Una sentenza storica che riscrive la grammatica del diritto di famiglia europeo. E paradossalmente arriva proprio dalla Polonia, dove lo Stato non riconosce le coppie dello stesso sesso e la Costituzione, dal 1997, inchioda il matrimonio a un’unione tra un uomo e una donna.

Eppure è da qui che due cittadini polacchi, sposati legalmente in Germania, hanno chiesto qualcosa di semplice: che il proprio matrimonio fosse trascritto anche nel registro civile del loro Paese. Dopo il rifiuto di Varsavia, pronta a brandire la legge nazionale come una trincea contro il riconoscimento delle loro vite, la disputa è così approdata a Lussemburgo. 

La Corte di giustizia dell’Unione ha così stabilito che nessuno Stato membro può rifiutarsi di riconoscere un matrimonio tra due cittadini Ue dello stesso sesso quando quell’unione è stata legalmente celebrata in un altro Paese dell’Ue. Un principio che discende direttamente da una delle libertà fondamentali dell’Europa: la libertà di circolazione e di soggiorno. Poiché in Polonia la trascrizione è l’unico mezzo per rendere valido un matrimonio contratto all’estero, la Corte ha chiarito che Varsavia è tenuta a trascriverlo senza distinzioni.

Cosa comporta la sentenza

Una decisione che parla non solo alla Polonia, ma a tutta l’Europa che deve ancora scegliere da che parte stare. Viene dunque da chiedersi quali siano gli effetti in paesi dell’Ue come l’Italia, dove dal 2016 l’unica legge che riconosce le coppie dello stesso è quella delle unioni civili. Come spiega a Domani Angelo Schillaci, professore associato di Diritto pubblico comparato all'università la Sapienza di Roma: «La legge sulle unioni civili stabilisce già un meccanismo di riconoscimento dei matrimoni celebrati all’estero, ma prevede che producano in Italia gli effetti dell’unione civile. Quindi, da un lato è riconosciuta alla coppia la possibilità di condurre la propria vita familiare in Italia “normalmente”. Il problema che si potrebbe porre è che non produce gli stessi effetti del matrimonio celebrato all’estero. La legge Cirinnà dice: “produce gli effetti dell’unione civile”. E non del matrimonio».

A differenza del matrimonio egualitario, l’unione civile non prevede l’obbligo di fedeltà (la violazione di tale obbligo nel matrimonio può comportare il cosiddetto “addebito” tipico dei procedimenti di separazione). Non crea vincoli di affinità con i parenti dell’unito civilmente, alimentando diverse problematiche di tipo pratico, pensiamo alla richiesta dei permessi ex legge 104 per un affine. E non apre alla filiazione: nessuna adozione, nessun riconoscimento del figlio del partner. «La sentenza potrebbe far emergere ancora una volta che le unioni civili sono una cosa diversa dal matrimonio egualitario».

La trascrizione in unione civile

Ed è qui che si potrebbe apre il vero punto di frizione. Immaginiamo il caso: domani una coppia di cittadini spagnoli, sposati in Spagna, decide di trasferirsi in Italia. Chiede la trascrizione del proprio matrimonio. L’Italia, come già fa, risponde: sì alla trascrizione, ma l’unione produce soltanto gli effetti delle unioni civili, non quelli del matrimonio.

A quel punto la strada verso una nuova causa davanti alla Corte Ue è tutt’altro che improbabile. Perché è vero che l’Italia adempie formalmente all’obbligo di trascrivere l’atto, ma resta il nodo sostanziale: è legittimo “declassare” un matrimonio valido nell’Unione a un istituto giuridico diverso e inferiore? Quel declassamento potrebbe essere interpretato come una violazione del diritto alla vita familiare e del principio di non discriminazione basata sull’orientamento sessuale. In altre parole: l’Italia potrebbe trovarsi a rispondere non tanto della trascrizione, quanto delle conseguenze che decide di attribuirle. Ed è lì che potrebbe scattare un nuovo contenzioso europeo. Le associazioni per la difesa dei diritti ci pensano.

L’Europa che già festeggia

La sentenza segna un passo per la dignità delle coppie Lgbtq. Un altro era già stato segnato nel 2021, quando la Corte Ue ha stabilito che gli Stati membri devono riconoscere la filiazione già accertata in un altro Paese Ue, garantendo i diritti alla libera circolazione e alla vita familiare, anche per le coppie omogenitoriali, senza obbligare gli Stati a cambiare le proprie leggi. Intanto in Europa, soprattutto quella che non prevede tutele per le coppie dello stesso sesso, si festeggia. La Corte è stata chiara: gli Stati regolano il matrimonio ma devono rispettare il diritto Ue: non possono limitare la libertà di circolazione, né la vita familiare, né discriminare per orientamento sessuale. «Con oggi» afferma Schillaci «questi restano tre paletti invalicabili».

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