sia trasparente con i cittadini: toccherà a loro pagare le sanzioni, dopo la procedura di infrazione, se il governo insisterà a violare Bolkestein. I cittadini sarebbero d’accordo?

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