«Quello che noi stiamo facendo sulla Corte dei Conti in rapporto ai controlli sul Pnrr non è nulla di difforme da quello che ha fatto il precedente governo», cioè l’esecutivo di Mario Draghi, ha affermato Giorgia Meloni giorni fa in un’intervista. L’intento è chiaro. Da un lato, mettere sotto il cappello protettivo di Draghi la scelta di escludere il “controllo concomitante” della Corte per i progetti del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) e di prorogare lo “scudo erariale”, vale a dire la limitazione della responsabilità al dolo, per i soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti. Dall’altro lato, lamentarsi vittimisticamente di essere criticata per ciò che, invece, non era contestato a Draghi. Ma è davvero così? Meloni come Draghi?

Il controllo concomitante

Il controllo concomitante – cioè in corso d’opera - fu introdotto da una legge del 2009 (n. 15); rimase inattuato fino a quando, nel luglio 2020 (d.l. n. 76), venne attivato a fronte della mole di risorse stanziate dal governo dell’epoca, il secondo di Giuseppe Conte, per risollevare famiglie e imprese dopo la prima ondata pandemica – stabilendo che riguardasse «principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale»; poi, fu finalizzato anche alle verifiche sul Pnrr nel novembre 2021 - con una delibera adottata dalla Corte dei Conti durante il governo Draghi - nel presupposto che il piano europeo rientrasse tra quelli previsti dal decreto del 2020.

Quando Meloni afferma di seguire le orme di Draghi sembra intendere che gli unici controlli voluti da quest’ultimo sul Pnrr fossero quelli di tipo successivo, e non concomitanti, da parte della Corte dei Conti, sanciti da un decreto del maggio 2021 (n. 77). Ma così non è. La presidente del Consiglio forse dimentica che Draghi non ebbe nulla da eccepire quando la Corte dei Conti, nella citata delibera del novembre 2021, stabilì che sul Pnrr fosse esercitato il controllo concomitante. Si tenga presente che Draghi fu chiamato a Palazzo Chigi, tra le altre cose, con lo specifico mandato di realizzare il piano europeo: può reputarsi che non avrebbe mancato di sollevare rilievi laddove avesse ritenuto che il controllo concomitante ne ostacolasse l’attuazione.

Peraltro, lo stesso Draghi avrebbe potuto escludere in via normativa il controllo concomitante sul Pnrr, come ora fa il governo Meloni. Invece, Draghi non intervenne, avallando così la scelta dei controlli in itinere della magistratura contabile. L’ex presidente del Consiglio sapeva bene che la Commissione europea verifica solo che gli impegni presi siano realizzati nei tempi previsti, e dunque non c’è sovrapposizione con i controlli della Corte, come dice qualcuno dell’attuale esecutivo.

Inoltre, non è corretto affermare - come pure fanno esponenti di governo - che il controllo concomitante intralci l’attività amministrativa. La Corte formula indicazioni finalizzate a evitare carenze e ritardi, ed eventualmente a rilevare ipotesi di responsabilità. Spetta poi alle amministrazioni decidere se e come tenerne conto.

Lo scudo erariale

Lo scudo erariale era stato previsto dal citato decreto del 2020 fino al 31 luglio 2021; poi, nel maggio 2021, fu esteso dal governo Draghi fino al 30 giugno 2023. Perciò Meloni dice che ha seguito l’azione di Draghi. Ma le cose non stanno esattamente in questo modo.

Lo scudo erariale fu introdotto in piena pandemia e durante lo stato di emergenza, quando si rese all’improvviso necessario per le amministrazioni stipulare contratti e predisporre appalti per l’acquisto di beni, servizi, dispositivi sanitari e altro. Siccome l’esigenza di adottare decisioni straordinarie in tempi solleciti esponeva amministratori e funzionari pubblici a verifiche contabili che avrebbero potuto non solo sollevare nei loro riguardi accuse di danno erariale, ma anche annullarne gli atti, aggravando così la crisi in atto, si decise di limitarne la responsabilità erariale al solo caso del dolo. La decisione fu prorogata dal governo Draghi nel maggio 2021, quando si era ancora in emergenza e non si avevano certezze sull’andamento della pandemia.

È palese come l’attuale proroga dello scudo da parte di Meloni manchi totalmente dei presupposti su cui era fondata la scelta del suo predecessore. Né può affermarsi che la limitazione della responsabilità di funzionari e amministratori pubblici sia funzionale al Pnrr. Quest’ultimo non è una “disgrazia” che piomba inattesa e richiede scelte emergenziali. Il Pnrr è un piano di riforme e investimenti strutturali, cioè non emergenziali, appunto, deliberato e organizzato nel tempo in base a un cronoprogramma.

Dunque, affermare che Meloni ha fatto le stesse scelte di Draghi non ha senso. Ma allora qual è il significato di prorogare lo scudo erariale? Può ipotizzarsi vi sia una ratio comune all’eliminazione del controllo concomitante: evitare che emergano ipotesi di mala gestione del Pnrr, per non “disturbare” il governo. Peraltro, come sottolineato dal presidente della Corte dei Conti,

Guido Carlino, in un’audizione alla Camera, il controllo concomitante era stato previsto nel 2020 per «compensare» l’introduzione dello scudo erariale: a una minore responsabilità della P.A. corrispondevano maggiori controlli della magistratura contabile. Adesso il governo Meloni ha attenuato sia l’una che gli altri. Peraltro, sempre Carlino ha citato una sentenza della Corte costituzionale (n. 128/2021) che, in relazione a regimi normativi in deroga, richiede che essi siano proporzionati ed essenziali. Caratteristiche che l’attuale proroga dello scudo sembra non avere.

Il governo può adottare le decisioni che ritiene opportune, nell’ambito dei paletti posti dall’ordinamento. Non si reputa che l’eliminazione del controllo concomitante e la proroga dello scudo erariale possano mettere a rischio la democrazia, anche se in diritto la forma – limitare controlli e responsabilità appena la magistratura contabile formula rilievi, con un tempismo sospetto – è sostanza. Il rischio per la democrazia sono le inesattezze ripetute da esponenti di governo – forse sperando diventino verità – che vengono riprese dalla stampa senza verificarne la fondatezza. La stampa che non è watch-dog del potere abdica al proprio ruolo, e per la democrazia non è mai una buona notizia.

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