Si aprono oggi le urne nelle Marche, la prima delle sette regioni al voto entro fine anno e anche la più contesa. I cittadini voteranno fino alle 15 di domani e poi sarà il momento della verità: il centrodestra è convinto della riconferma del meloniano Francesco Acquaroli, presidente uscente vicinissimo alla premier; il centrosinistra è convinto di potersela giocare con l’eurodeputato dem Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro e premiato con 52mila preferenze in regione alle Europee.

Nel silenzio elettorale non si è parlato di sondaggi, ma nei rispettivi quartier generali il tema più ricorrente è quello dell’affluenza, che già oggi potrà dare una indicazione dell’esito del voto. Secondo fonti di centrodestra, infatti, minore sarà l’affluenza e più la forbice di distanza tra Acquaroli e Ricci potrebbe ridursi fino quasi a un testa a testa. Se invece gli elettori superassero il 60 per cento, allora il governatore uscente avrebbe ottima probabilità di essere riconfermato. Tesi, questa, sostanzialmente condivisa anche dai dem, secondo cui gli elettori meloniani scontenti della gestione regionale potrebbero disertare le urne e allora l’onda di Ricci potrebbe davvero sperare nel successo. L’obiettivo del centrosinistra, dunque, è quello di mobilitare il più possibile il suo elettorato storico, in una regione che era considerata parte della cintura “rossa” solo fino a qualche anno fa.

Quel che è certo è che la campagna elettorale è stata molto dura. Da un lato Acquaroli ha dovuto chiamare rinforzi da Roma, con Giorgia Meloni e tutti i leader del centrodestra ad Ancona a tirargli la volata, oltre a un tesoretto di 60 milioni di euro arrivati proprio a ridosso del voto assegnati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile. Del resto, ad emergere nei cinque anni di gestione di Fratelli d’Italia è stata soprattutto la difficoltà del comparto sanitario marchigiano, dove le liste d’attesa bloccate e l’assenza di risorse infrastrutturali hanno pesato sul gradimento.

Dall’altra, Matteo Ricci ha dovuto far fronte a una inchiesta per corruzione sugli affidamenti del Comune di Pesaro a due associazioni no profit. L’eurodeputato è stato solo lambito dalle indagini, che invece hanno interessato il presidente delle due no profit, e Massimiliano Santini, ex collaboratore di Ricci per la comunicazione e gli eventi. Tuttavia, l’impatto mediatico per qualche giorno ha rischiato di mettere in discussione la sua candidatura.

Rimasto in sella, Ricci ha sfidato Acquaroli non solo su sanità, economia e infrastrutture regionali, ma anche sui grandi temi nazionali. La sua ultima promessa è stata quella che, in caso di vittoria, le Marche riconosceranno lo stato di Palestina alla prima riunione della Giunta regionale.

Il riverbero nazionale

Quel che è certo è che l’esito delle Marche condizionerà – e non poco – i futuri equilibri nazionali. La piccola regione dell’Italia centrale, infatti, è diventata l’ago della bilancia delle scelte sia di Elly Schlein che di Giorgia Meloni.

Sul fronte del centrodestra, FdI ha bloccato qualsiasi decisione sulle altre regioni al voto senza candidato ufficiale – Veneto, Campania e Puglia – proprio in attesa dell’esito delle Marche. Tra i meloniani la questione è netta: se Acquaroli vince nelle Marche, allora può esserci il via libera per accettare un nuovo candidato leghista per il Veneto, altrimenti la ripartizione di tutte le candidature andrà rivista. Il punto, infatti, è che il partito di maggioranza relativa non può rischiare di ritrovarsi minoritario nel centrodestra nella guida delle regioni. Anche a costo di stressare i rapporti, già piuttosto tesi, nella coalizione di centrodestra. Anche per evitare brutte sorprese di questo tipo il segretario leghista Matteo Salvini si è speso moltissimo nelle Marche: tra i leghisti serpeggia un cauto ottimismo sul risultato e i segnali dal territorio sarebbero incoraggianti, ma nessuno si sbilancia in anticipo.

Anche sul fronte del Nazareno l’esito nelle Marche è rilevante. Se la vittoria è considerata complicatissima e anche un testa a testa sarebbe considerato come un risultato tutto sommato incoraggiante, per Schelin il successo sarebbe la miglior ipoteca sulla sua segreteria. La vittoria marchigiana, per di più ai danni di un fedelissimo di Meloni, sarebbe il suo primo vero successo da segretaria e la dimostrazione che la sua strategia di campo largo con i Cinque stelle sia pagante. «Non faremo più il favore a Meloni di presentarci divisi», è stato il motto della segretaria, anche a costo di creare malcontento tra i suoi nel negoziato coi 5S. In caso di vittoria, i mal di pancia interni ai dem dovrebbero almeno temporaneamente placarsi. Se le Marche rimanessero al centrodestra, invece, il miglior risultato possibile di queste regionali sarebbe il pareggio, con però la consegna della Campania nelle mani del Cinque stelle Roberto Fico. E, di conseguenza, i distinguo interni non tarderebbero ad arrivare.

Sull’onda dell’entusiasmo a luglio si teorizzava addirittura il possibile 5 a 1, con solo il Veneto lasciato al centrodestra. A ridosso del voto, invece, nessuno si azzarda più a simili proiezioni. Ora, a parlare saranno le urne.

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