Dalla distribuzione dei preservativi negli anni Ottanta alle battaglie per l’uguaglianza, Arcigay compie quarant’anni tra welfare dal basso, visibilità culturale e nuove sfide contro la recrudescenza dell’odio. E a Domani, Gabriele Piazzoni lancia l’allarme: «Quando istituzioni e rappresentanti politici mandano certi messaggi, l’odio non resta a parole ma diventa aggressione fisica»
Il compleanno esatto sarà l’11 dicembre. Quarant’anni, tondi. Ma Arcigay nazionale ha già celebrato con “Forty Queer” una tre giorni di incontri, cultura, musica e mobilitazione per raccontare la storia dell'associazione più grande del movimento Lgbtq taliano, con oltre 70 sedi locali in tutto il Paese. L'appuntamento, negli spazi di The Social Hub a Roma, è stato attraversato da giovani e meno giovani, leader di partito e simpatizzanti: la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, che, accompagnata dalla presidente nazionale di Arcigay, Natascia Maesi, e dal segretario generale Gabriele Piazzoni, ha visitato gli stand dei circoli territoriali di Arcigay. Nichi Vendola, tra i fondatori di Arcigay e oggi presidente di Sinistra Italiana. E poi nomi dell’attivismo come Pia Covre, Patrick Zaki, Djarah Kan, Muriel, Monica Romano, Pietro Turano, Valentina Petrillo. Protagonisti assoluti due dei fondatori che firmarono l’atto costitutivo nel 1985, Fanco Grillini e Beppe Ramina.
Preservativi
Una storia quella della associazione Lgbt che intreccia quella "grande” italiana dove il primo atto è stato conquistare una visibilità pubblica per le persone omosessuali (un tempo in cui “omosessuale” era l’unica parola presente per raccontarsi). La prova di fuoco, che occupò l’associazione per un decennio è stata la piaga dell’Aids, un’ecatombe fatta di persone isolate, cacciate di casa, dimenticate in un letto di ospedale e lasciate morire.
Il ministro della Sanità, Donat-Cattin, che dopo aver detto «l’Aids ce l’ha chi se lo va a cercare», nel 1988 inviò una lettera a tutti gli italiani per dire che era «consigliabile attenersi» a «un’esistenza normale nei rapporti affettivi e sessuali». Di fronte a una politica coscientemente assente e una società che rifiutava, spesso compiaciuta, una determinata «categoria sociale», Arcigay si attivò subito a livello informativo, con la distribuzione di preservativi. Qualcosa che oggi sembra piccolo ma che all’epoca fu rivoluzionario. E grazie all’azione di Arcigay e di altre associazioni che nacque un’attenzione diversa, e la pressione perché lo Stato si dotasse di strumenti di cura e prevenzione.
Orgoglio e diritti
Quarant’anni dopo, Beppe Ramina, giornalista, ex dirigente di Lotta Continua e co-fondatore di Arcigay si guarda indietro. Ospite a Forty Queer, dibattito sulla storia del movimento, si lascia scappare una frase che vibra ancora: «Siamo noi a darci dignità». Dice con voce profonda, ricordando le parole del poeta Allen Ginsberg dopo Stonewall: «I froci hanno perso quel loro sguardo ferito». «Lo abbiamo perso perché ci siamo ribellati, abbiamo alzato la testa. Non siamo più oggetto delle storie raccontate da altri, ma soggetti, protagonisti della nostra vita e della nostra storia. Prima della legge sulle unioni civili in tanti dicevano: non abbiamo ottenuto niente. Non era, e non è, vero. Abbiamo creato noi stesse, noi stessi. È qualcosa di formidabile. Non misuro la forza di un movimento dal numero delle leggi ottenute, ma dal fatto che ha contribuito a dare soggettività e orgoglio alle persone coinvolte. Cambiando così la storia».
Dall’85 al ’95 la strada è lunga, costellata di lutti e battaglie. A metà anni Novanta, con l’Hiv sotto controllo, comincia ad affacciarsi la questione del riconoscimento dei diritti. Non c’era spazio politico, ma si iniziò dal basso: i registri delle unioni civili nei consigli comunali. Una battaglia lunghissima, che nel 2016 avrebbe portato alle unioni civili, ancora incomplete, e oggi al riconoscimento mancato del matrimonio egualitario. «Arcigay ha accompagnato ogni singola battaglia – ricorda Franco Grillini –. Prima nei comuni, poi nei primi tentativi parlamentari seri, dai Pacs ai Dico ai Cus. E poi siamo e siamo stati il nostro welfare, sempre, in un momento in cui la politica ci era avversa».
L’argine di Arcigay
Anche oggi come spiega bene a Domani, il segretario generale Gabriele Piazzoni: «Se una persona subisce discriminazioni per orientamento sessuale o identità di genere, spesso si rivolge ai circoli. In gran parte del territorio c’è solo Arcigay. E lì trova sportelli psicologici, legali, sanitari, counseling: un primo aiuto. Siamo partiti in modo artigianale, poi ci siamo strutturati grazie ai bandi pubblici. Oggi i circoli sono 74, dal nord al sud». Ma Arcigay non è solo welfare. È visibilità. È presenza. È banchetti nei mercati il 17 maggio, volantini contro il bullismo, festival, azioni culturali. «Abbiamo convinto un pezzo di opinione pubblica a cambiare lo sguardo sulle persone Lgbt – dice Piazzoni –. Non esistiamo solo come categoria, esistiamo come persone, viviamo accanto a tutti».
Sul governo in carica Piazzoni è netto: «Sembra preclusa qualsiasi possibilità di avanzamento legislativo. C’è una parte della maggioranza che vuole tornare indietro. Il ddl Valditara rischia di mettere fuori gioco i corsi contro il bullismo omotransfobico. Hanno alzato barriere ai percorsi di affermazione di genere per le persone trans. A Firenze, al Careggi, linee guida sempre più restrittive. È chiaro che c’è una recrudescenza, una legittimazione pubblica dell’odio. Lo vediamo nelle aggressioni. Quando rappresentanti istituzionali mandano certi messaggi, poi l’odio diventa fisico».
È una spirale che cresce, e contro la quale bisogna fare argine. «In questo momento tentiamo di costruire l’unico argine possibile – continua Piazzoni –. Lo facciamo con la politica di opposizione, ma anche parlando con la maggioranza, cercando di far capire la pericolosità di certi passi indietro. E lo facciamo soprattutto con l’argine culturale e sociale. È la vera diga che impedisce al governo di intervenire. Sono convinto che, se non ci fosse un’opinione pubblica sensibile, ci avrebbero già riportati indietro di decenni».
La diga sono i Pride che crescono, più di cento ogni anno, le reti con altre realtà sociali, le iniziative di sensibilizzazione. La normalità delle persone Lgbt in ogni famiglia, in ogni ambiente. «Non siamo eccezioni, siamo presenze normali nella società – conclude Piazzoni –. Coltivare questa cultura della presenza aiuta a far sì che, quando ci sarà un episodio di discriminazione, anche chi non è coinvolto direttamente intervenga».
Arcigay continua nel segno della Resistenza. Quarant’anni di battaglie. «Siamo noi a darci dignità» dice Ramina. E forse è la sintesi più giusta: la dignità non si chiede, si prende.
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