«Il presidenzialismo non è un sistema utile all’Italia, ma non è un tabù. Piuttosto penso che quando la Costituzione, all’art. 139, dice che “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale” si riferisca alla “forma” della Repubblica parlamentare, sulla quale è costruita tutta la struttura istituzionale dello stato». Per l’ex senatore Luigi Zanda, semplicemente, la riforma Meloni non si può fare. Almeno non così come l’ha impostata il governo perché, spiega, «la forma parlamentare è il marchio identificativo della nostra democrazia, ed è uno dei “principi supremi” che non permettono di passare dalla Repubblica parlamentare a quella presidenziale attraverso una legge di revisione della Costituzione regolata dall’art. 138».

Quindi la Repubblica parlamentare è immodificabile se non con una nuova Assemblea costituente?

Io non sono un tifoso dell’Assemblea costituente. Però da un lato sarebbe logico intervenire sulla Costituzione con lo stesso strumento usato per scriverla; dall’altro lato c’è che la Costituzione comunque non lo prevede. Sarebbe utile conoscere l’opinione della Consulta su una questione che è non solo di legittimità costituzionale ma anche di alta politica delle istituzioni.

Dunque la riforma non è solo sbagliata: la riforma non si può fare?

Bisogna esplorare se sia possibile farla con una Costituente, ma attraverso l’art. 138 no.

Anche alcune voci della destra avanzano dubbi: da Marcello Pera a Gianni Letta. Verranno ascoltati?

Il governo si vanta di aver proposto il cambiamento di soli cinque articoli della Carta, ma in realtà questo è un altro punto debole della riforma perché non sono regolate le conseguenze del cambiamento. Ad esempio: per approvare le riforme costituzionali è prevista la maggioranza assoluta del parlamento; e i due terzi per evitare il referendum. Sono soglie che andavano bene quando il parlamento era eletto con il proporzionale. Oggi non garantiscono maggioranze davvero qualificate. Con un maggioritario che produce maggioranze così abbondanti quelle soglie andrebbero alzate.

Finirà muro contro muro?

La riforma avrà un cammino travagliato in parlamento. E se dovesse essere approvata, il referendum sarà la tomba del governo Meloni.

Le toghe si schierano contro, e il ministro Crosetto sospetta disegni eversivi.

Il ministro della Difesa, il ministro dell’Interno e quello della Giustizia meno parlano di politica di parte meglio è. Perché sovrintendono a corpi dello Stato molto delicati, e chi ne ha la responsabilità deve evitare di restare invischiato in polemiche politiche. Anche per i magistrati dovrebbe valere la stessa regola. Loro parlano con le sentenze.

Lo scorso weekend la segretaria Schlein ha intrecciato un dialogo con i popolari di Castagnetti sul tema della pace. Che non è un tema pacifico nel Pd.

Nella mia lunga esperienza ho spesso ascoltato interventi abbondanti nei quali la parola pace viene ripetuta anche decine di volte. Credo però che chi parla di pace abbia il dovere di dire quale pace oggi è necessaria, in Ucraina e in Israele. Altrimenti bisogna chiedere con chiarezza il cessate il fuoco, scontando il vantaggio degli aggressori. La pace è qualcosa di concreto, non è solo un’aspirazione morale dell’uomo. Soprattutto in tempi di guerra.

Al Pd manca una riflessione seria sulla politica estera?

Fino a quando l’Europa non si farà Stato, come ha detto pochi giorni fa Mario Draghi, dall’Europa e dai paesi dell’Unione non potranno mai venire iniziative di politica estera o di difesa in grado di pesare davvero sullo scenario globale.

Anche la destra non sta messa meglio. Domenica Salvini ha portato sul palco a Firenze una sfilata di ultradestra amica di Putin per la quale l’Unione «è nemica dell’Europa». È un problema per Giorgia Meloni?

È una forte insidia per Meloni. Domenica a Firenze Salvini ha posto ufficialmente la scelta tra un’Europa degli Stati e un’Europa federale forte nel mondo. Ma anche l’opposizione ha problemi di coesione politica.

Quali?

Le coalizioni non possono essere solo la somma aritmetica dei partiti che le compongono. In entrambe le coalizioni manca una vera unità politica. Quanto all’opposizione, se i partiti tra loro discutono solo dei candidati alle regionali o delle amministrative, l’unità resterà sempre lontana. Sulla politica estera Pd e M5s sono molto distanti. Ed è sorprendente che non si confrontino apertamente sull’Ucraina e su Israele, sulla Nato e su Putin.

