Giorgia Meloni, una volta al governo, dovrà affrontare problemi economici che, almeno per qualche tempo, costituiranno la priorità della sua azione. Ma resta sullo sfondo la proposta di revisione costituzionale – contenuta in due disegni di legge presentati nella scorsa legislatura – mediante cui la leader di Fratelli d’Italia vorrebbe sancire la prevalenza del diritto interno su quello europeo, in base al principio di sovranità nazionale.

Il primato del diritto dell’Ue

La Costituzione italiana si fonda su «un pilastro fondamentale, l’articolo 11, principio per cui la sovranità esiste, ma è limitata perché lo stato vive in una relazione di interdipendenza con altri stati» – ha spiegato la ministra Marta Cartabia quando era presidente della Corte costituzionale – e «in caso di non armonia tra la legge nazionale e quella europea, deve prevalere la seconda».

Va considerato che la Costituzione italiana e l’Europa nascono assieme, «in opposizione ai totalitarismi che avevano devastato l’Europa nella prima metà del secolo». I padri costituenti erano mossi da una volontà europeista, in un contesto storico, quello del Dopoguerra, caratterizzato dalla promozione dei processi di istituzionalizzazione delle relazioni internazionali, a fini non solo irenici, ma anche di cooperazione economica, politica, sociale.

Il principio del primato del diritto dell’Unione europea (Ue) non è sancito dai trattati dell’Unione, ma si è sviluppato nel tempo mediante la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Ue (Cgue). Esso si applica solo relativamente ai settori per i quali i paesi membri abbiano ceduto la sovranità all’Unione stessa (quali il mercato unico, l’ambiente, i trasporti e così via).

La prevalenza del diritto dell’Ue non è assoluta, ma incontra il limite del rispetto dei principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello stato e dei diritti inalienabili della persona umana. Si tratta dei cosiddetti controlimiti – elaborati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale – ossia gli argini posti dall’ordinamento interno alle limitazioni di sovranità derivanti dall’adesione a un’organizzazione internazionale, quale è l’Ue. Come affermato dalla Corte stessa, l’obiettivo dell’unità, nell’ambito di un ordinamento che assicura la pace e la giustizia tra le nazioni, giustifica una rinuncia a spazi di sovranità.

Ma ciò non significa «rinuncia ai principi supremi dell’ordine costituzionale» che definiscono l’identità nazionale. Il Trattato sul funzionamento dell’Ue prevede una consultazione preventiva tra la Corte suprema dello stato membro e la Corte di giustizia europea in caso di dubbi applicativi «sull’interpretazione dei trattati» e «sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione». In conformità al Tfue, la Consulta ha instaurato un dialogo con la Cgue nell’unico caso in cui i controlimiti sono venuti in rilievo (caso Taricco).

Una Costituzione aperta all’Europa

Dai lavori della Costituente si evince che la formulazione dell’articolo 11 è stata lasciata volutamente vaga e generale, in modo da far sì che l’Italia potesse partecipare ai successivi sviluppi non solo della comunità internazionale, ma anche di quella europea.

Successivamente, sono stati inseriti nella Carta costituzionale repubblicana una serie di riferimenti specifici all’Ue. Nel 2001, con la riforma del Titolo V, nell’ambito della distribuzione delle competenze legislative tra stato e regioni, sono stati richiamati i «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario», insieme alla Costituzione stessa e agli obblighi internazionali (art. 117, c. 1). Con la revisione costituzionale del 2012 è stato introdotto il principio del pareggio di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico, da perseguire «in coerenza con il diritto dell’Unione europea» (art. 97, c. 1). Infine, è stato sancito l’obbligo, per tutti gli enti territoriali, di concorrere all’osservanza dei «vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea» (art. 119, c. 1).

Le modifiche proposte

Come accennato, nella scorsa legislatura sono state presentate due proposte di revisione costituzionale (n. 291 e n. 298 del 23 marzo 2018), di cui Meloni è prima firmataria. La prima prevede che il diritto europeo possa essere applicato solo «in quanto compatibile» con i princìpi di sovranità, democrazia e sussidiarietà, nonché con gli altri princìpi della Costituzione italiana. La seconda, poi, intende eliminare dalla Costituzione specifici richiami all’ordinamento dell’Unione europea (artt. 97, 117 e 119).

In sintesi, il diritto europeo, che comporta necessarie limitazioni di sovranità, potrebbe essere applicato solo in quanto non comporti limitazioni di sovranità. Un cortocircuito. In concreto, basterebbe che una disposizione dell’Ue fosse in contrasto con una norma nazionale per rendere la prima inapplicabile.

Non solo, l’eliminazione dalla Costituzione di richiami al diritto europeo svincolerebbe l’Italia dall’osservanza dalle politiche di bilancio stabilite nell’ambito dell’Ue.  Mentre l’eliminazione del riferimento al rispetto degli «obblighi internazionali» (art. 117) priverebbe di sostegno le pronunce della giurisprudenza costituzionale in materia di diritti fondamentali che, sulla base di tale riferimento, hanno consentito di incorporare nell’ordinamento nazionale norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dunque, la revisione costituzionale non è semplicemente la codificazione dei “controlimiti”, ma va oltre. Come ha affermato di recente Gustavo Zagrebelsky, sostituire l’internazionalismo con il sovranismo comporterebbe un «rovesciamento» della Costituzione. 

Sostenere che con queste modifiche costituzionali l’Italia si conformerebbe all’orientamento di altri paesi,come la Germania, non è corretto. La norma tedesca è molto diversa da quella italiana revisionata, e comunque in Germania la relazione fra diritto interno e diritto europeo è definita in modo più puntuale di quanto sarebbe in Italia, con il generico riferimento alla sovranità nazionale nel nuovo testo.

La Corte tedesca valuta che la normativa europea non travalichi l’identità nazionale e che le istituzioni dell’Ue non agiscano “ultra vires”, cioè esorbitando in maniera manifesta dalle competenze attribuite dai Trattati o in violazione del “principio di proporzionalità”. Ma la primazia del diritto europeo non è in discussione.

Dunque, se è vero che le modifiche costituzionali non pregiudicano la permanenza dell’Italia nell’Ue, di certo compromettono il processo di integrazione europeo, che si fonda sull’osservanza del diritto dell’Ue in maniera omogenea da parte ogni stato membro. Peraltro, senza sopportare le limitazioni che derivano dall’appartenenza europea, non si potrebbe beneficiare dei relativi vantaggi. Aspetto che pare sfuggire ai fautori di certe proposte.

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