Come si affronta seriamente la pace in Ucraina?

Putin sta cercando di imitare Kutuzov (il generale russo che batté Napoleone durante la campagna di Russia, ndr). Pensa che l’inverno e il tempo possano logorare l’Ucraina, scommettendo anche sulla vittoria di Trump negli Usa e sui risultati delle europee a lui favorevoli. L’esercito ucraino, come Napoleone della guerra in Russia, non ha più armamenti adeguati alla guerra di resistenza. Zelensky dice tutti i giorni che ha bisogno di aviazione. Senza aviazione oggi le guerre si perdono.

Dovremmo mandargli l’aviazione?

Non c’è un’altra possibilità: è una guerra, e le guerre senza armi si perdono.

Come si affronta invece il tema della pace in Medio Oriente?

La strage del 7 ottobre è stata un atto ributtante e inumano a cui Israele aveva non solo il diritto ma anche il dovere di rispondere. E ha risposto con una vera e propria dichiarazione di guerra. Ma il terrorismo e la guerriglia non si battono con la guerra, con gli eserciti regolari e con i bombardamenti a tappeto, ma con la politica e il controterrorismo. La Francia in Algeria, l’Inghilterra in Irlanda del Nord, gli Stati Uniti in Vietnam, la Spagna con l’Eta: sono alcuni dei tantissimi esempi di lotta al terrorismo o alla guerriglia nei quali gli eserciti hanno fallito e alla fine la soluzione è stata quella politica.

Algeria e Vietnam sono state macellerie contro interi popoli. Sta facendo l’elogio del terrorismo di stato?

No, però Israele lo ha praticato per esempio nei confronti degli assassini di Monaco. E lo sta praticando anche adesso quando va a caccia di Hamas. Perché prima di parlare di “due popoli, due stati” bisogna dire che la pace fra Israele e palestinesi passa dalla stabilizzazione dell’intero Medio Oriente, e cioè da un accordo vero fra Iran e Arabia Saudita.

Sta dicendo che anche a lei manca un Kissinger? Era la seconda “K” per i movimenti degli anni Settanta, la prima era il suo “Kossiga”. Si scontrò con Aldo Moro per la sua politica di apertura al Pci. E le commemorazioni per lo più hanno sorvolato sul fatto che ha sostenuto il golpe cileno e altri dittatori in giro per il mondo.

La geopolitica moderna è nata con lui. Ha commesso errori anche gravi, ha avuto però anche clamorosi successi. Ma l’onorificenza di grande diplomatico gliel’ha data Xi Jinping, quando ha detto che Kissinger è stato «un caro vecchio amico della Cina». Perché ha capito per primo quale fosse l’importanza geopolitica della Cina e ha intuito la distanza clamorosa fra gli interessi cinesi e quelli russi. Con cinquant’anni d’anticipo e in piena Guerra fredda. Era un ebreo tedesco, che da bambino è scampato alle camere a gas naziste, poi è arrivato in America ed è diventato un nemico assoluto dell’Unione sovietica perché i metodi di governo dei comunisti gli ricordavano la Germania da cui era scappato.

Torno all’Italia. Per Castagnetti serve un nuovo Ulivo. Ma quando c’era l’Ulivo non c’era il Pd, e neanche i M5s. Come si fa a rifarlo?

L’Ulivo è stata una formula fortunata, possibile perché c’era un leader come Romano Prodi e attori disponibili alla collaborazione. Oggi non c’è nessuna di queste due condizioni: non c’è un leader condiviso e gli attori sono tutti diversi. Le condizioni politiche sono cambiate.

Serve un centro?

Per fare una coalizione serve un partito capace di avere un’egemonia almeno nelle percentuali di consenso, se un’egemonia politica proprio non riesce ad averla. Oggi il governo Meloni sopravvive perché FdI ha quattro volte il consenso di FI e Lega. Se non fosse così, sarebbe già caduto.

I cattolici chiedono un loro uomo in segreteria. Nel Pd la scissione dei centristi è una questione chiusa o si porrà dopo le europee?

Romano Prodi disse di sé stesso: «Sono un cattolico adulto». Penso che per un cattolico adulto stare in segreteria in quanto tale non sia bello.

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